Credit management e AI: tra banche e imprese decide la fiducia

scritto da il 18 Luglio 2025

Post di Greta Antonini, Chief Marketing & Communication Officer di Opyn

Nel panorama della trasformazione digitale, l’intelligenza artificiale è senza dubbio uno dei driver più discussi. Ma se allarghiamo il campo al credit management, ci accorgiamo subito che le promesse dell’AI viaggiano a velocità diverse. Il cambiamento c’è, ma non è uniforme. Alcuni attori stanno correndo, altri sono ancora fermi al palo. E la linea di frattura si gioca soprattutto sulla fiducia.

Per capire meglio lo stato dell’arte, in Opyn abbiamo promosso con Ipsos la prima ricerca italiana dedicata all’adozione dell’AI nella gestione del credito. Un lavoro che ha coinvolto oltre 70 CFO e credit manager di aziende medio-grandi e 13 istituzioni finanziarie, tra cui banche tradizionali, locali e fintech. L’obiettivo? Misurare la distanza tra percezione e realtà, tra hype e operatività.

Banche e aziende: due visioni opposte

Il primo dato che salta agli occhi è una vera polarizzazione nell’approccio all’intelligenza artificiale. Tutte le banche coinvolte hanno dichiarato di aver già avviato investimenti in ambito AI: valutazione del rischio, onboarding, antiriciclaggio e gestione documentale sono i principali campi di applicazione. E soprattutto, il 100% di loro si dichiara fiducioso nei confronti della tecnologia.

Ben diversa la posizione delle imprese. Solo il 27% dichiara di usare l’AI per la valutazione dei propri clienti e appena l’11% si affida a provider esterni. Il resto rimane legato a una logica relazionale, spesso basata sulla conoscenza diretta del cliente. Il dato forse più rivelatore? Solo la metà dei credit manager interpellati afferma di avere fiducia nell’AI. Una distanza culturale evidente, che frena l’adozione anche nei casi in cui la tecnologia potrebbe generare vantaggi operativi e strategici.

Valutazione e monitoraggio: AI come acceleratore

Il credito è storicamente uno dei settori più regolati e delicati. Per questo, quando si parla di introdurre l’intelligenza artificiale nei processi decisionali, le cautele sono comprensibili. Ma anche limitanti. La capacità dell’AI di elaborare grandi moli di dati, incrociando fonti eterogenee – finanziarie, reputazionali, ESG – rappresenta un’opportunità concreta per migliorare la qualità delle valutazioni e ridurre il rischio di insolvenze, soprattutto in contesti con alta rotazione di clientela o cicli di fornitura complessi.

Le banche, infatti, lo hanno già compreso: nella maggior parte dei casi, effettuano monitoraggi mensili o addirittura giornalieri sui propri clienti. Le imprese, invece, spesso si limitano a una valutazione iniziale e a controlli sporadici, non continuativi. Anche in questo, l’AI potrebbe portare un’evoluzione significativa, trasformando la gestione del rischio da reattiva a predittiva.

credit management

(Designed by Freepik)

La vera differenza? La qualità del dato e le nuove competenze

Tra i fattori che condizionano l’adozione dell’AI nel credit management, la qualità dei dati disponibili gioca un ruolo chiave. Le banche si affidano a database consortili, fonti certificate e documentazione interna, con una capacità maggiore di integrare dataset strutturati e continuamente aggiornati. Le aziende, in molti casi, si basano su fonti meno consolidate o di difficile accesso.

Ed è proprio questo uno dei punti più delicati: senza dati affidabili, l’AI non funziona. Peggio, può produrre distorsioni. Ecco perché in Opyn abbiamo scelto un approccio che combina algoritmi e intelligenza umana, con modelli trasparenti e auditabili che integrano dati certificati, documenti bancari, relazioni, conti correnti e fonti ESG.

Quello che emerge con chiarezza dalla ricerca è che la tecnologia da sola non basta. Servono nuove competenze per leggere e interpretare i modelli AI, per governare strumenti sempre più sofisticati senza perdere il controllo. E serve un cambio di mentalità, che superi il timore dell’automazione per abbracciare una logica più ibrida, dove l’AI assiste senza sostituire.

Il credit manager del futuro dovrà sapere come interrogare un modello, comprenderne logiche e limiti, verificarne l’output. Così come serviranno policy chiare su etica, responsabilità e trasparenza.

Una questione culturale

L’adozione dell’intelligenza artificiale nel credit management non è solo una questione tecnica. È una questione di cultura aziendale. Le banche, spinte dalla pressione normativa e dall’esigenza di scalabilità, hanno già intrapreso questa strada. Le imprese, soprattutto le PMI, sono ancora alla finestra. Ma il tempo per osservare sta finendo.

Chi saprà integrare AI, capitale umano e dati affidabili avrà un vantaggio competitivo. Chi resterà legato a processi tradizionali rischia di rimanere indietro.

Il credito del futuro sarà sempre più digitale, predittivo e personalizzato. Ma soprattutto, sarà il risultato di un dialogo tra intelligenze diverse. Quelle umane e quelle artificiali.