24 marzo 1979, un giorno nero per il Paese: attacco politico-giudiziario alla Banca d’Italia

scritto da il 23 Marzo 2018

Il 23 marzo 1979 Antonio Maccanico, segretario generale al Quirinale con Sandro Pertini, scrive nei suoi diari: «Ho ricevuto Giovanni De Matteo (capo della procura di Roma, ndr), il quale mi ha informato della proposta di un suo sostituto di procedere contro Baffi e Sarcinelli… Sono rimasto allibito… Ho informato il presidente, La Malfa e Baffi… Ho un gran sospetto che vi sia un legame con l’Affare Caltagirone, cioè che si voglia premere su Baffi e Sarcinelli perché questi divengano più arrendevoli di fronte al caso Caltagirone-Italcasse».

Il 24 marzo 1979 i carabinieri, guidati dal colonnello Campo, entrano in Banca d’Italia per arrestare Mario Sarcinelli e notificare a Baffi l’incriminazione per interesse privato in atti d’ufficio e favoreggiamento, per non aver trasmesso all’autorità giudiziaria la relazione degli ispettori in merito alla pratica del Credito Industriale Sardo (CIS), che alla data del 7 aprile 1978 era ancora in gestazione.

Ma perché mai nel 1979 il «complesso politico-affaristico-giudiziario»285 prese di mira la Banca d’Italia? Quali furono le «colpe» di Baffi e Sarcinelli? La prima «colpa» fu sciogliere il consiglio di amministrazione dell’Italcasse, cioè del più importante istituto di credito dominato dal potere democristiano.

Baffi e Sarcinelli si erano accorti che alcuni istituti di credito erano diventati un vero e proprio covo di malfattori. Queste cose e altre ancora, Baffi e Sarcinelli le avevano prima intuite, poi accertate, mandando gli ispettori della «Vigilanza» all’Italcasse nell’agosto 1977. Credo personalmente che l’ispezione post Ferragosto – guidata dal ‘mastino’ Vincenzo Desario – sia stata decisiva per la sorte del ‘duo inafferrabile’ Baffi-Sarcinelli. Non è un caso che nella “Cronaca breve di una vicenda giudiziaria” – pubblicata su “Panorama” da Massimo Riva nel febbraio 1990 – dopo appena sei righe, Baffi scriva: “7 febbraio 1978. Un alto esponente dell’amministrazione finanziaria viene a chiedermi con una incredibile insistenza di approvare la sistemazione del debito dei Caltagirone” (oltre 300 miliardi di lire prestati a 158 società, investiti solo in parte, utilizzati anche per fini personali, e non restituiti, ndr).

Nel campo della vigilanza, sottolinea lo storico Alfredo Gigliobianco, «Baffi, insieme con il vicedirettore generale Mario Sarcinelli, contrastò i fenomeni degenerativi che si manifestavano in quegli anni, usando anche con efficacia e senza timori reverenziali lo strumento delle ispezioni». I banchieri di nomina politica, come Giuseppe Arcaini, direttore generale dell’Italcasse, vennero definiti da Mino Pecorelli «foche ammaestrate» perché nell’erogazione del credito eseguivano pedissequamente le volontà dei loro sponsor politici.

Dopo poche settimane Desario scrive e manda a Baffi un rapporto circostanziato molto grave: “Sono stati trascurati i più elementari principi di organizzazione aziendale…Si era fatto frequente ricorso a ‘frenetici’ movimenti contabili, interni o in contropartita con altre aziende di credito, allo scopo di far disperdere ogni traccia di operazioni irregolari, di cui ovviamente non si rinveniva in atti alcuna documentazione probante… Incredibilmente estesa e ricorrente è risultata l’emissione di assegni Iccri o la richiesta di circolari all’ordine di nominativi di ‘pura fantasia’ per corrispondere immotivatamente a terzi somme di pertinenza dell’Istituto’. Il presidente di Italcasse, Giuseppe Arcaini, in modo surreale, cercò di giustificarsi in modo maldestro, scrivendo un appunto per gli Ispettori, dove i movimenti intervenuti nei fondi interni sono ‘Operazioni da me ordinate nell’interesse dell’Istituto e senza alcun onere per lo stesso’.

Paolo Baffi (a sinistra) con Guido Carli - archivio Banca d'Italia

Paolo Baffi (a sinistra) con Guido Carli – archivio famiglia Baffi

Desario scrive: ‘Emergono tutte le irregolarità e gli abusi che si sono concretizzati in un danno a carico dell’Iccri a tutto vantaggio di terzi’ (ASBI, Carte Baffi). I ‘nomi di fantasia’ dei conti che servono per i traffici del direttore generale sono indicativi del pressapochismo e della poca immaginazione: ‘Pentola Vecchia’, ‘Pentola Calda’, ‘Francis’, ‘Mario Ferrari’, ‘Carlo Sassi’, ‘Taddeo Villa’, ‘Silvio Colli’, ‘Primo Landi’; ‘Micheli Rivelli’, ‘Luigi Fantozzi’. Neanche Ugo Fantozzi – prima apparizione nel 1975 sarebbe riuscito a fare così tanti danni. Desario scrive ancora: ‘Si evince con immediatezza che, in un arco di tempo pari a poco più di due anni (1972-1974), l’Iccri ha erogato – mediante artifizi contabili – notevoli disponibilità a persone e organizzazioni che formalmente non avevano alcun titolo per introitare le somme ricevute’. Baffi, ricevuta la relazione, dopo aver consultato gli uffici legali della Banca, chiede al Ministro del Tesoro il commissariamento dell’Italcasse.

Dell’Italcasse riferì in modo circostanziato Aldo Moro nel cosiddetto Memoriale Moro, costituito dalle lettere scritte durante il suo rapimento da parte delle Brigate Rosse nella primavera del 1978. Moro definì «canale avvilente» la funzione di finanziamento svolta dall’Italcasse. «E lo sconcio dell’Italcasse? E le banche lasciate per anni senza guida qualificata, con la possibilità, anche perciò, di esposizioni indebite, delle quali non si sa quando ritorneranno e anzi se ritorneranno. È un intreccio inestricabile nel quale si deve operare con la scure. […] E a proposito d’Italcasse, o, come si è detto, grande elemosiniere della D.C., è pur vero che la trattativa in nome dei pubblici poteri per la scelta del successore dell’On. Arcaini è stata fatta da un privato, proprio l’interessato Caltagirone, che ha tutto sistemato in famiglia».

Commenta sconsolato Miguel Gotor: «Con la vicenda dell’Italcasse si entra, quindici anni prima di Tangentopoli, dentro le dinamiche di funzionamento del sistema di potere nazionale, vale a dire l’intreccio endemico tra politica e mondo imprenditoriale, dimensione privata e funzione pubblica, cricca e libero mercato».

Quando scoppiò lo scandalo Italcasse, che portò alla luce ingenti finanziamenti ai partiti, i commentatori si scatenarono sui quotidiani. Interessante il commento di Renzo Martinelli sul «Corriere della Sera»: «Dalla pentola sono usciti gli assegni del ministro Evangelisti, quelli dei fratelli Caltagirone, le elargizioni ai partiti, i finanziamenti a Rovelli e a Ursini, i prestiti alle immobiliari. E ancora: i miliardi per i “fondi neri”, quelli fuori bilancio utilizzati per gratifiche e regalie, per investimenti folli, per parcelle favolose, ma soprattutto per ungere le ruote del sistema politico. Per trent’anni l’Italcasse è stato il forziere del palazzo, la cassaforte dei potenti».

Secondo Giuliano Vassalli, avvocato della Banca d’Italia, “il desiderio di Alibrandi (giudice istruttore insieme a Luciano Infelisi, ndr) di voler far l’inquisitore del governatore della Banca d’Italia era certamente legato a una procedura, credo quella dell’Italcasse, che doveva essere stroncata e non andare avanti. L’Italcasse era una specie di fondo della Democrazia Cristiana, a capo della quale c’era Arcaini. La faccenda dell’Italcasse dava noia e questo processo doveva essere smontato: siccome il principale accusatore era Sarcinelli, tutto si orientò per trovare qualche cosa a carico di Sarcinelli. Qualcosa fu trovato, ma a carico di Baffi. […] Baffi era consigliere di un ente, l’IMI, che aveva commesso non so quale presunto errore. Insomma vollero scoprire Baffi: quanta pena ci passammo, mamma mia!”

L’attacco della magistratura romana sorprese enormemente Baffi. Non appena i primi segnali d’allarme cominciarono a scoppiare, i potentati colpiti e i loro protettori passarono al contrattacco. Giulio Andreotti con i suoi comportamenti – il silenzio assoluto nella difesa di Baffi e Sarcinelli, i continui incontri con l’avvocato Guzzi per discutere del salvataggio delle banche di Sindona, gli stretti rapporti con i fratelli Caltagirone e Rovelli, l’oggettivo danno subito dalla DC dopo la scoperta da parte della Vigilanza dei finanziamenti illeciti tramite l’Italcasse di Arcaini, i numerosi incontri di Evangelisti con Sarcinelli per trovare una soluzione al dossier Caltagirone – induce a pensare che avesse un forte interesse all’operazione di allontanamento dalla Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli.

I magistrati, in connubio con la peggior politica e sedicenti ‘imprenditori’ legati al mondo andreottiano hanno voluto solo distruggere sia Baffi che Sarcinelli, affinché la loro sorte servisse d’esempio ai successori e ai loro possibili imitatori, affinché tutti vedessero che chi tocca quel genere di fili muore.

Baffi non non capiva quale rapporto ci fosse tra il fare il proprio dovere secondo la legge scritta e quella morale, e meritarsi l’inimicizia dei governanti e dei magistrati. Baffi, nei suoi diari, il 27 marzo 1979 aveva scritto: «Non ci sono, ahimè, Einaudi, Mortara, Moro, La Malfa (spentosi ieri mattina), che mi avrebbero difeso a spada tratta; Parri è malato. I vecchi sono deboli anche in ragione della scomparsa degli amici». Come ha scritto Eugenio Scalfari, “il potere ha distrutto un uomo, e il paese delle persone perbene ha assistito a questo delitto senza alcuna apprezzabile reazione”.

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