Bitcoin: è halal o haram? Che cosa ne pensa la finanza islamica

scritto da il 04 Aprile 2025

Post di Giulia De Vendictis, Head of Financial Supply Chain di Saras – 

Bitcoin è la prima e più famosa criptovaluta al mondo, la cui paternità è attribuita a un misterioso hacker – o a un gruppo di hacker – noto con il nome di Satoshi Nakamoto. Nel 2008, Nakamoto pubblicò il white paper intitolato “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System in cui illustrava la possibilità di applicare la criptografia a un libro mastro pubblico, decentralizzato e immutabile (public ledger) dove tutte le transazioni vengono registrate in modo sicuro e trasparente: la blockchain.

Nakamoto ha descritto il Bitcoin come un sistema di pagamento alternativo che consente di inviare pagamenti peer-to-peer (P2P) direttamente da un’entità all’altra, senza la necessità di intermediari finanziari o di regolamentazione governativa. Questo implica anche il vantaggio di evitare limitazioni temporali, poiché le transazioni possono avvenire 24 ore su 24, 7 giorni su 7, anche durante i fine settimana e nei giorni festivi. Ogni transazione viene registrata all’interno di un blocco, che è collegato al blocco precedente formando una catena di blocchi (blockchain) che può essere ripercorsa fino alla prima transazione registrata. Grazie a questo sistema sappiamo che la prima transazione commerciale in Bitcoin è avvenuta il 22 maggio 2010 (Bitcoin Pizza Day) quando Laszlo Hanyecz acquistò due pizze per 10.000 BTC, allora equivalenti a circa 30 dollari statunitensi.

Il Bitcoin è una moneta?

Per essere definita tale, una moneta deve soddisfare tre caratteristiche: essere un’unità di conto, un mezzo di scambio e una riserva di valore. Il Bitcoin risponde ai primi due requisiti, ma non al terzo, poiché la sua volatilità lo rende inadatto a fungere da riserva di valore. Inoltre, la sua scarsa adozione e accettazione, rispetto alle valute tradizionali, ne limitano l’utilizzo come mezzo di pagamento. Alcuni Paesi lo stanno sperimentando come valuta legale, ma con risultati contrastanti.

Nel 2025 ci sarà una crescita esplosiva delle stablecoin?

Nel 2024, la Banca Centrale degli Emirati Arabi Uniti (CBUAE) ha approvato il lancio di AE Coin: una stablecoin ancorata al dirham (AED) che sarà la prima stablecoin regolamentata dalla CBUAE. Una stablecoin è una criptovaluta il cui valore è ancorato al prezzo di un altro asset – da cui il termine “stable” (stabile), ed è progettata per ridurre la volatilità tipica delle criptovalute. Le stablecoin potrebbero vedere una crescita esplosiva nel 2025 grazie all’adozione da parte di Paesi del Golfo, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, e all’interesse espresso dal presidente americano Donald Trump, che durante l’ultimo crypto summit ha annunciato l’intenzione di portare una proposta legislativa sulle stablecoin entro agosto 2025.

Come ottenere Bitcoin?

Esistono principalmente due metodi per ottenere Bitcoin: l’acquisto e il mining. Il metodo più semplice è l’acquisto tramite piattaforme online di exchange, che consentono di scambiare Bitcoin con valute tradizionali o altre criptovalute. In alternativa, si possono prelevare da sportelli ATM Bitcoin. In entrambi i casi, è necessario disporre di un portafoglio digitale (e-wallet) per detenere i propri Bitcoin. Il metodo più complesso è invece il mining, ossia il processo di estrazione dei Bitcoin.

Chi sono i minatori di Bitcoin?

Sebbene il Bitcoin si basi su un sistema peer-to-peer, in realtà esiste un terzo attore: il “miner”. Il compito dei miner è mantenere la rete sicura e in ordine, convalidando le transazioni. La convalida avviene risolvendo un algoritmo, cioè un complesso problema matematico che viene risolto da macchine. Il primo miner che trova la soluzione ottiene una ricompensa (block reward) di circa 3,125 Bitcoin per ogni blocco estratto, più una piccola commissione per il servizio di validazione prestato.

Bitcoin è sostenibile?

Inizialmente, diventare miner era semplice: bastava un normale PC per minare Bitcoin direttamente da casa. Con il tempo, però, il sistema è diventato sempre più complesso, poiché il protocollo di Bitcoin è progettato per aumentare la difficoltà dei calcoli man mano che gli algoritmi vengono risolti. Oggi questo processo richiede un’enorme potenza di calcolo, ragion per cui sono nate le mining farm: vasti capannoni pieni di macchine che lavorano ininterrottamente per validare le transazioni, consumando enormi quantità di energia elettrica. Nel tentativo di renderlo più sostenibile, molte mining farm si stanno trasferendo in aree strategiche per sfruttare fonti rinnovabili come energia idrica, solare o eolica.

Bitcoin: i vantaggi della blockchain e i limiti di una criptovaluta volatile

I vantaggi di Bitcoin includono basse commissioni per il servizio dei miner e maggiore trasparenza, grazie alla blockchain. Le transazioni possono essere facilmente monitorate, riducendo il rischio di frodi. Tuttavia, Bitcoin presenta anche notevoli criticità. Sebbene l’anonimato garantisca la privacy, può anche favorire attività illecite, come il riciclaggio di denaro e il commercio nel deep web. Inoltre, la sua forte volatilità rappresenta un rischio significativo per gli investitori.

La classificazione occidentale

Ogni Paese ha adottato una propria classificazione del Bitcoin. Negli Stati Uniti è stato equiparato a una commodity, poiché (come le risorse naturali e il petrolio) viene “estratto” tramite il processo di mining. Nel 2021, El Salvador lo aveva riconosciuto come valuta legale insieme al colón salvadoregno, ma a gennaio 2025 ha revocato l’obbligo di accettazione dei pagamenti in Bitcoin. Secondo Antonio Simeone, Founder & CEO di StonePrime, “la tendenza è quella di detenere Bitcoin, piuttosto che spenderlo”.

In Italia manca una regolamentazione chiara: il Decreto Semplificazioni non ha fornito una definizione ufficiale di cripto-attività. L’unico riferimento normativo è una circolare dell’Agenzia delle Entrate che impone una tassazione del 26% sugli investimenti in criptovalute, cioè la stessa aliquota applicabile alle attività finanziarie. In sintesi, c’è una mancanza di uniformità di vedute o di una regolamentazione transnazionale, che sarebbe fondamentale per gli scambi internazionali.

Bitcoin

Bitcoin sulla tastiera di un pc. Sullo sfondo grafici di trading (Designed by Freepik)

La criptovalute secondo l’Islam

Anche nel mondo islamico non c’è uniformità di vedute sulle criptovalute: per alcuni, sono assimilate a valute digitali o a beni scambiabili (Mal), mentre altri le considerano strumenti speculativi.  Nel 2017, il Gran Mufti d’Egitto, Dr. Shawky Ibrahim Allam, ha emesso una fatwa (opinione legale) vietando tutti gli utilizzi delle criptovalute – inclusi il trading, l’acquisto, la vendita e l’affitto – a causa dei loro effetti negativi sull’economia, della distorsione dell’equilibrio di mercato, della mancanza di protezioni legali e, soprattutto, per l’assenza di una supervisione finanziaria.

I 5 pilastri dell’Islam

Il termine “Islam” deriva dalla parola araba “aslama”, che significa sottomissione e adesione totale al volere espresso da Dio attraverso il profeta Muhammad (Mills e Presley, 1999) e ha la stessa radice della parola “salam”, che significa pace (Ruthven, 1997). I cinque pilastri dell’Islam sono:

  1. 1. Shahada (fede): La dichiarazione di fede in un Dio unico e nel suo messaggero.
  2. 2. Salat (preghiera): La preghiera rituale richiesta a ogni musulmano cinque volte al giorno per tutta la vita.
  3. 3. Zakat (elemosina): L’atto di donare una parte della propria ricchezza a chi ne ha bisogno una volta all’anno.
  4. 4. Sawm (digiuno): Il digiuno durante il mese di Ramadan.
  5. 5. Hajj (pellegrinaggio): Il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita.

La Sharia è il complesso di regole che guidano la vita e i comportamenti dei fedeli musulmani. Rappresenta un insieme di concetti astratti che si desumono dai principali testi sacri dell’Islam: il Corano e la Sunna. Le fonti principali della Sharia sono il Corano (libro sacro distinto in 114 sure), la Sunnah (pratica consuetudinaria, aneddoti), l’Ijma (giurisprudenza ottenuta tramite consenso) e il Qiyas (giurisprudenza ottenuta tramite analogia giuridica).

Le prescrizioni presenti all’interno del libro sacro determinano sia la legislazione dei Paesi islamici, sia i comportamenti economici dei fedeli musulmani, anche se vivono in Paesi occidentali. Per questo, comprenderne usi e costumi è fondamentale per fare affari e attirare capitali dai Paesi Islamici.

I 5 pilastri della finanza islamica

La finanza islamica è compatibile con i principi della Sharia e ha l’obiettivo di garantire equità e giustizia economica. I suoi cinque pilastri sono:

  1. 1. Ridistribuzione (Zakāt): Obbligo di destinare parte dei propri guadagni in opere di carità.
  2. 2. Obbligo di investimenti leciti (Halāl): Bisogna effettuare investimenti socialmente responsabili o leciti ed è vietato investire in attività illecite (harām).
  1. 3. Divieto di interesse (Ribā): Divieto di ottenere interessi sui prestiti e di usura. I giuristi islamici associano l’usura al concetto di indebito arricchimento in quanto rappresenta una forma di guadagno non prodotta dal lavoro dell’uomo.
  2. 4. Divieto di investimenti rischiosi (Gharār): Divieto di fare investimenti rischiosi e di gioco d’azzardo.
  3. 5. Divieto di investimenti speculativi (Maysīr): Divieto di fare speculazione.

Per la finanza occidentale, religione, etica ed economia sono concetti separati. La finanza islamica fa invece riferimento alla Sharia, che regola ogni aspetto della vita dei credenti: non solo quella religiosa, ma anche le questioni giuridiche ed economiche.

Bitcoin è halāl o harām?

La domanda sorge spontanea: il Bitcoin è halāl (lecito) o harām (illecito)? Proviamo ad analizzarlo alla luce dei cinque pilastri della finanza islamica:

  1. 1. Ridistribuzione (Zakāt): secondo parte della dottrina, sono zakatabili (Bitcoins are Zakatable as they are Mal (wealth), have Taqawwum (Islamic legal value) and are in the ruling of a currency (Thamaniyyah)”).
  2. 2. Obbligo di investimenti leciti (Halāl): Se usato per scopi leciti, non è harām.
  3. 3. Divieto di interesse (Ribā): Il margine ottenuto dalla compravendita di Bitcoin è profitto ammissibile o interesse vietato?
  4. 4. Divieto di investimenti rischiosi (Gharār): il prezzo è volatile; quindi, può essere considerato un investimento ad alto rischio.
  5. 5. Divieto di investimenti speculativi (Maysīr): viene spesso detenuto a fini speculativi, ma può anche essere utilizzato come mezzo di scambio.

In base a questi criteri, il Bitcoin non sarebbe tecnicamente conforme alla Sharia (Sharia Compliant), soprattutto per quanto riguarda Riba, Gharār e Maysīr. Per questo motivo, in Paesi conservatori come l’Egitto, le criptovalute sono proibite.

Al contrario, in Paesi più progressisti, come il Bahrain o gli Emirati Arabi Uniti, sono accettate o quantomeno tollerate, a condizione che vengano utilizzate per scopi leciti e secondo principi etici, con un monitoraggio volto a prevenire speculazioni e frodi. Ciò è dovuto al fatto che, se le criptovalute fossero vietate, verrebbero comunque utilizzate in modo anonimo. Per questo motivo, molti Paesi preferiscono tollerarle piuttosto che perdere opportunità.