Lo stato del mercato (super) e l’aiutino dalle chiusure domenicali

scritto da il 27 Febbraio 2019

Il settore della grande distribuzione organizzata (Gdo) è balzato recentemente all’onore delle cronache per le vicende politiche legate alla discussione della legge riguardante le chiusure domenicali, che andrebbe quasi a ribaltare la normativa liberalizzatrice degli orari introdotta col “Salva Italia” del 2011. Ma in questi anni di liberalizzazione come si è sviluppato e che risultati ha raggiunto il settore della Gdo? Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto il rapporto che pubblica periodicamente l’ufficio studi di Mediobanca.

Andiamo a vedere i dati e cosa ci dicono.

Partiamo dall’oggetto dell’analisi. Il report offre i dati cumulativi e singoli di venti tra i maggiori Gruppi italiani operanti prevalentemente nella distribuzione alimentare al dettaglio, che rappresentano oltre il 97% della Gdo alimentare italiana. La copertura del settore è quindi pressoché totale.

Poiché ritengo che scopo principale delle imprese sia quello di creare valore, il primo dato che è essenziale esaminare per capire la situazione è il ROI, cioè la redditività del capitale investito. In pratica su 100 euro investiti nel settore Gdo, quanti euro genera ogni anno la sua attività di impresa da distribuire sia al capitale proprio che di terzi? Nel 2017 erano 4,8 euro, in calo rispetto ai 5,2 dell’anno prima, ma sostanzialmente stabili rispetto al 2014, primo anno esaminato nel report.

Qua si possono già fare le prime due considerazioni. La prima è che, se raffrontato col ROI medio dei concorrenti esteri del settore, il nostro è meno della metà, 4,8 contro 9,9. La seconda è che c’è un notevole range all’interno del nostro campione d’aziende: si va da un ROI di 23 dell’Eurospin, al livello dei migliori competitor mondiali, fino allo 0,6 del gruppo Coop. Questa differenza di valori ha la sua principale motivazione nelle differenze che esistono fra i vari attori della Gdo e come si stanno differenziando.

Mediobanca distingue infatti gli operatori fra la distribuzione organizzata, cioè le catene di negozi, market e minimarket consorziati fra di loro, gli operatori discount, quelli della Gdo vera e propria e, infine, i due grandi gruppi cooperativi, Conad e Coop.

Troviamo quindi che, parlando ancora di ROI, quello del comparto discount è stato di 19,9 contro appena 3,5 del comparto Gdo; il fatturato dei discount nel periodo 2013-17 è aumentato del 9,6% contro un calo del 0,4% della Gdo; e in generale si nota una relazione inversa fra la superficie media dei punti vendita e la loro redditività, cosa che incide in modo particolarmente negativo sui due player di nazionalità francese presenti sul mercato italiano, Auchan e Carrefour, le cui performance nel periodo 2013-17 sono fra le peggiori del settore, cosa del resto testimoniata dal progetto di ristrutturazione della rete di vendita italiana presentato recentemente da quest’ultimo gruppo.

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fonte: ufficio studi Mediobanca

In poche parole la formula dell’ipermercato ha sofferto molto in questi anni, Mediobanca gli attribuisce un peso negativo sulle variazioni del ROI del 40%, nonostante le liberalizzazioni di orario perché, anche se spesso sono stati proprio gli ipermercati ad offrire per primi l’apertura durante l’intera settimana, la legge di Hotelling, cioè il principio di minore differenziazione del prodotto che vige nel settore Gdo, ha portato quasi subito gli altri player a fare uguale, annullando l’iniziale vantaggio competitivo e riportando la conquista di quote di mercato su altri parametri: innanzitutto il prezzo, come testimonia la crescita impetuosa del comparto discount.

L’aumento del personale, legato sia alle nuove aperture che al prolungamento degli orari, ha quindi trovato una adeguata copertura solo in quei casi, mentre appunto nella Gdo si è avuto in realtà un calo degli occupati, compatibile col calo del fatturato e della redditività.

La crisi della formula dell’ipermercato è un fenomeno non solo italiano, così come il successo dei modelli discount e convenience store. La “convenienza”, cioè il rapporto qualità/prezzo, rimane ancora oggi il discrimine principale, seguito dalla “comodità” cioè dalla vicinanza al consumatore del punto vendita con i convenience store, superette tradizionali ed evolute. Il supermercato di medie dimensioni però, come testimonia il caso di Esselunga, che riesce a raggiungere un margine operativo netto del 5,4% del fatturato ed un elevato fatturato per mq, può riuscire ancora ad avere ancora buoni margini.

Una nota a parte riguarda l’e-commerce che, pur rappresentando ancora un segmento di vendita poco sviluppato rispetto ai mercati esteri (0,5% del fatturato food&grocery, contro un 8% in UK ed un 6% in Francia), ha avuto un incremento del 50% rispetto al 2016 con Esselunga che è riuscita ad arrivare a un significativo 2,4% del fatturato.

In sostanza il settore, come afferma Mediobanca, inizia ad essere saturo e con una dinamica di redditività complessiva bassa e decrescente, cosa che porterà al consolidamento del mercato con l’abbandono dei player meno competitivi, anche se il percorso appare ancora lungo prima di arrivare al livello di redditività dei player internazionali, avvantaggiati fra l’altro dall’operare su diversi mercati, mentre i player italiani, tranne ovviamente quelli di origine straniera, sono concentrati solo sul mercato domestico, dove certamente i consumi negli ultimi anni non hanno brillato per vivacità.

Se si può fare una previsione, visti gli striminziti margini operativi netti di molti gruppi, è che assisteremo a politiche molto spinte sul lato del ridimensionamento dei costi operativi e, considerato che le vendite per mq sono in linea coi dati internazionali, a ricercare un maggior fatturato per addetto. In tale ottica non è detto che una legge che riduca il numero di ore settimanali lavorate, per tutti i player del settore, non faccia la felicità segreta di qualche amministratore delegato. Al netto delle dichiarazioni pubbliche.

Twitter @AleGuerani