Covid-19, il rifiuto dei dati scientifici non aiuta a prevenire future epidemie

scritto da il 31 Marzo 2020

Autore del post è Roberto Danovaro, Università Politecnica delle Marche e presidente del Comitato scientifico del Wwf Italia

Lo scorso 29 marzo il Sole24Ore ha pubblicato un articolo di Enrico Mariutti sul contagio da Covid-19 in cui l’Autore si domanda se l’impatto dell’Uomo sull’ambiente e i Cambiamenti Climatici abbiano effetto sulle epidemie che stiamo vivendo. L’Autore sostiene che quanto descritto dal Report WWF sia solo una teoria affascinante che però non trova riscontro nei dati, i quali anzi dimostrerebbero il contrario. Per confutarla propone un’analisi storica in cui racconta che nelle epoche antiche, quando gli ecosistemi non erano impattati dall’Uomo, la popolazione umana viveva meno a lungo. Ergo, la distruzione degli ecosistemi “ha coinciso con un notevole allungamento dell’aspettativa di vita e, di conseguenza, con un’impressionante crescita della popolazione mondiale”. E aggiunge: “Più aumenta l’impatto ambientale umano sull’ecosistema, più diminuisce l’incidenza delle malattie infettive sulla mortalità umana. Può essere difficile da digerire ma è così.” Questo ragionamento (sbagliato) sembra suggerire che la distruzione degli ecosistemi del pianeta abbia una correlazione positiva con l’aspettativa e la qualità della vita. Da ricercatore posso affermare che questa logica è priva di fondamento poiché confonde variabili che vengono messe in correlazione con rapporti causa-effetto.

Dire che il progresso scientifico e la capacità di curare malattie siano possibili proprio grazie alla distruzione degli habitat è una follia. La distruzione degli habitat non è un male necessario per il progresso dell’umanità e il Report WWF non sostiene in alcun modo che la protezione dell’ambiente richieda uno stop al progresso scientifico, ai vaccini o altro; parla anzi di restauro ambientale, oggi indispensabile e necessario al benessere umano, che implica proprio l’uso delle migliori conoscenze e tecnologie per curare l’ambiente e prevenire nuove epidemie che possono danneggiare la salute umana. La comunità scientifica, e con essa il WWF, hanno a cuore i problemi economici, ma per affrontare oggi i problemi di benessere e del lavoro servono modelli ed approcci nuovi. L’aspettativa di vita nelle popolazioni umane non si è di certo allungata grazie alla distruzione degli ecosistemi, bensì grazie alla ricerca scientifica in campo biologico e medico, che ancora prima dell’impiego di antibiotici e vaccini (spesso prodotti a partire da principi naturali) ha consentito passi da gigante nel garantire migliori condizioni sanitarie, a partire dalla scoperta dei batteri a fine 1600 e dall’immenso lavoro di Pasteur a metà 1800. Ben prima, quindi, delle curve riportate da Mariutti.

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Gli altri due fattori fondamentali alla base delle migliorate condizioni di vita e di alimentazione sono stati poi l’utilizzo di macchinari a supporto o in sostituzione dei più gravosi lavori umani e le migliorate tecniche agricole. Nel momento in cui l’uomo ha iniziato a degradare e distruggere in maniera diffusa gli ecosistemi per ragioni legate alla logica della “crescita infinita”, ha cominciato ad erodere quel capitale naturale cruciale per la propria sopravvivenza sul pianeta. L’IPBES (Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’ONU, l’equivalente per la biodiversità al ruolo dell’IPCC per il cambiamento climatico) avvisa che abbiamo significativamente alterato il 75% degli ecosistemi terrestri e il 66% di quelli marini.

Il progresso tecnologico e la protezione dell’ambiente sono assolutamente conciliabili e richiedono scelte chiare e immediate. Centinaia di studi scientifici indicano come la protezione dell’ambiente convenga sia alla salute dell’Uomo sia all’Economia, e spiegano come sia possibile, necessario e ormai urgente progredire senza distruggere la Natura, al fine di tutelare gli esseri umani. Proprio il contrario di quanto affermato. È singolare che la solidità delle argomentazioni apparse su questo giornale si basi su un’immagine della transizione epidemiologica (slide 26, presa da lezioni online dal corso del Dr. Manju a studenti indiani privo di riferimenti bibliografici), senza accorgersi che nella stessa lezione, nella slide 48, è scritto a chiare lettere che il “degrado ambientale contribuisce in modo chiaro al diffondersi di queste malattie”. Basterebbe questo a confutare le congetture dell’articolo pubblicato sul Sole24Ore.

Tuttavia, la letteratura scientifica è molto solida sull’argomento e si avvale di scienziati di riconosciuta fama che è bene ascoltare. Il salto di virus da animali selvatici all’uomo è un dato di fatto, riconosciuto come fonte di rischio da tutti gli organismi internazionali e nazionali che si occupano di salute, in primis l’OMS, CDC, ECDC, OIE e Istituto Superiore di Sanità. Così come un numero crescente di studi dimostra che i cambiamenti climatici porteranno ad un’espansione del rischio di zoonosi da latitudini tropicali a quelle temperate e che la trasformazione degli habitat e la distruzione degli ecosistemi giocano un ruolo importante in circa il 50% delle nuove malattie zoonotiche emergenti (esattamente come il CoViD-19). Infine, non dobbiamo confondere la cura (la ricerca di farmaci e vaccini) con la prevenzione (ecosistemi sani che non facciano scoppiare le epidemie negli animali selvatici per traferirle all’Uomo attraverso il loro commercio illegale spesso in contesti igienico-sanitari degradati).

Il Covid-19 non è la prima pandemia negli ultimi 100 anni, come affermato dall’Autore, l’OMS ne ha dichiarate diverse negli ultimi decenni (molte delle quali peraltro riportate nel report del WWF), e non sarà l’ultima. È quindi utile avere l’opportunità di chiarire i dubbi e confermare la solidità di quanto divulgato dal Report WWF Italia, perché è fondamentale non cadere in tranelli anti-scientifici che hanno sempre un respiro brevissimo quando negano la realtà delle evidenze. Ed è importante dare ascolto all’allarme mosso dal WWF Italia, comprendendo che la lotta al degrado della biosfera, lo stiamo vedendo oggi, mettono in pericolo la salute e la sicurezza di tutti. Abbiamo il dovere di aprire da subito un dibattito costruttivo sulle evidenti conseguenze degli impatti umani sull’ambiente, si tratta di una emergenza, di cui occuparsi con rinnovata energia al termine di questa crisi globale, anche per prevenire future pandemie.