Petrolio a 70 dollari. Chi fa sonni tranquilli e chi no

scritto da il 26 Marzo 2018

L’autore di questo post, Raffaele Perfetto, ha acquisito esperienza decennale in ambito Oil & Gas con una Major Oil Company. Ha conseguito un MBA in Oil & Gas Management nel 2016. Scrive preferibilmente di energia e geopolitica – 

Tempo fa avevamo discusso su Econopoly di uno schema petro-finanziario basato su una sorta di ménage a trois tra americani, sauditi e russi. In questo triangolo Mosca e Riad sono stati attori protagonisti a sostegno del nuovo ordine OPEC, ribattezzato OPEC+ il quale controlla circa il 50% della produzione mondiale (l’OPEC solo il 33%). Avevamo evidenziato inoltre quanto la Federal Reserve (Fed) e i suoi tassi avessero impatto sull’industria petrolifera americana e di quanto quest’ultima avesse bisogno di un prezzo sopra quota 50 dollari per controbilanciare i maggiori oneri finanziari derivanti dell’aumento dei tassi. In poche parole ai primi posti tra i pensieri dei produttori americani di sicuro troviamo l’OPEC+ e la Fed. Lo scorso 21 marzo la Fed ha annunciato che continuerà aggressivamente l’aumento dei tassi di interesse e ha toccato quota 1,75%. Si prevedono altri tre rialzi quest’anno e tre l’anno prossimo.

MBS
Negli stessi giorni degli annunci della Fed, un personaggio chiave era negli States per la sua prima visita ufficiale: stiamo parlando del principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman noto ai social e media con l’acronimo MBS. Ricordiamo che MBS ha intrapreso una serie di riforme per ammodernare il suo paese e per diversificarne l’economia, ed è tra quelli a cui un prezzo “non basso” fa molto comodo per sostenere le sue riforme. Avevamo approfondito questo aspetto, sempre su Econopoly, evidenziando come per l’economia saudita e per le altre petromonarchie sarebbe opportuno un prezzo di almeno 60 dollari al barile. Non dimentichiamoci anche che a sostegno della diversificazione economica arriveranno anche i miliardi di dollari provenienti dalla privatizzazione di un pezzo della Saudi Aramco: il gioiello della corona saudita che varrà certamente di più in uno scenario di prezzo alto e in crescita.

Falchi e colombe
Alcuni eventi importanti degni di nota. In primis la sostituzione del segretario di stato americano Rex Tillerson che, prima di entrare in politica, è stato amministratore delegato e chairman del colosso petrolifero Exxon. Al suo posto Mike Pompeo, di lontane origini italiane, ultimo incarico come direttore della CIA, con una postura più “aggressiva” del predecessore e che si farà sentire sui dossier esteri più caldi: Nord Corea ma soprattutto, per quello che ci riguarda, Iran.

schermata-2018-03-26-alle-10-32-26L’ultimissima nomina da parte del presidente Donald Trump di un altro “hardliner”, John Bolton, come consigliere per la sicurezza nazionale, conferma il nuovo assetto dell’amministrazione nella direzione che vede aumentare le probabilità di un “fallimento dell’accordo nucleare iraniano”. Ricordiamo che l’Iran prima delle sanzioni produceva circa 1 milione di barili al giorno in meno del livello attuale. Il Financial Times (FT) dedica alla questione un articolo ponendo in relazione l’aumento del prezzo del barile a quota 70 dollari con l’effetto Bolton (si veda figura in alto).

Forse è casuale, ma è interessante riportare un altro episodio delle ultime ore reso pubblico dal WSJ riguardo all’accusa di nove iraniani di orchestrare anni di attacchi informatici a nome del governo iraniano per rubare dati da centinaia di università e aziende negli Stati Uniti.

Ma duro?

Insomma sembra non tiri una buona aria per Teheran. Ma non è solo l’Iran che preoccupa. Anche un altro paese potrebbe essere in difficoltà: parliamo del Venezuela. A quanto pare il Venezuela è il primo stato ad avere una propria criptomoneta sovrana: il Petro, sostenuta dall’olio e che è andata ufficialmente in vendita (Initial Coin Offering – ICO) giovedi 23 Marzo. L’agenzia di stampa cinese Xinhua riporta che il Petro ha raccolto circa 5 miliardi di dollari durante la fase di pre-vendita.

Casualmente il giorno dopo la ICO del Petro, il Financial Times ha informato di un possibile embargo statunitense sul Venezuela, sulle importazioni ed esportazioni di greggio e derivati. Contrariamente a quello che si pensa, a fare più paura è il secondo pezzo dell’embargo: quello che riguarda le esportazioni verso il Venezuela. Sì perché sembrerebbe che le esportazioni statunitensi di petrolio e derivati siano quasi al massimo storico. Le raffinerie americane del golfo sono gli “ultimi” fornitori di “diluente” che restano. Con il termine “diluente” si indica la nafta o il greggio leggero necessario a quello pesante venezuelano per essere trasportato e poter quindi raggiungere il mercato.

Gli altri possibili fornitori stranieri di diluente hanno abbandonato il mercato venezuelano a causa dei mancati pagamenti: il Venezuela resta pesantemente legato alla supply chain americana.

In sostanza le raffinerie americane scambiano navi di nafta pesante per “DCO” venezuelano: greggio pesante con circa il 25% di diluente aggiunto per diluirlo. Il diluente viene estratto durante il processo di raffinazione e rispedito in Venezuela per produrre più DCO.

In figura il dipinto commissionato inizialmente dalla famiglia Rockefeller all’artista sudamericano Diego Rivera

In figura il dipinto commissionato inizialmente dalla famiglia Rockefeller all’artista sudamericano Diego Rivera

Secondo il FT le raffinerie americane del Golfo del Messico, “settate” sul DCO venezuelano possono di certo gestire altri crudi, ma con margini e profitti minori. Il punto critico è rappresentato dal fattore tempo perché da un lato l’industria della raffinazione vorrebbe 3-4 mesi per prepararsi ai nuovi crudi, mentre c’è chi (tra i falchi di Trump) pensa che 3-4 mesi siano troppi e servano solo a recuperare altro diluente allungando la vita al regime. I “falchi” pensano infatti che se domani mattina il Presidente Trump decretasse l’embargo verso il Venezuela, per Maduro resterebbe un mese o al massimo due con il cash disponibile: in questo scenario probabilmente le raffinerie indiane e cinesi e altri attori non avrebbero tanta voglia di investire in un sistema quasi giunto al collasso dei pagamenti. Sarebbe un colpo durissimo.

Sembra che per Venezuela e Iran tiri una brutta aria, forse ci sbagliamo. Probabilmente si tratta solo di speculazione.

Twitter @Raff_Perf