L’eterno dilemma del massimo ribasso negli appalti pubblici

scritto da il 26 Febbraio 2024

Post di Giuseppe Fabrizio Maiellaro[1]

“Eccellenza (…) abbiamo opere di costruzione che trasciniamo da anni non mai terminate e che forse terminate non saranno mai.

Questo succede, Eccellenza, per la confusione causata dai frequenti ribassi che si apportano nelle opere Vostre, poiché va certo che tutte le rotture di contratti, così come i mancamenti di parola ed il ripetersi degli appalti, ad altro non servono che ad attirarVi quali Impresari tutti i miserabili che non sanno dove batter del capo ed i bricconi e gli ignoranti, facendo al tempo medesimo fuggire da Voi quanti hanno i mezzi e la capacità per condurre un’impresa. E dirò inoltre che tali ribassi ritardano e rincarano considerevolmente i lavori, i quali ognora più scadenti diverranno”.

Sembra il 2024 – a parte qualche arcaismo lessicale – ma, in realtà, il testo appena riportato risale a circa quattro secoli orsono.

È il 17 luglio del 1683 quando l’architetto Sébastien Le Prestre, Marchese di Vauban –  generale francese e figura di spicco della Francia del Re Sole, la cui fama di eccellenza dell’ingegneria militare ha attraversato i secoli – scrive al Ministro della Guerra del Regno di Francia (François Michel Le Tellier, Marchese di Louvois), per lamentare i rischi della diffusa pratica di assegnare gli appalti di opere pubbliche secondo il criterio del massimo ribasso.

È tutt’altro che recente, dunque, la polemica che anima ciclicamente il dibattito pubblico sul massimo ribasso quale criterio di aggiudicazione degli appalti pubblici. Una polemica che, come noto, proprio in questi giorni si è ripresa la scena, nelle cronache e nelle trasmissioni televisive, complici alcuni drammatici eventi verificatisi in riferimento alla sicurezza dei cantieri e alla qualità dei materiali utilizzati.

Il tema, assediato da un eterno dilemma, è stato regolato e declinato in modi e con sfumature differenti nel corso del tempo, in funzione del periodo storico e delle contingenze economiche e sociali che hanno caratterizzato le politiche legislative di settore.

Può essere utile, perciò, ripercorrere in breve le tappe fondamentali di questa evoluzione, al fine di fornire alcuni dati e riferimenti oggettivi per agevolare una migliore comprensione della questione.

A onor del vero, occorre da subito precisare che la centralità del criterio di aggiudicazione basato unicamente sul massimo ribasso, quale regola prioritaria e generale per l’affidamento di appalti pubblici, appartiene più al passato che al presente, e deve essere collocata in un arco temporale ben definito (seppure assai lungo), che può attestarsi fino all’inizio degli anni 2000.

L’unificazione amministrativa del Regno d’Italia: il massimo ribasso a presidio del contenimento della spesa pubblica

È bene anzitutto ricordare che, effettivamente, in una prima e lunga fase della regolamentazione delle opere pubbliche tale criterio ha imperato quale regola generale per l’assegnazione dei contratti di lavori pubblici.

In particolare, nella prima legge organica di settore, la famosa legge c.d. “Lanza” approvata nel 1865 all’indomani dell’Unità d’Italia, “(…) per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia” (legge 20 marzo 1865, n. 2248 All. F) – “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”, parafrasando Massimo D’Azeglio – tale criterio di aggiudicazione fu posto come indiscussa regola generale e, per quasi 120 anni, ha orientato e governato la valutazione delle offerte negli affidamenti pubblici.

Si trattava di un precetto stabilito all’interno di una cornice di principi e norme concepiti in un mondo profondamente diverso, che esprimeva una Pubblica Amministrazione monolitica e predominante la quale, nelle contrattazioni con i privati, mirava anzitutto a contenere e controllare la spesa pubblica – non a caso, alcune disposizioni attuative delle norme in materia risultavano contenute in regolamenti afferenti alla contabilità di Stato (v. i Regi Decreti n. 2240 del 18 novembre 1923 e n. 827 del 23 maggio 1924).

Il massimo ribasso resta regola generale anche nella legge quadro dei lavori pubblici del 1994

La successiva legge quadro sui lavori pubblici del 1994, la c.d. “Legge Merloni” (legge 11 febbraio 1994, n. 109), confermò la regola generale dell’aggiudicazione degli appalti pubblici basata sul criterio del massimo ribasso, circoscrivendo a pochi e tassativi casi la possibilità di ricorrere al sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa – che implica, invece, la valutazione delle offerte anche sotto un profilo tecnico e qualitativo, con relativa assegnazione di punteggi, ed esige quindi la formulazione di giudizi discrezionali di una commissione di esperti all’uopo nominata.

In ogni caso, vale segnalare che dall’importo di gara assoggettabile al massimo ribasso offerto dalle imprese erano esclusi i c.d. “oneri della sicurezza”, ovverosia i costi di sicurezza del cantiere da sostenere a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori – tale intangibilità della parte di costi della sicurezza sarà poi confermata in tutte le successive legislazioni in materia di contratti pubblici, ivi compresa quella oggi vigente.

Occorre inoltre ricordare che la stessa legge Merloni prevedeva l’applicazione di metodi stringenti e dettagliati, basati su formule matematiche, per verificare la effettiva tenuta e congruità delle offerte connotate da eccessivi ribassi (anche in rapporto alla contemporanea, elevata qualità delle offerte stesse) e dunque sospettate di anomalia e inattendibilità – si pensi al noto metodo di verifica del c.d. “taglio delle ali”.

La rilevanza e l’applicazione di tali metodi di verifica sono state anch’esse confermate in tutte le successive legislazioni varate in materia.

Tanto chiarito, parimenti nel caso della legge Merloni del 1994 ci si trovava di fronte a una legge decisamente figlia del suo tempo, varata in conformità ai nuovi e stringenti canoni del procedimento amministrativo (dettati dalla legge n. 241/1990), in seguito al sisma politico, economico e sociale provocato dalle stragi di mafia e dai fenomeni di corruzione legati alla stagione di “Tangentopoli” dei primi anni ‘90.

Di qui una legge che, pur tenendo in debito conto i principi fondamentali della disciplina comunitaria, si mostrava nei fatti estremamente guardinga e diffidente nei confronti di imprese e privati e, prima ancora, degli stessi funzionari pubblici, e risultava così palesemente tesa a limitare il più possibile la discrezionalità delle amministrazioni nel corso di tutto l’iter realizzativo dei lavori pubblici.

Tra le regole più rigorose e restrittive in tal senso vi erano, per l’appunto, quelle preposte alla valutazione delle offerte, che, come detto, imponevano la regola generale dell’aggiudicazione sulla base del criterio massimo ribasso, in modo da ancorare l’assegnazione dei punteggi a formule matematiche predefinite e contenere i casi di valutazione delle offerte anche da un punto di vista tecnico e qualitativo (v. art. 21).

La liberalizzazione del criterio di aggiudicazione nel primo Codice (euro)unitario del 2006

Un primo, sensibile cambio di direzione al riguardo si verificò all’inizio degli anni 2000, sulla spinta delle censure e indicazioni fornite in materia rispettivamente dai giudici e dal legislatore europei.

Infatti, a seguito di una pronuncia della Corte di Giustizia europea (7 ottobre 2004, causa C-247/02) e della emanazione delle nuove disposizioni comunitarie del 2004 (v. direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), il primo Codice unitario dei contratti pubblici approvato nel 2006 (D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163) mutò la regola generale delle aggiudicazioni, affidando alla discrezionalità delle stazioni appaltanti la scelta del criterio di valutazione delle offerte, in ragione delle particolari esigenze e caratteristiche del contratto da affidare e liberalizzando in tal modo, per la prima volta, il ricorso all’offerta economicamente più vantaggiosa basata sul miglior rapporto qualità/prezzo (v. artt. 81 – 83).

Queste norme, di tutta evidenza, si inscrivevano in un quadro di riferimento profondamente cambiato e recavano disposizioni conformate in modo più compiuto ai principi europei, recependone sostanzialmente e diffusamente metodi e finalità, per orientare in tal senso le azioni e le scelte della P.A. e soddisfare le specifiche istanze e gli obiettivi delle commesse pubbliche.

La svolta del Codice del 2016: la regola generale del miglior rapporto qualità/prezzo per premiare la qualità e sostenibilità delle offerte

Ad ogni modo, è con le direttive UE del 2014 e con il successivo Codice del 2016 (D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50) che si metteva in atto una rivoluzione copernicana in materia di criteri di aggiudicazione: le nuove previsioni di legge infatti, aderendo alle marcate sollecitazioni eurounitarie sull’effettivo perseguimento degli obiettivi di qualità, sostenibilità e avanzamento tecnologico di opere, servizi e forniture pubbliche, imponevano la regola generale dell’aggiudicazione secondo il miglior rapporto qualità/prezzo, stabilendo altresì un tetto massimo di 30 punti su 100 per la valutazione dell’offerta economica (art. 95). Era anche prevista dalla stessa norma la possibilità di fissare un prezzo a base di gara e far competere le imprese solo sulla qualità delle offerte.

Si assisteva così a un vero e proprio ribaltamento dell’approccio legislativo sul punto, in ossequio agli obiettivi di valorizzazione della qualità e dello sviluppo tecnologico e sostenibile di lavori, beni e servizi pubblici, quali delineati anzitutto in sede europea.

La vision così espressa dal legislatore si sostanziava nella affermazione della qualità delle proposte come mezzo più efficace per conseguire pienezza di risultati e risparmio di costi, tenendo in debita considerazione anche la sostenibilità e l’intero ciclo di vita di prodotti, servizi e opere. La mission, di conseguenza, si traduceva nella definizione del criterio qualitativo come regola generale da applicare per il conseguimento di quegli obiettivi.

Pertanto, nel rinnovato contesto del 2016 appena ricordato, era il ricorso al criterio del massimo ribasso (tecnicamente denominato “minor prezzo”) a risultare residuale e fortemente circoscritto a pochi e tassativi casi. Il che, in più di una occasione, richiedeva invero alle committenze pubbliche un costante e apprezzabile sforzo di ingegno nella individuazione di criteri qualitativi prescritti di norma come significativamente preponderanti (70 punti su 100), anche nel caso di affidamenti connotati da profili tecnici e innovativi di valore contenuto.

Il Codice attuale conferma la centralità dei criteri qualitativi, responsabilizzando la P.A. nell’assegnazione dei punteggi

E veniamo ad oggi.

Nel solco delle esperienze maturate durante il periodo della legislazione emergenziale attuata negli ultimi quattro anni (2019 – 2023), oltre che in coerenza con le direttive europee e lo spirito della riforma che ha pervaso la struttura del nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36), il legislatore ha confermato la centralità del criterio di aggiudicazione basato sulla valutazione del miglior rapporto qualità/prezzo, quale regola generale, così come la limitazione dei casi in cui è possibile (ma non obbligatorio) assegnare i contratti pubblici sulla base del (solo) minor prezzo – ivi compresi quelli riguardanti gli affidamenti di importo inferiore alle soglie UE, per i quali la stazione appaltante è libera di scegliere il criterio più adeguato al caso concreto (art. 108).

massimo ribasso

(Imagoeconomica)

Tale norma ha confermato anche la possibilità di stabilire un prezzo fisso e far gareggiare le imprese solo sulla parte qualitativa delle offerte.

La principale novità delle norme oggi in vigore, in materia, è costituita semmai dall’eliminazione del tetto massimo dei 30 punti su 100 per la valutazione della parte dell’offerta basata sul minor prezzo. Sicché, ferma la regola generale della valutazione del miglior rapporto qualità/prezzo, la scelta della ripartizione del peso dei punteggi, tra la parte tecnica e quella economica, è oggi affidata alle amministrazioni, per consentire una migliore calibrazione delle valutazioni in rapporto alle specificità di ciascun contratto.

Questa nuova indicazione pare coerente con i principi innovativi e prioritari del “risultato” e della “fiducia” stabiliti dal Codice del 2023 (artt. 1 – 2), che esigono dalla P.A. un approccio sensibilmente più propositivo e discrezionale (e, al contempo, più responsabile), mirato ad affidare ai RUP e ai funzionari pubblici la scelta delle strategie e dei criteri più adeguati ed efficaci per soddisfare le esigenze e gli obiettivi di ciascuna specifica commessa – fermo naturalmente il rispetto dei fondamentali principi di legalità, trasparenza e concorrenza (v. art. 3).

La qualità di progetti, offerte e prestazioni, assieme alla sostenibilità di opere, servizi e prodotti e alla sicurezza di luoghi e persone, restano quindi, a tutt’oggi, il focus della legislazione sui contratti pubblici, con specifiche e vincolanti indicazioni sulla adeguatezza e sull’aggiornamento dei costi di sicurezza e manodopera e sul rigore dei controlli operati su attività, mezzi e materiali di costruzione (v. artt. 41 – 43, 79 – 80, 107 – 110, 113 – 116 del D.Lgs. n. 36/2023).

L’importanza decisiva di iniziative e condotte effettivamente adeguate, responsabili ed efficaci

È in quest’ottica che occorre dunque verificare e valutare, all’attualità, le iniziative e i risultati, nonché la condotta di amministrazioni e imprese, chiamate ad assumere e svolgere in modo preparato e responsabile le molte rilevanti incombenze assegnate dalla legge e dai contratti, ciascuna per quanto di propria competenza.

È importante, nella fattispecie, calibrare adeguatamente l’analisi dei fatti e delle criticità alla luce di una corretta e attenta comprensione dei dati normativi e tecnici sottesi alle questioni, per poter assumere di conseguenza le valutazioni e determinazioni del caso, in modo concretamente adeguato ed efficace.

Tenuto conto del quadro complessivo e dell’effettiva consistenza dei principi, delle norme e delle misure oggi messe in campo dal legislatore e dalle istituzioni, il punto nodale della qualità e della sicurezza di opere e attività pubbliche non pare allora potersi limitare a un dibattito intorno al criterio di aggiudicazione in sé – anche volendo considerare l’intervenuta (o meglio riproposta) possibilità di stabilire un punteggio superiore a 30 punti su 100 per la parte economica.

Infatti, come si è visto, l’ordinamento impone tuttora precetti, parametri, vincoli e controlli diffusi, precisi e stringenti a presidio della qualità di prodotti, servizi e opere e della sicurezza di persone e luoghi, e ciò a prescindere dal criterio di valutazione delle offerte.

Piuttosto, dovrebbe svolgersi in primis una attenta verifica e valutazione in ordine alla corretta e compiuta lettura e applicazione in concreto di norme, poteri, scelte e prestazioni, per potersi formare una idea adeguata e affidabile sulle vicende occorse e sulle azioni da intraprendere a tutela della buona riuscita dei contratti pubblici e della incolumità di persone e luoghi coinvolti.

Resta quindi indispensabile e tutt’altro che scontata – al di là delle dichiarazioni e attestazioni rese e delle proposte manifestate nei procedimenti e nei contratti – la coerenza e conformità, in concreto, di progetti e condotte, come condizione preliminare e decisiva per la buona attuazione di opere e servizi, anzitutto in termini di qualità e sicurezza.

“Sii ciò che sembri” è il monito che il Brucaliffo consegna ad Alice, come prezioso viatico per il suo avventuroso viaggio nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll. E, per quanto semplice, pare un buon punto di partenza anche per un corretto approccio al tema qui trattato.

[1] Consulente esperto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e professore a contratto di Sicurezza del territorio presso l’Università degli studi Link di Roma.