Il caso de Meo: è allarme rosso per l’auto made in Europe?

scritto da il 16 Giugno 2025

L’addio inatteso di Luca de Meo al Gruppo Renault non ha l’aria di essere un ordinario avvicendamento ai vertici di un grande gruppo industriale. E’ un segnale d’allarme che risuona forte in tutto il settore automotive europeo. Perché il ceo della casa della Losanga non è un manager qualsiasi: è uno dei più profondi conoscitori dell’auto, cresciuto all’ombra di Sergio Marchionne, capace di lasciare un segno in ogni azienda guidata. Dalla rinascita della Fiat 500 nel 2007 all’invenzione del brand Cupra nel gruppo Volkswagen, fino allo spettacolare risanamento e rilancio di Renault: dal baratro del 2020 – con otto miliardi di perdita – al miglior margine operativo della sua storia.

De Meo e il progetto dell’Airbus dell’auto

Non è solo il percorso brillante di un top manager, ma la traiettoria di un visionario che ha saputo leggere in anticipo i cambiamenti, anticipare la concorrenza e proporre soluzioni innovative. De Meo è stato tra i primi a riconoscere la portata della minaccia cinese, non solo commerciale ma industriale e strategica. Da presidente di Acea, l’associazione dei costruttori automobilistici europei, ha promosso con forza l’idea di una “Airbus dell’auto”: una grande alleanza continentale per condividere risorse, piattaforme, tecnologie e affrontare uniti la transizione elettrica.

Il nein di Wolfsburg e i cinesi di BYD alle porte

Quella visione, però, è rimasta inascoltata. Wolfsburg ha detto “nein” a un progetto comune con Renault per una citycar elettrica del popolo. Volkswagen ha preferito ballare da sola, tentanto il rilancio in Cina attraverso nuove partnership. Stellantis ha mantenuto un approccio attendista, senza spingere davvero verso una risposta collettiva. Negli ultimi mesi erano circolate voci di un’alleanza con Renault, sempre smentite. Così, mentre la concorrenza cinese incombe – con BYD pronta a produrre in Ungheria in autunno – il mercato europeo dell’auto elettrica resta impantanato tra regolamenti stringenti, costi elevati e domanda più debole degli auspici. La frammentazione industriale, in un momento in cui servirebbero coesione e strategia, si è trasformata in un freno difficile da superare.

de Meo

Il ceo del Gruppo Renault, Luca de Meo, partecipa alla conferenza Viva Technology dedicata all’innovazione, presso il centro espositivo Porte de Versailles a Parigi, Francia, 11 giugno 2025. REUTERS/Gonzalo Fuentes

Negli ultimi mesi, poi, è emersa un’altra questione: la spinta verso una riconversione industriale in chiave difensiva. Il piano ReArm Europe promosso da Bruxelles e la crescente domanda di tecnologie militari possono modificare la traiettoria dell’industria. Per Renault si aprirebbe dal 2026 il capitolo della produzione di droni in Ucraina, con il diretto impulso di Parigi, che detiene il 15% del capitale. Volkswagen non ha mai escluso la possibilità di riconvertire alcune fabbriche tedesche alla difesa. È un cambio di paradigma inquietante, che solleva interrogativi sull’identità futura dell’automotive europeo.

Che cosa ci dice la scelta di Luca de Meo

In questo contesto, la decisione di Luca de Meo di accettare la guida di Kering (secondo le indiscrezioni di Le Figaro), colosso in crisi del lusso francese (netto calo delle vendite e -43% in Borsa solo nell’ultimo anno), potrebbe apparire tutt’altro che casuale. Non sembra un semplice voltar pagina in una carriera più che brillante, ma potrebbe essere letto come la scelta di chi ha colto in anticipo i segnali di una crisi strutturale e ha scelto di non restare invischiato in trame che non gli appartengono, per storia personale e formazione culturale.

Un manager che ha dedicato tutta la vita professionale all’auto, rilanciando marchi storici e creando nuove realtà. Che ha promosso alleanze come quella con i cinesi di Geely (il gruppo che controlla Volvo e che pesa per il 10% nel gruppo Mercedes-Benz), mirata a ridisegnare il futuro del motore termico. E che ora, con un passo laterale, lancia un messaggio che non è possibile ignorare.

Questa svolta sembra, quindi, espressione di un sintomo. Se anche un profilo di questo calibro sceglie di cambiare orizzonte, significa che è allarme rosso. Non si tratta solo di vendite, elettrificazione o costi: è in gioco la fiducia nella capacità dell’Europa di fare sistema, di rispondere unita alle sfide globali. Il rischio è perdere non solo la competizione tecnologica, ma anche la leadership culturale e industriale in un settore che ha definito l’identità europea per oltre un secolo.