categoria: Vicolo corto
Venditore si nasce e si impara. Ecco le istruzioni di viaggio


Post di Silvano Joly, Business Advisor in Deloitte –
Scrivere un libro: chi l’avrebbe mai detto? L’idea mi ha inseguito a lungo, tra un viaggio di lavoro e l’altro, finché non ho deciso di darle forma. Non un manuale tradizionale sulla vendita (ne esistono già troppi, in tutte le lingue), ma qualcosa di più simile a una guida “Lonely Planet” per orientarsi nel mondo commerciale. Un itinerario che accompagna il lettore dalle prime trattative fino alla fidelizzazione del cliente, con consigli pratici e qualche monito, proprio come farebbe un buon compagno di viaggio: “Portati l’impermeabile, non dimenticare la crema solare, attento ai borseggiatori”. Solo che qui i borseggiatori a volte si nascondono nelle pieghe di un contratto mal negoziato.
Venditore si nasce?
Se sono finito nel mondo delle vendite, dopo la laurea in Scienze Politiche, forse non è stato un caso. “Mio padre era venditore, mio fratello venditore, io venditore”, un po’ come Vassilissa in “Mediterraneo” di Salvatores. Il mio battesimo commerciale avvenne nel 1995 con la Parametric Technology Corporation (PTC), che ben presto capii significare anche “Prepare to Change”. Lì, le selezioni erano serrate: cinque manager per candidato e domande capaci di mettere alla prova la visione della vita. “Quanti soldi sono abbastanza?” La risposta corretta era una sola: “Mai abbastanza”. Io, inconsapevole delle regole del gioco, raccontai un aneddoto su un volo in business class, dove un esperto di vendite mi fece notare che c’è sempre qualcuno con un jet più grande. Alla fine, la mia risposta piacque e fui spedito a Boston per un corso intensivo da neoassunto.
Io, Mr. Nice. E perché questo titolo
“Memorie di un connesso viaggiatore” raccoglie esperienze reali, vissute tra PTC, Reply, SAP, Dassault Systemes e altre aziende digitali. Ma anche lezioni apprese in università e centri di ricerca, da Milano a Torino, da Bocconi a LUISS. E poi ci sono i clienti, alcuni diventati amici e complici di questo viaggio, che dura ormai da decenni.
Uno dei miei soprannomi è Mr. Nice. Me lo affibbiò un collega scandinavo, con il quale gestimmo una complicatissima vendita a una multinazionale svedese, che aveva un centro di ricerca e sviluppo in Piemonte. Incuriosito dal mio cognome francese, lo cercò sul vocabolario e mi disse: “Ti chiamerò Mr. Nice, dato che, anche quando sei arrabbiato, sorridi lo stesso”. Non per altro, ma perché, in fondo, essere “bad”, cioè il contrario di “nice-gentile”, non serve a molto. Con lo stesso spirito ho scritto queste pagine. Mi auguro che leggerle potrà aiutare chi vende (e chi compra) ad essere più consapevole e meno stressato con consigli, metodologie, tecniche che ho imparato in tanti corsi e in tante campagne di vendita, alcune di successo, altre fallite: un savoir faire, frutto anche di tanti errori, che ho voluto condividere con voi.
Il titolo? Un omaggio a “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller, ma è stato il fotografo Roberto Alfieri a suggerirmelo: sempre in viaggio, sempre online, non solo connesso alla rete, ma ai tre pilastri di un bravo venditore: “Never stop selling, hiring, ranking”.

Silvano Joly “Le memorie di un connesso viaggiatore”
ESTE Libri – 20.00 euro
Capitolo 1
Dal baratto all’elevator pitch
Quando si chiede a un bambino: “Che mestiere vuoi fare da grande?” stiamo certi che non risponderà “il venditore”. Magari lo stesso bambino avrà allestito il banchetto di giocattoli usati sul lungomare o venduto biscotti per gli Scout, ma senz’altro non gli verrà in mente di poterne fare un lavoro. Evidentemente, nemmeno i suoi genitori coltiveranno per lui questa ambizione. Quanto a stigma sociale, forse solo il becchino tiene il passo del venditore. Molti lo definiscono “il mestiere più antico del mondo”, sorvolando sulle malcelate analogie, quasi a rimarcare uno stereotipo negativo, quello di un professionista senza scrupoli morali.
In fondo, se ci pensiamo, persino nel Vangelo Gesù Cristo si arrabbia per davvero solo una volta e lo fa con i mercanti del tempio. Anche le radici dell’antisemitismo sono rintracciabili nell’avversione per la propensione del popolo ebraico a mercanteggiare. Per non parlare dei mercanti di tappeti mediorientali.
Questi stereotipi si sono radicati nel tempo per motivi culturali profondi. Il mercante viene da lontano per definizione e, dunque, nell’immaginario collettivo incarna tutte le paure sociali del nuovo e del diverso. Inoltre, nessun venditore dissimula l’interesse per il denaro, verso il quale c’è una forma di pudore più diffusa che per le altre, anche delicate, questioni personali. Il denaro ha a che fare con il potere, con le differenze sociali, con i rapporti di forza, con il possesso e la materialità, persino con la religione, la politica, la visione del mondo. Per pochi altri argomenti si riscontra lo stesso timore nell’affrontarli.
Le origini del ruolo del venditore
Senza tratteggiare negativamente l’espressione ed evitando ogni doppio senso, possiamo davvero dire che, quello della vendita, è uno dei mestieri più antichi del mondo. Le prime tracce di attività di vendita risalgono alla preistoria, quando le persone iniziarono a scambiare beni e servizi tra di loro. Queste interazioni erano spesso informali e gestite con la prima e più rudimentale forma di commercio, ovvero il baratto, basato sulla fiducia e sulla reciproca necessità.
Nel Neolitico, gli uomini si stabilirono in villaggi e iniziarono a praticare l’agricoltura e l’allevamento di bestiame, che divennero parte integrante dell’economia. La selce e l’ossidiana furono estratte da primitive miniere, dando origine a un fiorente commercio. Più avanti nel tempo, Egizi, Babilonesi e Greci svilupparono sistemi commerciali complessi. Le rotte commerciali si estesero, collegando culture e terre lontane. Il commercio di spezie, tessuti, metalli e altri beni prosperò.
Nemmeno il Medioevo fu un ‘secolo buio’ per il commercio, anzi, al contrario: le fiere medievali e le corporazioni di mercanti contribuirono fortemente alla crescita di esso. Le esplorazioni marittime, poi, aprirono nuove rotte commerciali, collegando l’Europa all’Asia e alle Americhe. Le storie dei nostri grandi mercanti, che erano anche marinai e avventurieri, da Marco Polo a Cristoforo Colombo, sono spesso raccontate nell’ottica delle loro scoperte geografiche, ma la verità è che erano semplicemente mercanti molto bravi nello scovare nuovi mercati.
L’illuminismo, poi, portò a una maggiore libertà economica e alla crescita del capitalismo. La rivoluzione industriale, infine, trasformò radicalmente il commercio, con l’avvento delle ferrovie e delle navi a vapore.
Come si è evoluto il ruolo del venditore?
L’evoluzione del ruolo del venditore è stata influenzata da numerosi fattori, tra cui lo sviluppo dell’agricoltura e dell’industria. L’aumento della produzione di beni ha portato a un eccesso di offerta, che ha reso necessario lo sviluppo di tecniche di vendita per convincere i potenziali clienti ad acquistare.
La nascita del denaro è stato il primo passaggio fondamentale, facilitando gli scambi commerciali e rendendo possibile la vendita di beni e servizi a persone sconosciute. Il secondo, grande passaggio è stato lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, che hanno permesso ai venditori di raggiungere un pubblico più ampio e di vendere i loro prodotti su distanze maggiori.

I tre pilastri di un bravo venditore: never stop selling, hiring, ranking (Designed by Freepik)
Ancora, la Rivoluzione industriale ha portato a una massiccia produzione di beni di consumo, creando la necessità di reti di vendita e strategie di marketing più sofisticate. Infine, la cosiddetta globalizzazione ci fa vivere in un mondo interconnesso, con catene di approvvigionamento globali e scambi commerciali su vasta scala. La nostra era si potrebbe definire ‘digitale’: questa ha rivoluzionato il modo in cui i venditori interagiscono con i clienti. L’ecommerce, i social media e altre tecnologie online hanno aperto nuovi canali di vendita e hanno reso possibile raggiungere un pubblico globale.
La vecchia storia della cura miracolosa
Nel cuore di una cittadina sonnolenta, tra strade polverose e case di legno sbiadite dal sole, viveva un venditore ambulante di nome Ezra. Con il suo cappello a tesa larga e gli occhi scintillanti, Ezra girava per le piazze e i mercati, portando con sé una piccola bottiglia di vetro contenente un liquido dorato. “L’olio di serpente!” gridava Ezra, la sua voce echeggiando tra le bancarelle. “La cura miracolosa per ogni male! Guarisce ferite, allunga la vita e addirittura fa crescere i capelli!” La gente si radunava attorno a lui, affascinata dalle sue promesse.
La gente si spintonava per acquistare una bottiglietta dell’olio di serpente. Ezra incassava le monete, nascondendo il suo sorriso malizioso. In realtà, l’olio di serpente era solo olio d’oliva mescolato con spezie e coloranti. Non c’era nulla di magico o curativo al suo interno. Ma Ezra era un maestro nell’arte dell’inganno. Ogni volta che un cliente tornava da lui, lamentandosi di non aver ottenuto risultati, Ezra rispondeva con un sorriso comprensivo. “Devi averlo usato nel momento sbagliato”, diceva. “La luna non era abbastanza piena, o forse non hai pronunciato la formula corretta”.
E così, Ezra continuava a vendere l’olio di serpente, spostandosi da una città all’altra, lasciando dietro di sé una scia di speranze deluse e monete d’oro. Ma in fondo al suo cuore, sapeva che stava vendendo illusioni. E forse, in qualche modo, anche lui aveva bisogno di credere in quelle illusioni. Così, nel crepuscolo di una giornata calda, Ezra si sedeva sul bordo della strada, guardando il sole tramontare. “Forse…forse l’olio di serpente è davvero la cura per l’anima”, sussurrò. Dunque, il suo inganno continuò, mentre il sole si nascondeva dietro le colline e la gente continuava a cercare la guarigione in una bottiglia di liquido dorato.
L’olio di serpente e il marketing ingannevole
Va bene, lo ammetto: questa è una bella storia, ma me la sono inventata. Però potrebbe essere vera. Lo ‘snake oil sales man’ esiste davvero e ha davvero una storia affascinante e spesso controversa, che si trova indietro nel tempo, quando gli sferraglianti carretti dei venditori ambulanti attraversavano la Frontiera americana, portando con sé promesse di guarigione e benessere. Dietro questa misteriosa sostanza non c’era altro che una miscela di olio minerale, erbe e spezie: non conteneva alcuna sostanza derivata dai serpenti e, soprattutto, non guariva nemmeno un raffreddore.
Oggi snake oil sales man è un’espressione utilizzata per descrivere il marketing ingannevole, una frode sanitaria o una truffa. Allo stesso modo, la sua traduzione, “venditore di olio di serpente”, da noi “venditore di tappeti” è usata per descrivere qualcuno che vende, promuove o in generale sostiene una cura, un rimedio o una soluzione senza valore o fraudolenta.
Il venditore e l’avvento dell’intelligenza artificiale
Possiamo dire che il futuro del ruolo del venditore è incerto. È probabile, tuttavia, che continuerà a evolversi con l’avanzare della tecnologia. L’Intelligenza Artificiale (AI) e l’automazione potrebbero svolgere un ruolo sempre più importante nelle attività di vendita, ma le persone saranno sempre necessarie per costruire relazioni con i clienti e fornire un servizio personalizzato. Mi spingo a dire che, difficilmente, questo mestiere sarà soppiantato del tutto dall’AI: forse aiutato, certo, ma non sostituito.
Ecco perché nelle pagine seguenti ho cercato, come i viaggiatori che diventano autori delle guide Lonely Planet, di mettere a disposizione la mia esperienza di ‘connesso viaggiatore’ riguardo a quello che so e che ho imparato a mia volta, anche dagli errori commessi, per fare un buon viaggio dall’elevator pitch al primo appuntamento, mettendo a frutto le scoperte di chi ci ha preceduto in questo antico e affascinante mestiere, aggiungendo le mie e altrui annotazioni personali e lesson learned.