Guadagnare l’8% al tempo del tasso zero (maneggiando con cura)

scritto da il 04 Novembre 2015

Spread e rendimenti sono spesso protagonisti di titoli a caratteri cubitali, ma anche portatori di interrogativi ed equivoci: il rendimento medio dei BTP decennali emessi dal Tesoro nel 2014 era 3%. Esattamente un anno fa, a inizio novembre, il rendimento di un titolo decennale era inferiore al 2,5%. Da allora i rendimenti hanno continuato a scendere: oggi un BTP a 10 anni rende circa l’1,5%.

Eppure chi ha comprato un anno fa un paniere di BTP con scadenza media a 10 anni, oggi si ritrova un rendimento che sfiora l’8,5%. Com’è possibile? È un inganno quello che declamano i titoli dei giornali o c’è qualche inspiegabile illusione ottica? È il frutto dell’abilità di trader e speculatori?

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La confusione affligge diversi risparmiatori e sta tutta nella distinzione fra rendimenti a scadenza e rendimenti ottenuti.

In qualunque momento è possibile determinare il “rendimento a scadenza” di una obbligazione tenendo presenti una serie di dati certi: la data di scadenza, il prezzo di rimborso, il prezzo corrente e la cedola nominale.

Facciamo un esempio pratico (preghiamo i puristi di concedere qualche semplificazione alla divulgazione del concetto al lettore, non considerando capitalizzazione degli interessi, disaggi e altro): un BTP con scadenza 2030 cedola 2% scambiato al prezzo di 100 offre un rendimento a scadenza del 2%. Ma anche un BTP 2030 cedola 3% e prezzo 115 offrirebbe lo stesso rendimento, perché il prezzo di rimborso è sempre 100, pertanto nonostante cedole più alte (l’1% all’anno in più del precedente per 15 anni di vita del titolo) alla scadenza il capitale avrà perso quei 15 punti nel prezzo, passando dai 115 dell’acquisto al 100 di valore di rimborso. Lo stesso rendimento del 2% verrebbe offerto da un ipotetico titolo con scadenza 2025 cedola 1% e prezzo 90.

Il rendimento a scadenza si basa su informazioni certe (prezzo corrente, data di scadenza, importo della cedola) ed è uguale per tutti nel momento in cui lo si calcola, per questo viene riportato negli articoli dei quotidiani. Viceversa il rendimento ottenuto è soggettivo e nessuno avrebbe potuto scrivere con certezza, un anno fa, che un portafoglio in BTP decennali avrebbe dato in un anno un rendimento superiore all’8%. Quello che poteva essere scritto un anno fa con la sicurezza di non sbagliare era che i titoli di Stato italiani decennali offrivano un rendimento (a scadenza) del 2,5%.

Il calo dei rendimenti a cui assistiamo da più di tre anni a questa parte avviene per effetto della salita dei prezzi dei titoli: riguardando l’esempio di prima si vede come al crescere del prezzo, visto che sono fissi sia la scadenza, sia la cedola, sia la data di scadenza, quello che varia (calando) è il rendimento. Il BTP 3% di prima al prezzo di 100 rende 3%, ma se il suo prezzo sale a 115 il rendimento cala a 2%. Ma chi l’ha comprato a 100 avrà avuto una rivalutazione del 15%.

Insomma, un titolo con rendimento 2% annuo e scadenza a 10 anni offrirà complessivamente nell’arco della sua durata un rendimento del 20%, ma non si può sapere in anticipo quanto di quel rendimento verrà guadagnato nel primo anno, o nel primo triennio.

La “magia” è tutta qui.

Questo significa che anche quando si legge sui giornali che i rendimenti offerti sono inferiori all’1% non si può escludere di poter ottenere un risultato molto più alto. Così come, se i rendimenti tornassero a salire, potremmo registrare un risultato negativo anche comprando titoli con rendimento a scadenza – ad esempio – del 3%.

Esiste un limite, almeno in teoria, all’approccio “ottimistico”: man mano che ci si avvicina al rendimento 0% diventa sempre più improbabile che si possa assistere a quei cali di rendimento capaci di farci realizzare una performance interessante, ma quello che non va scordato nel momento in cui si valuta l’acquisto di un titolo di Stato è che il rendimento a scadenza si verificherà veritiero solo tenendo il titolo fino – appunto – alla sua scadenza; saranno le prospettive del mercato sui rendimenti a determinare, invece, il risultato ottenuto durante la vita del titolo. Un investitore che ritenga probabile che i rendimenti scenderanno ancora non dovrà badare al fatto che sta comprando un titolo che “rende 1,5%” ma piuttosto al fatto che se avrà avuto ragione, il suo titolo dopo qualche tempo si sarà rivalutato in proporzione alla sua durata residua.

Gli elementi che determinano l’andamento dei rendimenti sono molteplici, citiamo i principali:

  • la valutazione dell’emittente (quindi nel caso del BTP il rating dell’Italia)
  • le aspettative di inflazione (oggi molto bassa, ma con la BCE impegnata a riportarla verso la soglia del 2%)
  • le aspettative di crescita economica
  • il tasso ufficiale della Banca Centrale (oggi è 0,05% e non sembra proprio che a breve possa salire)

Quindi, posto che il giudizio internazionale sull’Italia al momento sta migliorando e i tassi in Europa non saliranno tanto presto (basta guardare dall’altra parte dell’Oceano dove si parla di normalizzazione da oltre due anni, ma la Fed non si è ancora mossa) resta da capire se Draghi vincerà la sua battaglia per riportare un po’ di inflazione in Europa, prezzo del petrolio permettendo, e se le riforme del Governo Renzi riusciranno ad alimentare la crescita economica del Paese.

faites vos jeux, madame et monsieurs, rien ne va plus

Twitter @AndreaBoda