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I dazi di Trump, un dilemma e un obiettivo: destabilizzare l’Ue


L’amministrazione Trump ha inaugurato una nuova era di protezionismo economico con l’introduzione di dazi su larga scala, mirati a riequilibrare il commercio internazionale e rilanciare la manifattura americana. Tuttavia, le conseguenze di questa strategia stanno sollevando preoccupazioni crescenti tra economisti e analisti finanziari, che vedono nei dazi un potenziale detonatore di stagflazione, recessione e aumento della disoccupazione.
Gli obiettivi dichiarati
Trump ha giustificato i dazi come uno strumento per:
– Rilanciare la produzione interna, spingendo le aziende a riportare le fabbriche negli Stati Uniti.
– Creare posti di lavoro nel settore manifatturiero.
– Ridurre il deficit commerciale, penalizzando le importazioni e favorendo i prodotti americani.
Le tariffe imposte includono un dazio universale del 10% su tutte le importazioni, con aliquote più alte per partner strategici come Cina (34%) e Unione Europea (20%). L’obiettivo dichiarato è raccogliere trilioni di dollari in entrate fiscali e costringere i partner commerciali a negoziare condizioni più favorevoli per gli USA.
I dazi e il dilemma delle risorse
L’imposizione dei dazi da parte dell’amministrazione Trump solleva un dilemma economico fondamentale: se i dazi raggiungono il loro scopo di rilanciare la produzione interna, essi potrebbero fallire nel generare le entrate fiscali previste; viceversa, se i dazi generano entrate significative, è probabile che l’economia americana non riesca a ripartire come previsto. Questo paradosso si basa su due scenari distinti ma strettamente collegati.
Scenario 1: I dazi funzionano come strumento fiscale, ma l’economia non riparte.
In questo caso, i consumatori americani continuano ad acquistare beni importati nonostante i prezzi più alti causati dai dazi. Questo comportamento garantisce entrate significative per il governo federale, che può utilizzare tali risorse per finanziare spese pubbliche o ridurre il deficit fiscale. Tuttavia, l’aumento dei prezzi riduce il potere d’acquisto delle famiglie e frena la domanda interna, con effetti negativi sulla crescita economica. Inoltre, l’inflazione importata potrebbe spingere la Federal Reserve ad adottare politiche monetarie restrittive, aggravando ulteriormente il rallentamento economico.
Scenario 2: I dazi stimolano la produzione interna, ma riducono le entrate fiscali.
Se le imprese americane riescono a sfruttare il protezionismo per aumentare la produzione e sostituire le importazioni con beni domestici, i consumatori potrebbero orientarsi verso prodotti nazionali. In questo scenario, tuttavia, le entrate tariffarie del governo si riducono drasticamente perché diminuisce il volume delle importazioni tassate. Inoltre, l’aumento della domanda interna potrebbe spingere i produttori locali a incrementare i prezzi, alimentando ulteriormente l’inflazione. Questo scenario mette in evidenza un altro rischio: se le imprese americane non riescono a soddisfare la domanda interna in modo competitivo (ad esempio per costi elevati o inefficienze), i consumatori potrebbero subire un doppio colpo sotto forma di prezzi più alti e minore scelta.
Un gioco a somma zero?
Questi due scenari evidenziano un possibile trade-off intrinseco nella politica tariffaria: massimizzare le entrate fiscali attraverso i dazi potrebbe soffocare la crescita economica; d’altra parte, stimolare la produzione interna potrebbe compromettere gli obiettivi fiscali del governo. Questo equilibrio instabile richiama il concetto di equilibrio di Nash, in cui ogni strategia adottata comporta costi e benefici che dipendono dalle reazioni degli altri attori economici (in questo caso consumatori, imprese e partner commerciali).
Un obiettivo non dichiarato: colpire l’Europa
Oltre agli obiettivi ufficiali dichiarati dall’amministrazione Trump, è possibile individuare una strategia non esplicitata ma altrettanto rilevante: indebolire l’Unione Europea come blocco economico e normativo. L’Europa rappresenta uno dei principali mercati mondiali ma impone regole stringenti che spesso rendono difficile per le imprese statunitensi esportare beni nel continente. Normative come il GDPR (protezione dei dati), il Digital Markets Act o le leggi sulla sostenibilità aziendale sono percepite dagli USA come barriere non tariffarie che ostacolano l’accesso al mercato europeo.

Sul ring dei dazi: Donald Trump vs. Ursula von der Leyen (Immagine generata da Grok AI)
Trump sembra voler scardinare questo sistema normativo attraverso una guerra commerciale piuttosto che tramite negoziazioni diplomatiche più lunghe e complesse. L’imposizione di alti dazi sulle esportazioni europee potrebbe costringere Bruxelles a fare concessioni regolatorie o a ridurre alcune delle sue normative più restrittive. In altre parole, colpire economicamente l’Europa potrebbe essere parte di una strategia più ampia per aprire il mercato europeo ai prodotti statunitensi senza dover necessariamente adeguarsi alle regole dell’UE.
Dal punto di vista geopolitico ed economico, questa strategia comporta rischi elevati: una frammentazione dell’UE o un suo indebolimento normativo potrebbe destabilizzare il sistema commerciale globale e compromettere relazioni transatlantiche già fragili.
Le previsioni economiche: inflazione e crescita stagnante
Secondo Goldman Sachs, l’impatto dei dazi sarà ampio e negativo:
– L’inflazione core potrebbe raggiungere il 3,5%, ben al di sopra dell’obiettivo del 2% fissato dalla Federal Reserve.
– La crescita economica rallenterà drasticamente, con una previsione di appena lo 0,2% annuo per il 2025.
– La probabilità di una recessione è salita al 35%, rispetto al 20% stimato in precedenza.
Moody’s Analytics concorda sul rischio di stagflazione: l’aumento dei prezzi ridurrà il potere d’acquisto delle famiglie americane, mentre il rallentamento della crescita potrebbe portare a due trimestri consecutivi di contrazione del PIL.
Il costo sociale: disoccupazione in aumento
I dazi potrebbero avere un impatto significativo sul mercato del lavoro:
– Moody’s stima che la disoccupazione potrebbe salire al 7,5% entro il prossimo anno, rispetto al tasso attuale del 4,1%.
– Se i dazi dovessero innescare una recessione, si potrebbero perdere fino a 3,5 milioni di posti di lavoro entro il 2027.
Le industrie più colpite saranno quelle che dipendono dalle importazioni, come l’automotive e l’elettronica. Ad esempio, i prezzi delle automobili potrebbero aumentare del 13,5%, rendendo meno accessibili i veicoli per molte famiglie americane.
Le implicazioni globali: una guerra commerciale senza vincitori
La strategia tariffaria di Trump sta provocando reazioni dure da parte dei partner commerciali:
– La Cina ha già annunciato contromisure sui prodotti americani, mentre l’Unione Europea sta preparando azioni simili.
– Economie asiatiche altamente dipendenti dalla domanda americana stanno cercando mercati alternativi.
Questa escalation minaccia il sistema commerciale globale basato sulla liberalizzazione post-bellica. Secondo Moody’s, il rischio è quello di un collasso delle relazioni economiche internazionali, con effetti devastanti per tutti i paesi coinvolti.
Conclusioni: un equilibrio precario
La brutale politica dei dazi impostata da Trump rappresenta una scommessa molto rischiosa: ridisegnare le dinamiche economiche globali a favore degli Stati Uniti. Dal punto di vista della teoria dei giochi – richiamando l’analisi dell’equilibrio di Nash – la strategia tariffaria sembra configurarsi come un “gioco non cooperativo” dove ogni paese cerca di massimizzare il proprio vantaggio senza considerare gli effetti collettivi. Questo approccio rischia di portare a un equilibrio subottimale che penalizza tutte le parti coinvolte.
LinkedIn: Pasquale Merella