Sostiene Viesti che Milano non è affatto la locomotiva del Paese

scritto da il 20 Aprile 2017

Edoardo Garibaldi a colloquio con l’economista e saggista Gianfranco Viesti

“Il Nord è diverso dal Sud, ma anche Genova è diversa da Treviso”. Per Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all’Università di Bari le differenze interne all’Italia sono sempre state grandissime e continuano ad esserlo. Dovevamo parlare delle “diverse Italie”, di come le ruote del carro italiano girino a velocità differenti. Le differenze tra il prodotto procapite di Milano e quelle di Vibo Valentia sembrano però non interessarlo affatto. Tiene questi dati piuttosto come tappeto su cui appoggiare quello che ritiene più importante: il ruolo di Milano in Italia. “Milano è cambiata – dice Viesti a Econopoly – e non è la locomotiva del Paese”.

A guardare i dati dell’area milanese su occupazione e Pil procapite e comparandoli con quelle delle altre aree italiane potrebbe apparire un’argomentazione controintuitiva. Ma quando Viesti spiega diventa ragionevole: “La circostanza che le regioni forti siano locomotive non ha consistenza fattuale. Chi è forte è autosufficiente e traina poco, non si verifica un effetto di spill-over. L’idea della locomotiva si applica più nelle economie internazionali che a livello nazionale. Siamo il Paese delle differenze, e le dinamiche di relazione tra loro sono cambiate”.

Per Viesti con una crisi così lunga e di straordinaria intensità ci si sarebbe potuto attendere degli impatti maggiormente differenziali tra le grandi circoscrizioni e le diverse città. La crisi è stata generale, di tutto il Paese, ma ha comunque colpito più duramente le regioni più deboli rispetto a quelle più forti e per due motivi. “In primo luogo perché a differenza di tutte le crisi del passato quello che è successo dal 2011, con una caduta forte e resistente della domanda interna rispetto alla domanda internazionale, ha colpito le regioni con un grado di internazionalizzazione più basso”. In secondo luogo per Viesti l’operatore pubblico ha svolto un ruolo prociclico aggravando la crisi con l’”austerità” e politiche fiscali restrittive, accentuando le asimmetrie territoriali: “Non solo perché l’operatore pubblico pesa di più al Sud per le spese in conto capitale, ma anche perché la spesa corrente ha determinato una maggiore contrazione al sud rispetto al nord, e il divario è aumentato”.

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In questo contesto è riemersa la “narrativa” di Milano locomotiva di Italia. “La percezione è che Milano e la sua area abbiano avuto degli sviluppi molto migliori rispetto al resto del Paese. A supporto di questa percezione, però, non ci sono dati economici forti”. Ancora una volta può sembrare stridente con quello che è evidente agli occhi di tutti. La Milano delle torri Generali e Unicredit, con la trasformazione di una grande area urbana come l’Isola e quella della Fiera non è una città che vola rispetto al resto, che pur sembra affondare? Per Viesti non ci sono dati economici, “ma ci sono dati di fatto. Milano ha una resilienza maggiore perché è internazionalizzata. È vero, ha avuto dei cambiamenti urbani che si sono realizzati solo a Milano e non nel resto del Paese, e hanno aiutato. E in più la percezione stessa che le cose stessero andando meglio ha aiutato la città ad andare meglio degli altri, ma non a trasformarla in locomotiva”.

Però il professore che ha criticato la “rivoluzione del merito” delle università Italiane ci tiene a parlare della sua idea, un’idea secondo cui Milano e la sua cultura sono cambiate.

“Ai milanesi interessa molto meno lo stato generale del Paese. Milano pensa solo a se stessa e non più come capitale industriale, morale e creativa. Vent’anni fa non era così. Le classi dirigenti hanno un atteggiamento molto combattivo nell’acquisizione delle risorse”, anche se il conflitto, ammette Viesti, è fisiologico. “Prima è stata Expo, poi è il dopo Expo con lo Human Technopole, deciso lì per volere del Principe. E non si è sollevato un minimo di dibattito. C’è un fenomeno di concentrazione economica e i milanesi la giustificano con la meritocrazia. Però è autocelebrativa: siccome Milano è meglio allora è opportuno che le poche risorse vengano convogliate dove possono essere sfruttate”.

aulentiAncora una volta il professore è controintuitivo nei suoi ragionamenti, ma non parla della libertà di impresa privata, bensì della destinazione degli investimenti pubblici. “Tutto questo rappresenta plasticamente la riduzione dello spazio che il Paese ha nel dibattito milanese e di come sia falsata l’idea che si ha di Milano”.

Gianfranco Viesti è consapevole del fatto che questa sua opinione preoccupata sia discutibile, ma è proprio quello che vuole: “Se ne discuta. Portando tutto alle estreme conseguenze. Milano non si rende conto che diventerà un’area urbana molto forte in un Paese molto debole. A meno che la loro prospettiva non sia quella di diventare un land satellite della Germania e non è un buon futuro”.

Gordon Gekko, il protagonista del film su Wall Street diretto da Oliver Stone aveva torto: “L’avidità non salverà Milano. È una città capace di gestire le proprie attività in maniera efficiente, ma non per questo bisogna dirottare tutto su di lei. C’è bisogno di parlare del ruolo del capoluogo lombardo in Italia, quello che può ricevere e quello che può dare a tutti noi. Il resto d’Italia è ancora il principale mercato di sbocco delle sue merci e dei suoi servizi e i giovani altamente scolarizzati lavorano per lei. Ci pensino”.

Twitter @12edoardo