La più grande liquidazione coatta della storia spiegata punto per punto

scritto da il 28 Giugno 2017

Non sono passati nemmeno due anni da quando scrivevo dell’Eldorado perduto di tanti risparmiatori e clienti del ricco nord-est (e non solo) che mi ritrovo adesso, dopo aver letto la relazione tecnica al decreto legge 99/2017, a descrivere il modo attraverso il quale verrà condotta la più grande liquidazione coatta amministrativa della storia repubblicana.

Sono ormai giorni che tutti i giornali nazionali e gran parte di quelli stranieri ne scrivono. Come noto la saga delle due banche venete si trascina da mesi, dopo che l’ennesimo aumento di capitale andato bruciato, quello di Atlante (creato per evitare che il mancato aumento di capitale sul mercato si trasformasse in un oneroso impegno per Intesa SanPaolo e Unicredit-che ne dovevano garantire il successo – e l’inoptato), aveva aperto un confronto tra le autorità nazionali e quelle europee su come portare definitivamente a soluzione la storia della Popolare di Vicenza e Veneto Banca.

L’epilogo della storia arriva il 23 giugno scorso, quando il comunicato stampa della Bce annuncia che le due banche sono ormai “failing or likely to fail”, sono cioè in stato di insolvenza perché non rispettavano più i requisiti di capitale stabiliti. La Bce dichiarava inoltre che il Comitato di risoluzione unico – Single Resolution Board (SRB) – non aveva riscontrato rischi sistemici circa lo stato di insolvenza delle due banche e che quindi la risoluzione sarebbe stata condotta dalle autorità italiane, secondo la normativa italiana per la procedura di “liquidazione coatta amministrativa”. Domenica scorsa il Governo ha quindi varato il decreto legge per disciplinare la specifica procedura di liquidazione di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza.

Senza dilungarmi troppo sugli aspetti legali della liquidazione e sulle specifiche caratteristiche del decreto, voglio provare a offrire un’idea di quello che dovrebbe essere il percorso attraverso il quale le due banche verranno liquidate, cercando di ipotizzare il costo che lo Stato dovrebbe sopportare.

La liquidazione coinvolge essenzialmente tre soggetti, oltre allo Stato: le banche in liquidazione coatta amministrativa (che ho indicato come V&V in LCA); Intesa SanPaolo, il cessionario, che è la società che acquisirà la parte “sana” del complesso in liquidazione; Società per la Gestione di Attività (SGA), che è la società incaricata di prendere la parte residuale dell’attivo e trattarlo per poterne estrarre il maggior valore possibile.

Partiamo da cosa è rimasto delle due banche venete, dopo questi anni di inazione e soluzioni tampone. L’ultimo documento ufficiale disponibile è il bilancio 2016 dei due gruppi. Raggruppando lo stato patrimoniale consolidato dei due gruppi, e accorpando per semplicità alcune voci di bilancio, ho ricavato il seguente prospetto.

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Questo è l’ultimo documento ufficiale e pertanto, per poter arrivare a ipotizzare una situazione patrimoniale aggiornata, abbiamo bisogno di interpolare questi dati con quelli forniti da Intesa SanPaolo nel recente comunicato stampa e con l’emissione (per 10,1 miliardi di euro) ed il rimborso (per 0,3 miliardi) di prestiti obbligazionari compiuti dalle due banche in questi ultimi mesi.

A meno di variazioni intercorse in questi mesi sulle poste residuali delle attività e sulle passività finanziarie, lo stato patrimoniale aggiornato dovrebbe essere il seguente.

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A questo punto possiamo introdurre il primo passo della liquidazione, quello relativo alla cessione delle parti “sane” a Intesa Sanpaolo. Quest’ultima acquisirà attività finanziarie per 8,9 miliardi, crediti in bonis verso clientela per 30,1 miliardi (dei quali 4 miliardi sono però considerati ad alto rischio, verso clienti con un rating basso, e sui quali Intesa SanPaolo si riserva la possibilità di restituirli alla liquidazione se dovessero deteriorarsi entro 3 anni) e crediti fiscali per 1,9 miliardi. Acquisirà inoltre 37,6 miliardi di passività, distinte in debiti verso la clientela (depositi e conti correnti) per 25,8 miliardi e titoli in circolazione non subordinati per 11,8 miliardi. La differenza tra attivo e passivo, che ho indicato come patrimonio netto di cessione, è di 3,3 miliardi.

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Come noto però, Intesa SanPaolo non acquisirà soltanto questi cespiti, ma avrà tutta una serie di garanzie e contributi prestati dallo Stato per garantire la profittabilità dell’operazione e la neutralità dal punto di vista dei coefficienti patrimoniali. Avrà anche un contributo di 1,285 miliardi per la copertura dei costi di ristrutturazione aziendale e di riduzione del personale che avvierà. Sarà inoltre tenuta indenne dalle cause che fino ad oggi sono state attivate nei confronti delle banche venete e da quelle che si attiveranno su fatti precedenti la cessione. Intesa SanPaolo acquisirà inoltre un altro elemento non presente nel bilancio che abbiamo ricavato, ma che è forse ancora più appetibile degli altri, ed è la raccolta indiretta di circa 23 miliardi di euro (di cui circa 10,4 miliardi di risparmio gestito) delle due banche venete.

All’attivo del complesso in liquidazione rimarranno le attività deteriorate e alcune attività residuali (partecipazioni, attività materiali e immateriali). Inoltre, sarà ancora presente la quota dei prestiti obbligazionari garantiti dallo Stato e non collocati presso gli investitori. Tale quota, superiore ai 7 miliardi, è presente sia all’attivo che al passivo del complesso in liquidazione, perché sottoscritta direttamente dalle banche venete e utilizzata presso la banca centrale come collaterale per la liquidità. Ho ipotizzato che il prestito sia annullato, con effetto nullo sul saldo patrimoniale, e che il relativo prestito ottenuto dalla banca centrale sia trattato nell’insieme dei rapporti creditori/debitori verso le banche.

A tal proposito, né il decreto legge 99 né il comunicato di Intesa SanPaolo forniscono indicazione di come verranno trattati i rapporti debitori e creditori verso le banche (verso le altre banche e verso la banca centrale). In considerazione delle difficoltà di liquidità incontrate negli ultimi mesi, dovrebbero esser quasi esclusivamente verso la banca centrale. Ho ipotizzato che rimangano in capo al complesso in liquidazione e che il saldo netto (nello schema indicato come debito netto verso le banche), debitorio per una cifra intorno ai 6 miliardi, sia regolato proprio attraverso il finanziamento di Intesa SanPaolo a fronte del cosiddetto “sbilancio di cessione”. Questa parte rimane poco chiara non essendoci indicazioni sia da parte del Governo che da parte di Intesa. A rigor di logica, mancando alle banche venete i requisiti per lo svolgimento dell’attività bancaria, la Banca Centrale dovrebbe aver richiesto il rientro dei finanziamenti. È così probabile che il finanziamento di Intesa, garantito dallo Stato per un importo dai 5,351 ai 6,351 miliardi, possa esser utilizzato proprio a tale scopo.

Ho inoltre ipotizzato che il supporto finanziario offerto dallo Stato a Intesa SanPaolo “a fronte del fabbisogno di capitale generato dall’operazione di cessione, per un importo massimo di 3,5 miliardi” sia quasi interamente coperto dal patrimonio netto di cessione. Il fatto che nel decreto 99 si qualifichi “erogazione al cessionario” solo i 1,285 miliardi relativi alla copertura degli oneri di ristrutturazione e “supporto finanziario” i 3,5 di rafforzamento patrimoniale, potrebbe giustificare questa ipotesi. Anche in questo caso però informazioni precise non ce ne sono.

Il successivo passo della liquidazione prevede l’ingresso della Società per la Gestione di Attività (SGA) controllata dal Governo. Ad essa verranno ceduti i crediti verso la clientela deteriorati ed altre poste marginali. Dalla liquidazione e valorizzazione di tali attivi deriva la possibilità per lo Stato di recuperare le risorse impegnate per lo svolgimento del processo di liquidazione. Il credito verso SGA è iscritto in bilancio del complesso in liquidazione al valore contabile (già al netto delle rettifiche effettuate nel tempo dalle banche venete) ed aggiornato in funzione dell’incremento o del decremento di valore che la gestione SGA sarà in grado di produrre. Nella relazione tecnica pubblicata il 27 giugno lo Stato si aspetta che la SGA riesca sostanzialmente a recuperare l’intero valore contabile dei crediti. Se così fosse, e Intesa non dovesse restituire al complesso in liquidazione parte dei 4 miliardi di crediti in bonis ma ad alto rischio, lo Stato sarebbe in grado di recuperare tutte le somme impiegate nell’operazione.

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Intanto però, alla fine di questa prima fase di liquidazione, ed all’inizio di quello nuovo di valorizzazione degli attivi ceduti a SGA, la perdita generata deriva dal credito che lo Stato viene a maturare a fronte delle erogazioni e del supporto finanziario fornito a Intesa SanPaolo. Tali crediti infatti non vengono a gravare sul cessionario, ma sul complesso in liquidazione, con grado di privilegio rispetto a tutti gli altri.

Nelle ipotesi che ho fatto tale perdita si aggira intorno ai 5 miliardi, portando, già in partenza ad azzerare il valore dei titoli subordinati e delle azioni.

Per i piccoli obbligazionisti, a determinate condizioni, lo Stato (per l’80%) e Intesa (per il 20%) mettono a disposizione le risorse per il rimborso di quanto investito. Per gli attuali azionisti, il fondo Atlante, l’Eldorado non è mai nemmeno iniziato.

Twitter @francelenzi