Il tallone d’Achille delle banche e l’insidia delle startup fintech

scritto da il 18 Febbraio 2016

Quali sono le conseguenze della blockchain per le banche?

Dopo la caduta di Lehman Brothers nel settembre 2008, otto delle più grandi banche europee hanno annunciato licenziamenti di massa fino a 100.000 dipendenti, pagato 63 miliardi di dollari  in sanzioni, e perso 420 miliardi di dollari valore di mercato.

Nel 2015, la Deutsche Bank ha accumulato una perdita record di 6,8 miliardi di euro. A metà febbraio il settore ha subito un sell-off (ondata di vendite in Borsa) epico che ha visto i tassi di interesse scendere sotto zero, la Cina rallentare notevolmente, il prezzo del petrolio cadere bruscamente, e incombenti costi di regolamentazione, innescando un focolaio di paura che non si vedeva dalla caduta del 2008.

In questo momento sembra che le banche debbano reinventare la propria strategia operativa al fine di poter prosperare in un mercato che cambia continuamente e  viene rimodellato simultaneamente sia da una normativa nuova e al tempo stesso rigorosa, sia da una miriade di startup fintech che sembrano muoversi su un binario parallelo.

A partire dagli anni ’90, gli istituti di credito hanno cercato di costruire la loro forza attraverso il consolidamento. Sono diventati quasi dei supermercati finanziari, luoghi di commercio di prodotti e servizi da offrire al maggior numero di clienti possibile.  Si trattava di un sistema di pensiero costruito sulla promessa di efficienza e di crescita. Ora, al contrario, le banche universali in Europa stanno attraversando una fase di decostruzione. “Per giocare, una banca deve essere integrata”, dice Clayton Christensen, un professore di Harvard Business School, autore del trattato “Il dilemma dell’innovatore” pubblicato nel 1997.

“Quello che sta succedendo nel loro mondo è che sta diventando più modulare. Più servizi possono essere forniti da soggetti indipendenti. A poco a poco, i clienti potranno allontanarsi dal vecchio sistema ed iniziare a far parte di un nuovo sistema”.

Allo stesso tempo, la diffusione di sistemi di prestito peer-to-peer, del mobile banking, e dell’avvento della blockchain, il software che alimenta i bitcoin, rappresenta sicuramente una sfida per le banche, alla ricerca di modi per semplificare la gestione del denaro e dei pagamenti.

Sembra infatti che le banche facciano a gara per cercare di istituire acceleratori in grado di incubare start-up fintech. Più di 100 start-up stanno ora guadagnando terreno sul piano dei servizi di base offerti dal sistema bancario negli Stati Uniti e nel Regno Unito, secondo CB Insights.

“C’è un cambiamento fondamentale in atto nelle banche”, dice Sam Hocking, ex corresponsabile delle vendite globali  nell’unità di prime brokerage di BNP Paribas. “Vedono dei costi altissimi nella tecnologia da loro utilizzata, e se ci sono modi per abbatterli, lavorando anche con società esterne, ciò sembra essere una soluzione ragionevole”. Hocking ora gestisce AltX, una startup di San Francisco che produce analisi di portafoglio per hedge fund, manager e investitori.

Eppure, nonostante le banche siano aperte al cambiamento, ciò non vuol dire che siano pronte per accoglierlo.

Vi è ancora un eccesso di regolamentazione che impedisce la piena e completa integrazione tra le banche e le startup fintech.

La recente discussione al Parlamento del Regno Unito della “Bank of England and Financial Services Bill” ha sollevato preoccupazioni circa l’implicazione di nuove tecnologie, come la blockchain, sulla liquidità bancaria e la solvibilità. Tra le altre cose, il disegno di legge introduce disposizioni intese a modificare la governance e gli accordi di responsabilità della Banca d’Inghilterra.

Le clausole 12-15 del disegno di legge prevedono il conferimento alla Banca del ruolo di Prudential Regulation Authority (PRA) e l’introduzione di un Prudential Regulation Committee (PRC) all’interno della Banca. Ciò renderebbe le banche delle entità autoresponsabili di una regolamentazione interna, cosiddetta “micro-prudential”. È questa l’opinione di Richard Burgon, un esponente del partito laburista britannico, il quale ha sostenuto che “l’effetto della clausola 12 sarà quello di rendere la Prudential Regulatin Authority una mera sottocommissione all’interno della Banca d’Inghilterra e non più un’entità distinta”.

Facendo riferimento alla solvibilità delle istituzioni, Burgon ha detto che un regolatore microprudenziale deve avere una funzione importante che coinvolga lo svolgimento di prove e test atti a garantire che i singoli istituti finanziari abbiano messo da parte un capitale sufficiente ed adeguato quale garanzia.

Egli ha inoltre sottolineato che le regolamentazioni organizzate a livello interno sono tanto più importanti in considerazione del fatto che stanno sempre più prendendo piede le  cosiddette nuove banche basate sulla tecnologia blockchain.

Soltanto un’istituzione finanziaria sicura potrà competere con le startup innovative. Tuttavia quello che è il punto forte delle banche, ovvero l’attuazione di un sistema di regolamentazione, si rivela poi essere anche il punto debole delle stesse.

Alla fine, infatti, i problemi del settore bancario possono essere tutti ricondotti ad una sola chiave di lettura: il costo di complessità. Dal momento in cui il mercato finanziario è diventato globale, gli scettici hanno sempre definito i colossi finanziari come troppo grandi da gestire e troppo grandi per fallire.

Le istituzioni finanziarie hanno prosperato per anni nella complessità, quando invece ciò che chiedono i consumatori è soltanto chiarezza e trasparenza ed è proprio questa l’offerta con cui le startup fintech stanno fronteggiando la competizione con le banche.

Twitter @simeoneantonio1