Caso Carige e conflitto di interessi BCE: un approccio sistemico

scritto da il 17 Febbraio 2019

L’autore di questo post è Tammaro Terracciano, Ph.D. candidate presso lo Swiss Finance Institute di Ginevra. La sua maggiore area di interesse è la macroeconomia internazionale –

Qualche settimana fa il Governo italiano è intervenuto sul caso Carige, mettendo in piedi una serie di garanzie per far sì che la banca possa continuare ad accedere al mercato dei capitali e possa presentare un piano industriare credibile per il suo rilancio, scongiurandone così il fallimento. Conte ha fatto indubbiamente bene ad intervenire, perché ha evitato un possibile effetto contagio che avrebbe minato la stabilità bancaria del paese.

Nonostante il Governo abbia preso la decisione ex-post migliore, sarebbe stato opportuno agire ex-ante per evitare situazioni simili. Questo è possibile trovando la misura giusta tra garanzia pubblica e disciplina di mercato. Infatti, la prima incentiva i banchieri ad assumere sempre più rischi, perché contano sul fatto che, in caso di dissesto, il Governo interverrebbe a sanare le perdite. Di converso, la seconda tende a responsabilizzare il management che deve fare direttamente i conti con il mercato, rischiando così il fallimento in caso di mala gestione. Nella prima categoria rientrano la garanzia sui depositi fino a centomila euro e tutte gli interventi pubblici come quello di Carige e Monte Paschi di Siena, mentre nella seconda categoria vi sono gli stress test, i co.co. bond e le misure come il bail-in.

Per evitare che vengano socializzate le perdite e privatizzati i profitti, dovremmo aumentare il più possibile la disciplina di mercato, tenendo fermi i capisaldi del sistema, come la garanzia dei depositi. In questo modo si tutelano gli operatori più deboli (come i piccoli correntisti) e si incentiva la costruzione di un sistema stabile e resiliente.

Tra i vari strumenti a disposizione, gli stress-test sono sicuramente tra i più importanti, in quanto permettono di capire quali siano le condizioni di salute del sistema bancario e cosa fare nel caso in cui certi istituti non siano sufficientemente solidi. Operativamente funzionano così: si calcola come cambierebbero i bilanci delle banche a fronte di una serie di scenari avversi e si stima quanto capitale devono mettere da parte per evitare il dissesto. In generale, si usa come benchmark o il totale degli attivi o gli attivi pesati per dei coefficienti di rischio prestabiliti (RWA). Per completezza, è bene notare che gli asset totali sono una grandezza oggettiva mentre i RWA dipendono dai coefficienti prestabiliti dal regolatore.

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A causa dell’elevata complessità di queste valutazioni e della mancanza di personale qualificato, la BCE ha esternalizzato la costruzione di questi test a delle agenzie di consulenza e fondi di investimento come McKinsey e BlackRock. Queste collaborazioni creano un imbarazzante conflitto di interessi per la BCE, poiché queste stesse compagnie offrono servizi di consulenza anche alle banche private che devono rispettare i requisiti imposti da questi stessi stress test. In altre parole, queste compagnie si trovano da entrambi i lati del tavolo, minando così la credibilità della vigilanza bancaria (1).

Tuttavia, come spesso accade, una soluzione efficace esiste già. In un articolo pubblicato nel 2014 sul Journal of Monetary Economics, Acharya, Engle e Pierret (2) propongono un approccio alternativo ai vigenti stress test, basato solamente su dati pubblici e facilmente reperibili. La loro metodologia, chiamata V-Lab, permette di migliorare e raffinare i risultati degli stress test vigenti. Infatti, gli autori sono in grado di replicare i risultati basati sul totale degli attivi e, al contempo, sono riusciti a superare l’obsoleta classificazione degli attivi per categoria di rischio (RWA), prendendo in considerazione “il rischio che il rischio cambi”. Di fatto, questi coefficienti di rischio (RWA) si sono dimostrati inadeguati alle nuove specificità dei mercati, tanto da considerare i titoli greci sicuri come quelli tedeschi.

Se la BCE adottasse questa nuova e già collaudata tecnologia, avremmo molteplici vantaggi. In primis, sia le autorità competenti che i mercati avrebbero in modo automatico informazioni più precise e molto più frequentemente di quelle degli attuali stress test. Questo aumenterebbe direttamente la trasparenza e ridurrebbe il fenomeno del window-dressing a favore di una maggiore disciplina di mercato, sempre a parità di garanzie per i risparmiatori. A trarne giovamento sarebbero anche le banche stesse che oggi impiegano molte risorse per produrre, mantenere e validare i dati richiesti. Inoltre, la BCE non dovrebbe più ricorrere a tutte quelle consulenze, alleviando fortemente il problema del conflitto di interessi e aumentando la sua credibilità.

Parallelamente, un controllo migliore, più frequente e dunque maggiore, creerebbe un sistema più stabile, che preverrebbe e ridurrebbe gli interventi statali, proprio come quello di Carige. In altre parole, potremmo migliorare il nostro sistema su più fronti, con una misura di facile implementazione e poco onerosa, che gioverebbe a tutta l’Europa.

Spesso la natura cronachistica dell’informazione giornalistica ci porta a pensare ad ogni situazione come una cosa a sé stante, ma è sempre utile fare un passo indietro, avere una visione sistemica e agire alla radice. Questa è una di quelle situazioni in cui il passo indietro è opportuno e la soluzione per agire alla radice ce l’abbiamo già, basta solo utilizzarla. 

Twitter @TerraccianoTamm

NOTE

1. A riguardo, il Bundestag tedesco ha chiesto chiarimenti a Danièle Nouy (Chair del Supervisory Board), la quale ha rigettato le accuse affermando che non ci sono gli estremi per un conflitto di interessi. La risposta è reperibile qui. 

2. V. Acharya (NYU), R. Engle (NYU e Premio Nobel) e D. Pierret (SFI al Unil), “Testing Macroprudential Stress Tests: The Risk Of Regulatory Risk Weights”.