Il naufragio della Popolare di Bari e tutti gli errori della Vigilanza

scritto da il 18 Dicembre 2019

L’autore di questo post è Massimo Famularo, investment manager esperto in crediti in sofferenza (Npl) –

Le vicenda della Banca Popolare di Bari presta il fianco a quasi tutte le casistiche possibili in tema di polemica politica ed economica, dalla contrapposizione nord-sud, al salvataggio delle banche, dalla connivenza/coinvolgimento delle istituzioni e degli enti locali all’irresistibile tentazione dello stato imprenditore a mezzo della “banca pubblica d’investimento” tanto cara al ministro Di Maio.

Come ben spiegato su Econopoly da Beniamino Piccone, non c’è niente di nuovo sotto il sole: si tratta di una storia ordinaria di cattiva gestione, che si aggiunge alle diverse altre sperimentate in questi anni e che, in modo analogo alle altre, verrà gestita producendo incentivi all’azzardo morale e gravando la collettività di costi ingiusti.

L'ex presidente della  banca  popolare  di Bari, Marco Jacobini

L’ex presidente della banca popolare di Bari, Marco Jacobini

Ci sono tuttavia almeno 2 riflessioni di carattere più generale che possono essere avviate a partire dal caso specifico. In primo luogo, cosa non ha funzionato nell’attività di vigilanza svolta dalla Banca d’Italia in questi anni? Con riferimento alla banca popolare di Bari osserviamo che dopo le prime avvisaglie di irregolarità emerse in una una prima ispezione effettuata nel 2010, l’istituto è stato autorizzato nel 2014 ad acquisire il controllo di Banca Tercas ricevendo un contributo di 330 milioni da parte del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) ed ha potuto raccogliere ulteriori 550 milioni tra il 2014 e il 2015 per portare avanti il processo di sviluppo lungo la dorsale adriatica del Paese all’epoca previsto nel Piano industriale. Progetto che evidentemente non va a buon fine, mentre l’istituto riesce a sottrarsi all’obbligo di legge di trasformarsi in Spa, intervenuto nel frattempo, chiude il 2018 con una perdita di 430 milioni e arriva ai giorni nostri dove un consiglio dei ministri di urgenza stanzia un intervento da 900 milioni.

Se può essere ingeneroso giudicare l’attività della vigilanza bancaria basandosi su un caso specifico si può formulare qualche considerazione su dei tratti che dopo la crisi di numerosi istituti di credito, anche di dimensioni rilevanti, appaiono avere carattere sistematico:

1. Il focus sulla solidità patrimoniale, in mancanza di una efficace verifica preventiva delle potenziali perdite aggiuntive (segnatamente quelle determinate dal deteriorarsi della qualità del credito) ha portato a diversi episodi di raccolta di capitali presso il pubblico che sono stati successivamente assorbiti dalle perdite

2. La strategia di aggregazione (come evidenziato anche da Codagnone e Seminerio in questo video) degli istituti in difficolta si è rivelata nella maggior parte dei casi controproducente e ha causato distruzione di valore.

3. La mancanza di trasparenza connessa al collocamento presso i risparmiatori di prodotti non quotati e per i quali esiste un evidente conflitto di interessi da parte dell’emittente in sede di determinazione del valore di vendita, per quanto non rientrante nell’oggetto della vigilanza avrebbe meritato un’attenzione maggiore e interventi più tempestivi.

Provando a semplificare con una similitudine, il limite principale dell’attività di vigilanza sembra essere stato quello di cercare di ripristinare il livello di liquido (capitale) in un recipiente, senza premurarsi di tappare i buchi attraverso i quali questo liquido defluiva. Questo ha portato a distruzione di risorse (spreco del liquido) e ha rallentato il riconoscimento delle reali criticità rendendole più gravi.

La seconda riflessione ha a che vedere con il rapporto perverso che viene a costituirsi nei confronti dei risparmiatori, che si aspettano un intervento dello stato per indennizzare delle perdite derivanti dall’eccesso di rischi presi in passato, come evidenziato dal fatto che molti clienti della banca popolare di Bari non abbiano ritenuto opportuno prelevare le giacenze superiori ai 100mila euro limite garantito dal fondo interbancario di tutela dei depositi.

schermata-2019-12-18-alle-00-52-09Come discusso in altri post su questo blog l’intervento dello stato in soccorso di imprese in crisi ha tipicamente effetti negativi e costi ingiustificati per la collettività. Un discorso analogo vale per gli indennizzi ai risparmiatori che hanno assunto dei rischi (spesso remunerati da rendimenti elevati) e che produce evidenti fenomeni di azzardo morale.

Per concludere il caso della banca popolare di Bari non è affatto eccezionale, ma anzi costituisce una evidenza particolarmente rappresentativa di alcuni aspetti particolarmente disfunzionali del sistema economico italiano:

1. intrecci tra aziende e istituzioni a livello locale che portano alla spartizione tra privati degli utili e alla socializzazione delle perdite

2. miopia (quando non vera e propria connivenza) ed eccessivo formalismo degli organismi di controllo, che ritarda la risoluzione dei problemi e amplifica le perdite e la dimensione del valore distrutto

3. mancanza di trasparenza e conflitti d’interesse tollerati e alimentati da paternalismo ideologico (salviamo i piccoli risparmiatori) che favoriscono la diffusione di incentivi perversi quando non di veri e propri comportamenti opportunistici.

Twitter @MassimoFamularo

Riferimenti

Approfondimenti sulla crisi della Banca Popolare di Bari

Approfondimenti della Banca d’Italia sulla crisi ella Pop Bari

5 curiosità sulla Banca Popolare di Bari: strategia delle aggregazioni non ha funzionato 

6 lezioni dimenticate per il manuale di salvataggio delle banche in crisi