Europa senza statura, 5 passi nel nuovo mondo. Che non aspetta

scritto da il 01 Settembre 2025

In Europa non mancano le risorse: manca la statura di chi le governa. Industria, università, mercati e capitale umano potrebbero fare del continente un attore globale. Ma una classe dirigente allevata alla custodia di equilibri novecenteschi continua a ragionare con mappe obsolete: Washington al centro, Europa subalterna, Russia ai margini, Cina e paesi emergenti relegati a comparse.

I leader più capaci hanno preservato lo status quo, senza ambizione né visione

Monti ha scelto l’austerità: conti in ordine, ma crescita zero. Draghi ha privilegiato l’allineamento atlantico: credibilità verso Washington a scapito dell’autonomia. Mattarella ha custodito l’assetto del dopoguerra: stabilità istituzionale senza rifondazione strategica. Tre approcci che hanno garantito equilibrio ma ridotto il potenziale di leadership e la statura internazionale. Scelte inadeguate per il mondo che ci aspetta.

La nuova generazione gestisce il consenso, non disegna futuro

Formata tra segreterie di partito e banche d’affari, la leva di oggi amministra il quotidiano senza volontà di rilevanza. Meloni, Macron, von der Leyen, Schlein, Salvini sono abili nel piccolo cabotaggio, esitanti nell’immaginare un continente protagonista. Le fotografie nello Studio Ovale parlano da sole: leader europei in posa da scolari, non da pari.

Il vizio d’origine è la deferenza a un ordine sorpassato

L’Europa si è formata quando il dollaro era stella polare, le regole si scrivevano a Washington e la sicurezza si delegava alla NATO. Un mondo che ricorreva ad avamposti di controllo regionale: Hong Kong come finestra asiatica, Israele come baluardo mediorientale, l’arco slavo — Ucraina compresa — come linea di contenimento a Est. Quell’architettura è tramontata: insistere significa accettare marginalità.

Il mondo è cambiato: chi cresce e chi no

Oggi l’Asia genera circa il 60% della crescita globale e l’Indo-Pacifico concentra quasi metà del commercio. Entro il 2030, Asia ed emergenti saranno responsabili di oltre il 70% dell’espansione mondiale, mentre la quota UE sul Pil globale è scesa dal 25% del 1990 a circa il 15% di oggi. In più, Cina, India, Brasile, Russia, Turchia e GCC compongono ormai un sistema a geometria variabile: cooperano su un dossier e competono sul successivo — senza dipendere più dai paesi industrializzati come in passato. Il vertice di Tianjin (agosto 2025) lo ha mostrato: i leader emergenti hanno fissato le priorità di politica e sicurezza senza l’Occidente, lasciando l’Europa spettatrice. In questo teatro le alleanze sono strumenti, non identità. L’equilibrio non si eredita, si costruisce.

La sveglia all’Europa è arrivata a schiaffi

L’illusione che la fedeltà storica garantisse un trattamento di favore si è infranta. I dazi USA hanno archiviato il dogma del libero scambio. La NATO ha trasformato un’alleanza in una fattura da pagare. Le esplosioni al Nord Stream nel 2022 hanno distrutto infrastrutture e certezze. L’Europa ha pagato caro: oltre 400 miliardi di euro in più di import energetico, gas per le imprese a costi quattro volte superiori rispetto agli Stati Uniti, competitività industriale erosa, famiglie stremate da bollette alle stelle.

Europa

Mario Draghi, Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron (immagine generata da Grok 3)

Pochi mesi prima, l’appello di Draghi a “scegliere tra pace e condizionatori” (ovvero a fare sacrifici per la Pax americana) aveva fotografato la dipendenza. Il Baltico ha presentato il conto: margini bruciati e vulnerabilità strategica.

Le diagnosi non bastano se non si individuano le cause

A Rimini (agosto 2025) Draghi e Meloni hanno ammesso che l’Europa è debole. Osservazione corretta, ma parziale: la fragilità nasce dall’aver amministrato il continente con logiche subalterne, in un ordine che non esiste più. Oggi tutti i leader riconoscono che l’Europa conta poco, ma nessuno spiega perché. Il declino non è destino: è esito di scelte, e porta la firma di chi oggi lo denuncia senza correggerne le radici.

Che fare? In casa, costruire le fondamenta

Senza investimenti l’autonomia è un’illusione. Cinque i pilastri, concatenati l’uno all’altro: 1) materie prime critiche, da estrarre e riciclare con procedure rapide e capitali pazienti; 2) energia, assicurata da contratti a lungo termine, stoccaggi e reti integrate — per ridurre un differenziale di costo con gli USA che oggi erode la competitività europea; 3) tecnologia, con investimenti pubblici, standard comuni e filiere deep-tech — dall’AI alla green tech — sostenute da domanda istituzionale che faccia da traino; 4) difesa, con capacità navali, aeree e cibernetiche integrate in una filiera industriale europea, perché senza sicurezza militare non esiste autonomia geopolitica; e 5) capitale di rischio, attraverso un vero mercato unico dei capitali, altrimenti startup e innovazione emigrano. Per finanziare questa nuova architettura serve un passo politico: il debito comune europeo è un’ovvia necessità, non un tabù.

All’esterno, una strategia a geometria variabile

In un sistema multipolare non esistono alleanze eterne: contano le convenienze, non le fedeltà. Con la Russia, quando le condizioni lo consentiranno, la priorità sarà assicurarsi energia e metalli, indispensabili alle filiere industriali. Con il Mediterraneo e il Medio Oriente, la sfida è accedere a capitali, logistica, e mercati — i soli fondi sovrani del Golfo superano i 4.000 miliardi di dollari; la regione conta 250 milioni di under-25 e una domanda crescente che può trainare beni e servizi europei. Con i paesi avanzati, la posta in gioco è la tecnologia e la definizione degli standard globali. Interdipendenza sì, ma contrattuale e reversibile: deve garantire margini di manovra senza cedere sovranità.

La cultura è infrastruttura strategica

Un’Europa che ambisce a diventare terzo polo tra Stati Uniti e Cina non può contare solo su fabbriche e arsenali. Deve integrarsi con i vicini, puntando sulle radici culturali. Insieme, Europa, Mediterraneo e Russia superano 1,1 miliardi di abitanti: un bacino demografico paragonabile a quello di Cina e India. Ibn Khaldûn ricordava che le potenze cadono quando perdono coesione e la capacità di collaborare con i paesi limitrofi. La tradizione russa — da Tolstoj a Dostoevskij, da Čajkovskij a Kandinskij — è strumento di conoscenza e leva di potere. Serve a leggere il mondo, prevenire errori, pesare davvero.

Per contare, l’Europa deve tornare a decidere

Due compiti, semplici da enunciare e difficili da realizzare: far rinascere casa propria e tenere in equilibrio i pesi del mondo. Servono leader con responsabilità chiare e liberi da dipendenze, capaci di dire sì quando conviene e no quando serve. Il vecchio mondo è finito; il nuovo non aspetta.

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