Cosa farà il governo Lega-M5S sul terreno minato di autonomie e federalismo?

scritto da il 13 Maggio 2018

Il tema delle autonomie e del federalismo rappresenta una delle questioni più delicate e spinose per la classe politica, perché tocca i fragili equilibri territoriali della nazione.

La trattativa in corso tra la Lega e il Movimento 5 Stelle, finalizzata al raggiungimento di un accordo di governo, è tutt’altro che semplice. Probabilmente è questa la ragione principale che sta spingendo i leader in campo, per il momento, ad ignorare volutamente il tema delle autonomie, almeno nelle pubbliche uscite.

Ma c’è chi non la pensa allo stesso modo. Ancora una volta, i segnali arrivano dal Veneto. Così il Presidente Zaia: «Prima o poi un nuovo governo ci sarà. Noi saremo lì a battere la porta subito, perché bisogna andare avanti con la trattativa sull’autonomia. Chiediamo 23 materie, i 9/10 delle tasse, la compartecipazione su tributi e aliquote, l’abbandono della spesa storica, e l’introduzione dei fabbisogni standard». Abbiamo già spiegato perché le richieste del Veneto oltrepassino il perimetro disegnato dalla Costituzione e dalla giurisprudenza costituzionale, ma ciò non elimina la questione, perché ad abbassare le pretese (o ad alzarle, sfidando la Costituzione) si fa sempre in tempo.

Il 28 febbraio il Governo uscente ha sottoscritto con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, tre distinti accordi preliminari, come primo formale passaggio del tentativo di dare attuazione all’art. 116 comma 3 della Costituzione (“Terzo Comma”), mai applicato fin adesso. Gli accordi hanno ad oggetto «(…) i principi generali, la metodologia e le materie per l’attribuzione alla Regione (…) di autonomia differenziata (…)». Il percorso da seguire è indicato nel Terzo Comma, che prevede l’approvazione da parte delle Camere -a maggioranza assoluta dei componenti- di una legge basata sull’ intesa che lo Stato e la Regione interessata dovranno raggiungere.

Ovviamente il capitolo più delicato sarà quello delle “Risorse”, perché i governatori non sembrano essere inclini ad accontentarsi di qualche competenza in più (soprattutto quelli di Veneto e Lombardia). Ecco i punti sulle risorse che dovranno essere oggetto di trattativa e che saranno poi determinate da «(…) una apposita Commissione Stato-Regione paritetica, disciplinata dall’Intesa, in termini:

  1. a) di compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale, tali da consentire la gestione delle competenze trasferite o assegnate, in coerenza con quanto disposto dall’ 119, quarto comma, della Costituzione;
  2. b) di spesa sostenuta dallo Stato nella Regione (quale criterio da superare in via definitiva), riferita alle funzioni trasferite o assegnate»;
  3. c) di fabbisogni standard, che dovranno essere determinati entro un anno dall’approvazione dell’Intesa e che progressivamente, entro cinque anni, dovranno diventare, in un’ottica di superamento della spesa storica, il termine di riferimento, in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali, fatti salvi gli attuali livelli di erogazione dei servizi».

Impossibile decifrare quello che potrebbe accadere in concreto sulla base di questi principi. Ancor più difficile capire se il tutto possa avvenire a saldi invariati per la finanza pubblica (ti trasferisco questa competenza che vale 100, ti consento di trattenere 100 dalle imposte e ti tolgo 100 di finanziamento statale) o se le Regioni “pretenderanno” risorse aggiuntive. Le parole del Sottosegretario Bressa in audizione parlamentare propendono per la prima lettura, almeno nella fase iniziale: «In una prima fase non entrano in gioco risorse aggiuntive, oltre quelle che attualmente lo Stato destina alle medesime finalità».

Poi ci sarà la seconda fase, relativa all’individuazione dei fabbisogni standard ed alla ripartizione del Fondo di Solidarietà Comunale (“FSC”). L’impatto potrebbe essere notevole. In un’audizione parlamentare dello scorso anno, la Corte dei Conti, oltre a ricordare che dal 2021 la componente della spesa storica peserà per il 50% nell’attribuzione dell’FSC, ha stimato gli effetti del nuovo sistema, evidenziandone alcuni limiti e i tratti distorsivi.

La questione di fondo è che se si modificano i criteri di ripartizione, lasciando invariati i saldi, c’è chi avrà di più e chi di meno, inevitabilmente. Immaginiamo una completa eliminazione della componente storica, chi ci perderebbe di più?

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Semplifichiamo il quadro rappresentato dalla Corte dei Conti, raggruppando i dati del “Nord” (Nord-Ovest e Nord-Est) e quelli del “Resto d’Italia” (Centro e Sud). La percentuale di popolazione che risiede in comuni virtuosi (fabbisogno > spesa storica) è pari al 40% nel Resto d’Italia ed al 60% nel Nord, mentre è sostanzialmente invertita sul lato delle inefficienze (fabbisogno < spesa storica).

Ovviamente è importante analizzare le differenze al mutare delle dimensioni, ma sembrerebbe che il Nord, complessivamente, sarebbe avvantaggiato dall’abbandono totale della componente storica.

Formulata questa mera ipotesi, cerchiamo di capire come potrebbero comportarsi Lega e M5S. Inutile soffermarsi troppo sul programma della Lega in tema di autonomie, poiché -nonostante la svolta nazionalistica- lo statuto del partito recita ancora all’articolo 1 che la Lega «(…) ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana».

Più enigmatica è la posizione del Movimento 5 Stelle, che ha fatto trapelare sempre un certo favore verso una maggiore autonomia per gli enti locali, anche durante i referendum del 22 ottobre 2017, ma senza entrare nel dettaglio sulla questione delle risorse. Tra le proposte del programma, si trovano quelle di: «-applicare le norme costituzionali vigenti trasferendo alle Regioni e agli enti locali tutte le funzioni amministrative che possono essere meglio gestite nel loro livello territoriale attraverso la legislazione ordinaria; -trasferire alle Regioni e agli enti locali una parte delle entrate fiscali dello Stato per l’espletamento delle funzioni amministrative ad esse attribuite».

Si tratta di mere indicazioni che non entrano nel vero tema, relativo alla ripartizione delle risorse. Non a caso, l’argomento è assente nel lavoro coordinato da Giacinto della Cananea ed inviato a Luigi Di Maio.

Una diversa ripartizione delle risorse non sarebbe di per sé negativa per il Mezzogiorno, soprattutto in un’ottica di lungo termine che potrebbe finalmente favorire una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali. Ma occorre essere chiari e trasparenti sugli effetti di breve termine su un territorio che già all’epoca del Regno delle Due Sicilie si caratterizzava per una bassa capacità di raccolta fiscale (con contestuale bassa spesa pubblica).

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Pochi giorni fa Zaia ha dichiarato che «Un governo significa affrontare i problemi del sociale, della tassazione, dell’economia, delle banche, che considero una priorità, ma per noi questo esecutivo dovrà passare alla storia per l’autonomia».

Il Movimento 5 Stelle ha avuto un consenso elettorale altissimo nel Mezzogiorno. Sarebbe auspicabile conoscere le intenzioni dello stesso in merito ai temi delle autonomie, della ripartizione delle risorse e delle trattative che verranno con le tre Regioni summenzionate e con le eventuali altre che si aggiungeranno. Lo si deve agli elettori.

Twitter @frabruno88