Ricomincio da… ter! La manovra fiscale riletta da Troisi

scritto da il 24 Ottobre 2019

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Ricomincio da… “ter”! Così come Troisi che, nel celebre film dell’81, si riproponeva di ricominciare “da tre” piuttosto che “da zero”, perché tre cose gli erano riuscite nella vita e non voleva buttare via pure quelle; al contempo, l’auspicio (non tanto di chi scrive, quanto più del mondo delle imprese) era che il nuovo Governo giallorosso, comandato dallo stesso presidente del Consiglio, proseguisse nella strada intrapresa dalla formazione precedente, introducendo misure di definizione agevolata delle vecchie pendenze con lo Stato, nella scia del successo ottenuto con la rottamazione ter. E, magari, introducendo una misura di deflazione definitiva e ad ampio raggio (chiamarlo condono mette paura ed è troppo retrò) in grado di far ripartire l’economia, riscrivendo contestualmente regole fiscali più chiare e più digeribili, in termini quantitativi (minore pressione fiscale) e qualitativi (minore burocrazia).
Un auspicio che è rimasto tale, per poi sgonfiarsi definitivamente con la lettura del testo della Manovra finanziaria.

La rottamazione ter, va ricordato, ha portato incassi stratosferici all’erario, costituiti in gran parte da somme che, probabilmente, non sarebbero mai state incassate o che sarebbero state incassate con estrema difficoltà. La misura ha peraltro consentito a migliaia di imprese, ingabbiate nella morsa della riscossione, di tirare un sospiro di sollievo e di rientrare nei ranghi, programmando un pagamento delle vecchie pendenze in maniera graduale e depotenziata di sanzioni e interessi.

Massimo Troisi in "Ricomincio da tre"

Massimo Troisi in “Ricomincio da tre”

Tuttavia, la strada sembra esser stata abbandonata del tutto dal Governo che, pur composto dalla stessa forza di maggioranza e, addirittura, dallo stesso “capo”, ha virato su misure del tutto diverse, sulle quali non si può non sollevare qualche scetticismo.

Partiamo dall’intervento sul cosiddetto cuneo fiscale che, per spiegarlo in parole semplici, è la differenza tra quanto denaro paga l’azienda per avere un lavoratore dipendente e quanto di quel denaro resta nelle tasche del lavoratore stesso. In altri termini, il cuneo fiscale è il carico contributivo e tributario che pesa sul lavoro dipendente (per erogare un netto pari ad “X” al lavoratore, l’azienda spende “X+Y”, ed “Y” è il cuneo fiscale).

Il taglio del cuneo fiscale previsto in Manovra, tuttavia, non è soddisfacente o, quantomeno, non era una delle priorità su cui dirottare parte significativa delle risorse.

Partendo da un dato, si può ben capire il concetto: i dipendenti coi redditi fino a 24mila euro non avranno nessun beneficio. Oltre questa soglia, ci saranno i primi vantaggi fiscali. Chi ha una retribuzione di 25-26mila euro lordi annui e che, fino ad oggi, ha ricevuto un bonus ridotto a 50 euro, da luglio guadagnerà 30 euro in più al mese, portando la detrazione Irpef a 80 euro. Il vantaggio più significativo è previsto per i lavoratori che oggi sono esclusi dal bonus Renzi: per chi ha uno stipendio netto di circa 1.630 euro al mese, la nuova detrazione decisa dal Governo porterà a un aumento in busta paga di 79 euro, appena un euro in meno rispetto al bonus dell’ex premier.

Orbene, sicuramente incrementare la ricchezza di questa fascia di lavoratori va bene, ogni misura di questo genere è da intendersi come positiva, in senso assoluto. Ma anche costruire degli ospedali in Africa può essere certamente intesa come una cosa positiva, in senso assoluto. Ciò non significa, tuttavia, che con le gravi emergenze che ci sono, accompagnate dalla scarsità di risorse a disposizione, le stesse debbano essere utilizzate in questo modo. In altri termini, l’intervento sul cuneo fiscale, così come concepito, non pare una priorità.

Cogliendo l’occasione della scarsità di risorse, altra perplessità riguarda le misure con cui l’attuale Manovra intende procurarsele, con la stretta su autonomi e partite Iva (eliminazione del regime forfettario introdotto appena un anno fa), limitazioni al contante e compagnia cantante. Tutte misure “restrittive”, alle quali avremmo preferito, in molti, la prosecuzione della strada intrapresa della pace fiscale, anche in termini più ampi di quelli sinora realizzati.

Del resto i motivi per cui auspicare una pace fiscale concreta e reale risiedono proprio nella differenza concettuale tra il “condono fiscale” e la “pace fiscale”, all’apparenza nozioni sovrapponibili, eppure profondamente diverse.

Un semplice abbuono delle pendenze fiscali, lasciando ferme le altre cose, si può considerare un “condono”, col beneficio di un rimpinguo momentaneo delle casse dello Stato. In altri termini, fare “soltanto” il condono, senza accompagnare l’intervento con una – necessaria – rivoluzione del sistema tributario e fiscale, rappresenterebbe una misura incompleta.

Nicola Zingaretti e Luigi di Maio

Nicola Zingaretti e Luigi di Maio

Diverso è, invece, il discorso se la possibilità di definire le vecchie pendenze si accompagna ad una riprogettazione del rapporto tra erario e contribuente, da porsi come fondamenta su cui erigere un fisco nuovo, più “snello” e più “leggero” e, parallelamente, un contribuente più incline a rispettare le regole, pronto ad essere rigidamente punito se non le rispetta. È questa la differenza, sostanziale e non soltanto terminologica, che distingue una pace fiscale da un semplice condono.

Il condono è una misura isolata, che consente di tirare un colpo di spugna sulle irregolarità commesse in passato e dargli una ripulita.

Di contro, una definizione agevolata dei vecchi carichi inserita in un disegno complessivo, che guardi al futuro come ad una nuova era fiscale, in cui il cittadino abbia la possibilità di adempiere alle proprie obbligazioni con chiarezza e con una minore e sopportabile pressione, ha molto più senso.

Ma tutto ciò, purtroppo, rimarrà un’utopia, nata e morta nel famoso “contratto di Governo” che aveva legato le due forze populiste del Paese. Un legame che, ad oggi, non esiste più, sostituito dalla nuova formazione giallorossa, un’alleanza destinata, a parere di chi scrive, a durare poco, perché si tratta di interlocutori separati da profonde ed incolmabili differenze. Un’alleanza che, forse un giorno, definiremo citando ancora Troisi: sembrava amore e invece era un calesse.