Il clamoroso autogol protezionista di Trump

scritto da il 15 Aprile 2017

Pubblichiamo due interventi a firma Lorena Vincenzi e Michele Burattoni, economisti del think tank Prometeia Associazione e autori sul blog L’Atlante– 

IMPOSTA SULLE IMPORTAZIONI USA: CHI PERDEREBBE DI PIU’?

di Lorena Vincenzi

Un aspetto della riforma fiscale per le imprese di cui si sta discutendo al Congresso riguarda il Tax Border Adjustment che prevedere agevolazioni fiscali per le esportazioni e l’introduzione di un’imposta sui beni importati, siano essi prodotti finiti o beni intermedi. Secondo i proponenti, l’introduzione di un’imposta sulle importazioni ha il duplice scopo di coprire il minor gettito legato alla prevista riduzione dell’onere fiscale per le imprese e di scoraggiare le importazioni di prodotti stranieri a favore della produzione interna.

Figura 1. Prodotti intermedi importati dagli USA per settore quota percentuale sulla produzione settoriale totale, $ correnti . Fonte: elaborazioni Prometeia su dati WIOD

Figura 1. Prodotti intermedi importati dagli USA per settore quota percentuale sulla produzione settoriale totale, $ correnti . Fonte: elaborazioni Prometeia su dati WIOD

E’ evidente che i prezzi più alti delle importazioni di beni intermedi aumenterebbero i costi di produzione delle imprese americane in modo non omogeneo, introducendo distorsioni tra i diversi settori e tra le imprese all’interno dello stesso settore, a secondo dell’incidenza delle importazioni nel processo produttivo di ognuna. Inoltre, non è da trascurare l’effetto negativo sull’industria USA legato al contenuto di valore aggiunto statunitense nelle esportazioni degli altri paesi.

I beni intermedi importati incidono per il 4.8% sulla produzione complessiva USA, ma la loro distribuzione settoriale varia tra lo 0.53% per le costruzioni e il 23.5% dei prodotti raffinati del petrolio e del carbone. Per sette macrosettori l’incidenza dei beni intermedi importati è superiore al 10% della produzione complessiva e tra questi si annoverano i settori legati all’automobile e ai mezzi di trasporto in generale (Figura 1). Si tratta di beni intermedi che provengono soprattutto dal Canada in relazione alle materie prime e dal Messico e dalla Cina per i mezzi di trasporto (Figura 2).

Figura 2 - Prodotti intermedi importati dagli USA per settore e per mercato di origine quota percentuale sul totale importato per settore in colonna. Fonte: elaborazioni Prometeia su dati WIOD

Figura 2. Prodotti intermedi importati dagli USA per settore e mercato di origine. Quota percentuale sul totale importato per settore in colonna. Fonte: elab. Prometeia su dati WIOD

Tra i principali paesi europei spicca la Germania come paese di origine di circa l’8% dei beni intermedi per la produzione di veicoli negli USA, più del doppio dell’Italia, che comunque è il secondo paese europeo per rilevanza dei mercati di origine (per la rilevanza degli scambi commerciali all’interno di FCA), abbondantemente superiore a Francia e Regno Unito.

email: lorena.vincenzi@prometeia.com

 

DAZI ALLE AUTO MESSICANE? COSTI IMMEDIATI PER GLI STATI UNITI 

di Michele Burattoni

Nei discorsi di Trump durante e dopo la campagna elettorale, il commercio è stato più volte chiamato in causa e definito poco “fair and balanced” per gli Stati Uniti per prospettare revisioni degli accordi del NAFTA e persino del WTO. E più volte è stata ventilata la possibilità di imporre dazi più meno mirati ad alcuni paesi (per esempio Messico e Cina) o su alcuni prodotti (auto in particolare) nei confronti dei quali la bilancia americana è particolarmente in deficit per riportare “l’equità” negli scambi. Tralasciando considerazioni relative all’attribuzione di colpa per la bilancia statunitense in passivo, abbiamo analizzato il mercato degli autoveicoli con particolare attenzione a Messico e Stati Uniti per valutare quale può essere l’effettiva portata di un provvedimento come quello minacciato e chi ne possa risultare maggiormente colpito.

In Messico nel 2015 sono stati prodotti 3.56 milioni di autoveicoli (Tabella 1), quasi tutti (3.38 milioni) da marche non messicane che hanno localizzato nel paese i loro impianti. La produzione realizzata in Messico è fatta per circa un terzo da case americane, per un altro terzo da case giapponesi e per il 12% da case tedesche. Un ulteriore 14% è realizzato da FCA, che fonde l’italiana FIAT e l’americana Chrysler, e ha ora sede legale in Olanda, a esemplificare come in realtà sia complicato individuare “quale paese” potrebbe in ultimo essere colpito da un dazio. Non sorprende che la maggior parte della produzione realizzata in Messico sia esportata negli USA (dove copre il 10.8% del mercato): fra il 70% e l’80% per le case giapponesi ma per oltre il 90% per quelle americane e per FCA. Per queste ultime case inoltre la produzione realizzata in Messico rappresenta una quota della propria produzione globale superiore a quella delle marche giapponesi o di quelle di altri paesi. Riassumendo, un dazio colpirebbe soprattutto imprese americane e su una quota della loro produzione superiore a quella di altri paesi.

tabella-2

Ma non è tutto. In effetti il settore che produce autoveicoli in territorio messicano non ne realizza qui il 100% del valore aggiunto: una parte di questo è incorporato nelle importazioni di parti e componenti che provengono dai partner commerciali, Stati Uniti compresi. Il valore aggiunto messicano nei veicoli esportati dal Messico è intorno al 51% mentre il restante 49% è prodotto da altri paesi e fra questi è di particolare interesse il 17.8% prodotto dagli Stati Uniti (10.6% per l’industria e 7.1% per i servizi), contro un 6.6% dall’UE e un 4.2% dal Giappone. Per le esportazioni di manifattura complessive il valore aggiunto domestico è il 68%, quello importato dagli USA quasi il 12%. Se è vero che il Messico sarebbe fortemente colpito (il settore automotive rappresenta il 3.4% del PIL comprendendo tutta la filiera) è vero che lo sarebbero anche gli Stati Uniti e in proporzione superiore a quella degli altri maggiori paesi presenti nel settore.

Le conclusioni traibili da queste informazioni sono abbastanza chiare. Un dazio sulle importazioni americane di autoveicoli dal Messico da un lato andrebbe a impattare sulle grandi imprese automobilistiche americane la cui produzione in Messico è quasi totalmente destinata al mercato statunitense rendendone meno profittevole l’attività, dall’altra toccherebbe anche l’industria americana localizzata in patria attraverso la catena del valore aggiunto. L’obiettivo di medio termine di riportare a casa la localizzazione della produzione, (posto che ve ne fossero le condizioni economiche, fiscali e di costo del lavoro) che richiederebbe comunque tempi pluriennali per la costruzione o l’ampliamento degli impianti (è dell’ordine di 24 mesi il tempo minimo necessario per la realizzazione di un nuovo impianto), lascerebbe quantomeno un lungo periodo di difficoltà per un consistente numero di operatori statunitensi.

email: michele.burattoni@prometeia.com