Sì ma se il ceto medio scompare, chi comprerà la mia auto elettrica?

scritto da il 07 Gennaio 2020

Nessuna altra nazione nella storia può essere identificata con l’automobile come gli Stati Uniti. Il modello T della Ford innescò un cambiamento profondo negli usi e costumi americani per poi propagarsi su scala mondiale. Ma ancor di più il cambiamento era legato al modo in cui quelle auto venivano prodotte. Il termine fordismo fa parte ormai del patrimonio linguistico mondiale.

Nel 1914 la Ford model T costava 448,60 dollari, la metà di quanto costava nel 1910. Nel 1921 il costo dimezzò ulteriormente. La fabbrica di Highland Park produceva una macchina ogni 12 ore 08 minuti nel 1909: raggiunse 2 ore 35 minuti nel 1913.  Questo incremento di produttività si tradusse in un aumento di salari, che passarono a 5 dollari al giorno nel 1914. Il salario medio annuale in tutta l’industria automobilistica crebbe da 594 dollari nel 1904 a 802 dollari nel 1914, a più di 1600 dollari nel 1924. Ford a quel tempo impiegava quasi ventimila dipendenti producendo un terzo delle automobili presenti negli Stati Uniti. Meccanizzazione ed elettrificazione si diffusero in tutte le altre industrie. L’industria auto rappresentava nel 1935 il settore più importante in termini di valore aggiunto e salari, la terza in termini di impiego.

L’auto trasformò e influenzò fortemente l’industria dell’olio della gomma, del vetro, del metallo e non solo l’industria. I salari crescenti, la disuguaglianza in calo e una classe media in espansione permisero al capitalismo democratico di prosperare (ne parla Charles Boix nel suo ultimo libro).

Veniamo ai nostri giorni. Di recente il Fondo monetario internazionale all’interno del suo World Economic Outlook ha inseito una analisi dal titolo Global Manufacturing Downturn, Rising Trade Barriers, dalla quale emerge quanto sia statisticamente rilevante il legame tra disoccupazione e chiusura di fabbriche d’auto. Possiamo osservare i risultati di questa analisi nella sezione a sinistra della foto sotto. Tra l’altro non è trascurabile, come rivela un recentissimo studio del Journal of the American Medical Association, che si registri una percentuale drammaticamente più alta di decessi per overdose da oppiacei (+85%) proprio nelle aree in cui uno stabilimento auto ha chiuso nei precedenti 5 anni. La sezione a destra della foto, invece, mostra semplicemente un quadro globale del settore auto con i principali paesi coinvolti.

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StIma auto vendute nel 2019, confronto con il 2198, produzione della sola Volkswagen (Statista)

StIma auto vendute nel 2019, confronto con il 2018, produzione della sola Volkswagen (Statista)

Fatta questa premessa, analizziamo cosa sta accadendo al comparto auto negli Stati Uniti, tenendo ben chiaro che, quando si parla di auto negli USA, è impossibile non spostarsi sul piano politico. Negli Stati Uniti votare per i repubblicani o democratici non è più una questione di voto, ma è un vero e proprio identikit economico. Questa tendenza  è in linea con una preoccupante fase di polarizzazione econopolitica, ne abbiamo parlato qui di recente. In questa immagine in basso è possibile osservare come sono cambiati i “distretti” democratici (blu) e quelli repubblicani (rossi) negli ultimi 10 anni.

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Sul tema polarizzazione economica e politica di recente il Wall Street JournaI con riferimento ad un’analisi del think thank Brookings, rivela che nei distretti che hanno votato rappresentanti democratici alla Camera, sono più numerosi i titoli di studio e i lavori high-skill. In questi distretti anche l’economia è in crescita e il reddito familiare medio è aumentato. Nei distretti repubblicani, invece, si nota una quota crescente di posti di lavoro nel settore manifatturiero e lavori low skill come l’agricoltura e il minerario, che offrono anche retribuzioni inferiori.

Secondo l’istituto Brookings, inoltre, dal 2008, la quota dei lavori high skill e digital dei distretti democratici è passata dal 64% al 71%, mentre la loro parte nelle attività manifatturiere ed estrattive si è ridotto dal 54% al 44% e dal 46% al 39%. Al contrario, nei distretti repubblicani – non riuscendo a guadagnare trazione tra i nuovi settori – si è tornati a quelli più “tradizionali”. Qui infatti la percentuale di professionisti high skill / digital è scesa dal 36% al 29% del totale in soli 10 anni. La percentuale nei settori agricoltura-minerario è aumentata dal 46% al 56% e dal 54% al 61%, rispettivamente.

Dopo questa parentesi econopolitica, torniamo sul tema auto. A livello globale, il 2019 è stato un’annata piuttosto deludente per l’industria dell’auto. Le vendite globali sono scese del 2% e il mercato cinese, il più importante (circa un quarto del totale sotto il profilo dei volumi), è quello che ha accusato maggiormente il colpo. Si stima una vendita di circa 4 milioni di veicoli in meno rispetto allo scorso anno.

Quota di mercato dell’Auto cinese su scala globale entro il 2025. Fonte: Statista

I colossi dell’auto giapponesi, tedeschi e americani hanno annunciato decine di migliaia di licenziamenti nell’ultimo anno. L’auto a guida autonoma e quella elettrica rappresentano ancora due incognite la cui evoluzione può assumere svariate traiettorie. Intanto i veicoli elettrici continuano a costare nettamente più degli equivalenti a benzina mentre quelli a guida autonoma non sono ancora pronti (l’auto che guida da sola, per capirci) per il mercato.

Il Cybertruck presentato da Tesla: a Natale gli ordini erano 250mila. Per capirci: Ford, che domina questo mercato negli Usa, nel 2019 ha venduto 1,3 milioni tra suv e pick-up

Il Cybertruck ovviamente elettrico presentato da Tesla: a Natale gli ordini erano 250mila. Per capirci: Ford, che domina questo segmento di mercato con veicoli tradizionali negli Usa, nel 2019 ha venduto 1,3 milioni tra suv e pick-up

Prima che sia messa su strada la nuova creatura di Elon Musk, il Cibertruck, per ogni otto pick-up venduti negli States, solo un veicolo è plug-in come riportato dal Wall Street Journal. L’auto elettrica è meno complessa rispetto a quella a benzina o diesel, richiede meno parti, meno persone e meno fornitori. Sempre il Wall Street Journal citando Ford, ritiene che saranno necessari il 30% in meno di ore di lavoro e il 50% in meno di spazio in fabbrica per le auto elettriche. Stessa musica da parte dei dirigenti di Mercedes-Benz, Audi, BMW, e Nissan. Le aziende si stanno preparando all’era elettrica, servono soldi per lo sviluppo e il modello dovrà essere “asset light” come dicono nella Silicon Valley. E purtroppo si osservano anche i tagli al personale.

In questa immagine sotto vediamo uno spaccato dell’economia americana, con l’industria predominante in ogni Stato. In rosa sono indicati gli Stati in cui predomina l’industria dell’auto. Provate a sovrapporre questa mappa con quella del think tank Brookings sopra, forse le cose diventano più chiare. Il Michigan, l’Ohio e l’Indiana beneficiano in modo significativo della produzione automobilistica, anche la Carolina del Sud e l’Alabama si distinguono per una forte presenza dell’industria auto.

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Entro il 2022 Ford ha pianificato 16 veicoli elettrici e previsto tagli a 7.000 posti di lavoro. La Mach E, un SUV elettrico ispirato alla Mustang e il primo “legittimo” antagonista di Tesla, non è destinato a raggiungere il mercato fino alla fine del prossimo anno. La capacità di produzione di 50.000 veicoli rappresenterà solo una frazione delle vendite annuali di milioni di veicoli Ford. Qualche settimana fa Volkswagen, Audi e Daimler Mercedes-Benz hanno ridotto 20.000 unità in totale, citando i costi di investimento in veicoli elettrici e la riduzione dei profitti: ne ha parlato anche il Sole 24 Ore in questo articolo. Ovviamente anche i fornitori sono colpiti: Continental e Bosch hanno tagliato migliaia di posti di lavoro. Il Financial Times riporta che solo in Germania sono attesi tagli per circa 230 mila posti nel prossimo decennio sui 830 mila posti totali.

Lunga vita ai motori tradizionali, non in Asia (Fonte:Statista)

Lunga vita ai motori tradizionali, non in Asia (Fonte:Statista)

Prestiti

Negli USA il settore auto è “minacciato” da una crisi esistenziale legata alla sua prossima evoluzione verso l’auto elettrica o quella a guida autonoma. Anche il consumatore è in crisi. Infatti chi compra l’auto, i consumatori, e in generale gli altri stakeholder come venditori e finanziatori, hanno un approccio molto simile a quello con le case durante la crisi dei subprime.

In sostanza chi compra accumula debito in alcuni casi in misura tale da superare il valore dell’auto. Circa il 33% delle persone che hanno venduto l’auto per acquistarne una nuova nei primi nove mesi del 2019 ci ha rimesso, una percentuale molto più alta rispetto a dieci anni fa (19%).

Se i mutuatari sono inadempienti, i finanziatori generalmente rientrano in possesso delle auto e cercano di rivenderle. Spesso, tuttavia non si riesce  a coprire il saldo del debitore. È vero che negli Stati Uniti questo trend è andato avanti per decenni: il debito automobilistico si è gonfiato dalla crisi subprime. I consumatori statunitensi alla fine di giugno detenevano un record di 1,3 trilioni di dollari di debito legato alle loro automobili secondo i dati della Federal Reserve di New York, in aumento dai circa 740 miliardi $ del decennio prima. Due delle tre grandi case automobilistiche statunitensi hanno ricevuto salvataggi governativi e hanno ristrutturato il loro debito e l’industria ha sfruttato i bassi tassi per sopravvivere.

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Se diamo uno sguardo al debito delle famiglie in Europa le cose vanno diversamente come possiamo osservare nel grafico.

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Nel Vecchio Continente i problemi sono altri come l’aumento della povertà e i salari che non crescono (per chi volesse approfondire consigliamo questa analisi pubblicata dal Financial Times del 2018 ancora attuale).

Concludendo

Negli anni del boom economico a Milano un operaio guadagnava circa 60 mila lire nel 1960 e una Fiat 600 costava circa 600 mila lire. La teoria del consumatore afferma che gli individui consumano beni e servizi nella misura in cui questi massimizzano la loro utilità nei limiti dei loro budget. Nel momento in cui i salari o i redditi aumentano e così i budget, gli individui tendono ad aumentare i loro consumi per i beni o i servizi di lusso anziché per quelli di base. Se i redditi/salari aumentano ulteriormente i consumi di lusso tendono ancora ad aumentare ma in maniera meno proporzionale.

Il contesto competitivo del mercato dell’auto americano la dice lunga. Da un lato abbiamo la pressione competitiva rappresentata dal cambio di paradigma rappresentato dall’auto elettrica e quella a guida autonoma, e nessuno può sapere come evolveranno questi mercati. Dall’altro preoccupa il potenziale deterioramento della domanda: Il problema dell’indebitamento negli Stati Uniti è ormai un dato di fatto, come emerge dai grafici della Federal Reserve. È per questo che Tesla ha ridotto il prezzo per il modello base a circa 35 mila dollari, che comunque resta ancora alto … In Europa se da un lato non c’è il problema del debito, di sicuro il rapporto salario /costo auto rappresenta un limite.

Siamo sicuri che il modello del riccone californiano/nordeuropeo con auto elettrica e che vive in una mega city, contrapposto al povero provinciale con auto a combustione e che vive nel paesello funzionerà?

 <<Se il ceto medio finisce chi comprerà le Panda?>> Sergio Marchionne