I protezionisti sono i veri amici della casta e delle élite

scritto da il 17 Febbraio 2017

Pubblichiamo un post di Giovanni Caccavello, research fellow in European Policy presso EPICenter ed Institute of Economic Affairs. Master (MSc) in economia dello sviluppo presso la University of Glasgow

Mercoledì 15 Febbraio il Parlamento Europeo ha finalmente approvato l’accordo economico e commerciale globale con il Canada (indicato con la sigla CETA).
Grazie a questo voto, una buona parte di tale importante trattato entrerà in vigore a partire dai prossimi mesi. Il CETA è un accordo misto perché, oltre ad avere aspetti che riguardano esclusivamente l’intera Unione Europea, ne ha anche altri che interessano i singoli Stati Membri. Proprio per questo motivo tutti i parlamenti dei 28 paesi UE saranno prossimamente chiamati a ratificare questo accordo.

Come tutti ricorderanno, solo pochi mesi fa (a fine ottobre 2016), l’accordo commerciale tra Unione Europea e Canada stava per capitolare dopo anni di intense trattative, iniziate nel lontano 2009. Colpa dei nazionalisti nostrani? Questa volta no. La colpa era della piccolissima assemblea regionale della Vallonia la quale, gridando allo scandalo, si opponeva ad un accordo storico, voluto dai governi di tutta l’Ue, area geografica che comprende circa 510 milioni di persone.

Un atto di democrazia? No, semplicemente l’atteggiamento infantile di chi, nonostante 250 anni di consenso praticamente unanime tra gli economisti, crede ancora che gli accordi di libero scambio tra nazioni siano un pericolo per tutti i cittadini.

Se da un lato le proteste contro il CETA promosse da Paul Magnette, attuale ministro-presidente della Vallonia, hanno rischiato di porre la parola fine all’accordo economico e commerciale globale tra EU e Canada, dall’altro lato hanno messo in evidenza un aspetto ancora più importante: coloro che oggi si oppongono al libero mercato e alla globalizzazione sono i primi ad essere contro i cittadini, contro il progresso, contro la crescita economica, a favore dell’élite, della casta, pensando solo al proprio tornaconto.

Un situazione analoga si era verificata già nel 19° secolo, nel Regno Unito, con le “Corn Laws”, leggi che imponevano dazi sulle derrate agricole. Questi provvedimenti furono approvati nel 1815 per difendere gli interessi dei grandi proprietari terrieri britannici, quasi tutti ricchi aristocratici, dai prezzi più competitivi dei cereali provenienti dalle altre colonie britanniche.

Poco importa a tutti questi “amici dell’élite” se il forte processo di globalizzazione e di apertura dei mercati, avvenuto negli ultimi 30 anni, ha permesso a centinaia di milioni di persone nel mondo di uscire dalla povertà assoluta (pensiamo alla Cina, ad esempio). L’importante è trovare un colpevole e far credere al cittadino medio che, solo attraverso un “protezionismo economico intelligente”, si possa rendere il proprio paese “grande” come in passato.

E’ inutile ribadire ancora una volta che tutte le preoccupazioni sul CETA (il TPP ed il TTIP sono ormai morti a causa dell’amministrazione Trump) sono infondate. Come tutti i trattati commerciali stipulati in passato, il CETA stimolerà la crescita economica, sosterrà la creazione di nuovi posti di lavoro – studi della Commissione Europea stimano circa 14.000 nuovi posti di lavoro all’interno dell’Unione per ogni miliardo di euro in esportazioni –  e aiuterà milioni di piccole e medie imprese europee (quindi anche italiane) a trovare nuove opportunità di sviluppo e crescita, in un mercato importante come quello canadese.

Infatti, nonostante una popolazione di soli 36,5 milioni di abitanti, il Canada è la decima economia del mondo ed è già tra i principali partner commerciali dell’Unione Europea. Oltre a questo, dati del Massachusetts Institute of Technology, riportano che, in termini di volume, l’Italia è il terzo paese dell’Unione Europea a esportare maggiormente in questo stato nord-americano.

Subito dopo la ratifica da parte del Parlamento Europeo, diversi capi di partito nostrani, come ad esempio Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Beppe Grillo (giusto per citare i più famosi), hanno subito alzato il tiro sui social media, scrivendo che CETA è un accordo che va contro i popoli, a favore delle multinazionali, che ci priverà di molti diritti sociali.

A questi argomenti protezionisti, che hanno un sapore da anni ’30, bisogna rispondere che il CETA non è un accordo che va contro i popoli, ma è un trattato trasparente, che non favorisce le grandi società e non ridurrà alcun diritto sociale.

Tra tutti questi temi, uno dei più ricorrenti e falsi è quello riguardante la cosiddetta “risoluzione delle controversie tra investitore e stato”, in inglese conosciuta con la sigla di ISDS (ovvero, Investor-State Dispute Settlement).

Contrariamente alla vulgata corrente, sistemi di risoluzione delle controversie tra investitori e stato, sono in vigore da circa 60 anni. Stando alle più recenti statistiche UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo), aggiornate al 1 gennaio 2017, ad oggi abbiamo più di 2967 trattati bilaterali per gli investimenti, la stragrande maggioranza dei quali sono regolamentati (guarda caso) da processi di risoluzione delle controversie tra investitori e stato.

Ma c’è di più. Le statistiche UNCTAD evidenziano anche come ad oggi, solo il 26,7% dei procedimenti arbitrali conclusi, sia stato in favore degli investitori (le famose cattivissime multinazionali) ed il 36,4% sia stato in favore dello stato. Del restante 36,9% dei procedimenti arbitrali, il 10,1% sono stati interrotti; il 24,4% si sono risolti con un accordo soddisfacente per entrambe le parti; mentre il 2,4% non è stato deciso né in favore degli investitori, né in favore dello stato.

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Grafico 1: procedimenti arbitrali conclusi – Dati UNCTAD (2017)

E’ interessante notare che dei 514 casi ISDS noti, segnalati dal sito UNCTAD nel 2013, la maggior parte di questi era stato presentato contro regimi autocratici o governi illiberali e più del 20% erano stati depositati contro tre paesi: Venezuela, Ecuador ed Argentina. E’ giusto poi ricordare come – stando all’ultimo indice di libertà economico, redatto dalla Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, questi tre paesi sudamericani si posizionano oggi rispettivamente al 179esimo, 160esimo e 156esimo posto in termini di libertà economica. Al contrario, il Canada, si trova in settima posizione, davanti a tutti i paesi dell’Unione Europea (ad eccezione della piccola, liberale, Estonia).

Chi contesta il CETA vuole lasciar intendere che dovremmo avere paura del Canada, uno dei paesi economicamente più liberi e con la qualità e gli standard di vita più alti del mondo?

L’evidenza economica suggerisce che la crescita di questi processi di risoluzione è ampiamente correlata alla crescita degli investimenti diretti esteri. In altre parole, più gli investimenti diretti esteri crescono, più il numero di risoluzioni tra investitori e stati tende ad aumentare in quanto l’attività economica delle aziende straniere, all’interno di una qualsiasi economia aperta al libero commercio, risulta essere maggiore.

Di conseguenza, è giusto e doveroso spiegare ai cittadini che tali meccanismi giudiziari sono soltanto uno strumento che permette di espandere lo stato di diritto a livello internazionale, di salvaguardare gli investitori contro le azioni arbitrarie di un qualsiasi governo e di proteggere i diritti degli stati a regolamentare importanti interessi nazionali come la sanità o il mercato del lavoro. Visti i quasi tremila trattati bilaterali per gli investimenti che abbiamo, se questi sistemi fossero davvero il male assoluto, saremmo già tutti morti e sepolti.

In altre parole, contrariamente a quanto sostengono i nazionalisti e protezionisti di oggi, solo un mercato internazionale sempre più globalizzato e aperto permetterà alla nostra società di diventare sempre più ricca, libera e prospera.

Twitter @cac_giovanni