Stabilità finanziaria: e se le banche centrali fossero già troppo invadenti?

scritto da il 05 Novembre 2016

Vogliamo farci un’idea su come lavoreranno nel futuro le Banche Centrali? Propongo questo paper di Luiz Awazu Pereira da Silva, vicedirettore generale della banca dei regolamenti internazionali (BRI). Il lavoro fa riferimento ai “paesi a reddito medio” (perché chiamarli “emergenti ormai ben emersi” era brutto), ma le considerazioni sono ben estensibili ovunque dato che questi paesi sono identificati da un mercato finanziario non ben sviluppato ma soprattutto banco-centrico (vi dice nulla?).

Il punto di partenza del lavoro è perfino trito: le manovre su tassi e offerta di moneta guidate dall’obiettivo inflazionistico possono destabilizzare il mondo finanziario. La questione è evidente per le economie “piccole e aperte”, che hanno subito le inondazioni monetarie di Federal Reserve, BCE e Banca del Giappone nella loro titanica – e inutile – lotta per riportare l’inflazione a il target. Ma gli effetti sono chiari anche nelle economie “avanzate”, salvo sostenere che i valori di certe Borse o di certi titoli non sono in “bolla” e che i tassi negativi non sono economicamente insensati. Gli effetti sono una allocazione disfunzionale delle risorse, rischio mal-prezzato, ondate e riflussi poderosi su materie e su valute, disincentivi al controllo delle finanze pubbliche… tutto a danno delle prospettive di crescita economica. Già, perché alla fine ci si è accorti che il problema delle bolle non è quando scoppiano, ma inizia già con il loro gonfiarsi.

Il gettonatissimo inflation targeting è la combinazione di un focus esplicito sull’inflazione, di un sistema istituzionale ad hoc e di strumenti informativi e comunicativi adeguati a creare consenso sulla politica monetaria (e quindi a guidare le aspettative). Nella pratica è già stato integrato da strumenti diretti a gestire alcune conseguenze negative sulla stabilità dei mercati finanziari: si pensi alla poderosa normativa di Basilea, al proliferare di indici di capitalizzazione e liquidità per le banche, alle tecniche di ponderazione per il rischio degli attivi bancari, ed alle soluzioni “precauzionali” più o meno artigianali di volta in volta sul tavolo (SREP, stress test, limiti alla detenzione di bond statali…). Che questi strumenti aggiuntivi di Stabilità Macroeconomica diventino di volta in volta più numerosi penetranti e pervasivi la dice lunga: nel tentativo di “aggiustare” un problema specifico (l’inflazione), l’agente monetario statale (o sovra-statale) crea una serie di altri problemi che con il tempo non si esauriscono bensì si accumulano e ingrossano. E quale è la risposta? Ulteriori strumenti, ci mancherebbe!

L’idea del paper è quindi un inflation targeting integrato, dove l’obiettivo inflazionistico possa anche venir sacrificato a ragioni più generali di stabilità finanziaria misurata tramite indicatori di crescita “anomala” del credito. In tale contesto le vecchie leve monetarie diventano troppo rozze: alzare “un tasso di riferimento” per far sgonfiare una bolla significa creare pressioni restrittive su tutta l’economia e quindi anche su settori non in bolla, e incrementare l’offerta di moneta per stimolare il credito in settori depressi implica stimolarlo anche in settori adeguatamente funzionanti mandandoli in bolla. Ecco allora la proposta di strumenti più “fini”, come specifici controlli al movimento dei capitali o interventi sulle singole valute, e soprattutto indici loan-to-value (importo prestito rispetto alla garanzia), debt-to-income (importo del prestito rispetto al reddito) e buffer (cuscinetti di capitale proprio di chi presta) variabili a seconda dei settori interessati, della geografia e del giudizio sul livello di bolla del sistema o settore.

Siamo cioè perfino oltre la sbornia regolatoria corrente che a regime incastrerà i bilanci bancari in una struttura più o meno standard (le ponderazioni per il rischio RWA e gli indici di liquidità minimi alla fine dirigono il credito e la parte di bilancio “investito”, gli indici di patrimonializzazione scaglionati per tipologia di strumenti e il più generale indice di indebitamento plasmano nella sostanza il passivo bancario – ho toccato la questione anche qui), con già aggiunti i buffer anti-ciclici. Siamo già a ragionare di imporre indici loan-to-value a seconda della valutazione centralizzata e quanto si vuole parametrizzata del montante (neppure conclamato, ma già solo montante) livello di stress… settore per settore!

Le banche hanno già rivisto da sole certi parametri (come ad esempio il rapporto tra importo del mutuo e valore stimato dell’immobile in garanzia). La loro colpa sarebbe di averlo fatto troppo tardi a crisi già esplosa, essendosi invece mosse pro-ciclicamente durante la creazione della bolla. L’inflation targeting Integrato invece prevede che tale indice sia stabilito dalla Banca Centrale per smorzare sul nascere il ciclo. Se questo è il sentiero futuro, le banche diventeranno uno strumento “sociale” fattualmente etero-diretto di direzionamento preventivo del credito secondo le previsioni (previsioni!) delle Banche Centrali.

Non male come pretesa da parte di istituzioni che hanno distorto e destabilizzato il mondo finanziario sull’assunzione – provatasi sbagliata – di far quel che serve per raggiungere un certo target di inflazione. Tra l’altro nemmeno è chiaro su quale base quantitativa una Banca Centrale potrebbe essere in grado di battezzare preventivamente l’evoluzione di una situazione – generale o settoriale – come tendente alla bolla o in via di deflazionamento.

L’idea è di calcolare indici credito-PIL di equilibrio (sia generali che settoriali, a questo punto) e poi far reagire la Banca Centrale in via automatica su tassi buffer e indici vari, il che è un’altra formidabile pretesa per chi ha dimostrato di non aver capito il legame corrente tra politica monetaria e inflazione. Vale la pena ricordare che una tale analisi è già stata svolta ai fini delle novità normative di Basilea III, concludendo che il rapporto debito-PIL non è di particolare aiuto. D’altra parte, però, una tale raffinata gestione centralizzata ha bisogno di contesti in qualche modo “stabili”, dove la sostenibilità delle finanze pubbliche (il paper parla esplicitamente di questione demografica e pensionistica) non sia in dubbio, così da non creare perturbazioni ulteriori sui tassi di interesse.

Certo, da europei potremmo scrollare le spalle, in quanto il paper parla di “emergenti emersi” che devono adattarsi alle macro-politiche dei paesi avanzati. Ma come ho già detto si sta parlando di problemi che non hanno risparmiato nessuno (nemmeno la UE), e che toccano economie aperte, banco-centriche e con una crescente questione demografica e pensionistica. La questione è quindi facilmente trasportabile a livello di singoli Stati europei (tipo l’Italia) magari rubricata come “problematica interna” dell’Euro Zona (flussi e deflussi lasciano segni negli sbilanci del Target2). Chi ha a cuore l’aspetto imprenditoriale dell’attività bancaria dovrebbe molto preoccuparsi di certe prospettive.

La questione non cambia stando fuori o dentro l’euro, magari peggiora pure (chi vince tra un’onda e una goccia d’acqua?), seppure i suggerimenti del paper possano essere graditi da quei “sovranisti” che predicano un sistema bancario strategicamente subordinato a una Banca Centrale a sua volta politicamente dipendente dal Governo.

L’inesistenza di pasti gratis significa anche che non si può agire dall’alto su un aspetto della vita economica senza pensare di avere ripercussioni non gradite su altri aspetti. Rincorrere continuamente i nuovi problemi con ulteriori soluzioni allopatiche – l’approccio dominante – non fa altro che ampliare gli effetti indesiderati.

Twitter @LBaggiani