Lockdown duro, misure di rilancio inadeguate. Come ce la possiamo fare?

scritto da il 16 Aprile 2020

Il “Great Lockdown” (definizione mutuata dall’ultimo aggiornamento del Fondo monetario internazionale)  al quale è sottoposta l’economia mondiale potrebbe portare alla più ampia  contrazione del prodotto interno lordo dai tempi della Grande Depressione. Con una correzione di 6 punti percentuali rispetto alle stime di gennaio, il fondo monetario internazionale ha preso una posizione decisa nei confronti delle conseguenze economiche derivanti dalla politiche di contenimento nella diffusione del Covid-19.

Si tratta di una cirsi globale, che si abbatte allo stesso modo sulle economie avanzate e sui paesi in via di sviluppo, ma che al tempo stesso avrà effetti differenziati in base al periodo nel quale si è inizialmente diffuso il contagio e alle condizioni di partenza dei diversi sistemi economici.

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L’area Euro, con una crescita del 2019 di poco superiore all’1% conoscerà plausibilmente il calo maggiore, fino a -7,5% nel 2020 per poi recuperare il 4,7% nel 2021. Gli Stati Uniti, che partono da una crescita doppia nel 2019 rispetto all’Europa, dovrebbero sperimentare un calo minore, nell’ordine del 6% per poi assistere a una ripresa analoga nel 2021.

I paesi emergenti, cresciuti in media al tasso del 3,7% nel 2019 dovrebbero contenere la variazione negativa entro -1% (con il decisivo contributo della Cina, senza il quale la correzione avrebbe ampiezza doppia).

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È di tutta evidenza che le previsioni descritte dipendono necessariamente da ipotesi forti sugli sviluppi dell’anno in corso e segnatamente sulla prospettiva che la fase più acuta della crisi sanitaria sia superata entro l’estate e che, di conseguenza, l’attività economica possa riprendere nella seconda metà dell’anno.

Dunque è possibile che l’andamento della crescita sia piuttosto differente da quanto previsto. Non è agevole ricostruire le modalità con le quali questi sviluppi inattesi sono stati modellizzati. In particolare, l’osservazione taluni indicatori quali ad esempio il consumo di energia elettrica per attività industriali e la ricostruzione degli spostamenti delle persone effettuata da Google Maps potrebbe lasciar sperare in risulati più ottimistici per alcuni paesi come la Germania e la Cina.

Difficile anche quantificare se e in che misura le previsioni del fondo hanno tenuto conto delle imponenti misure di stimolo fiscale che saranno messe in campo per contrastare gli effetti negativi della pandemia. Allo stato si stima che le risorse impiegate potrebbero valere circa 8 mila miliardi di dollari.

Per riepilogare, è ancora molto presto per cercare di quantificare come la pandemia in atto influenzerà le economie internazionali. Quello che però si può dire è che ci sarà un impatto recessivo molto rilevante e che questo impatto sarà distribuito in misura diseguale tra i diversi paesi.

Nel dettaglio, le differenze attese nella risposta dei sistemi economici dipendono dal timing con il quale la crisi sanitaria si è diffusa (in Cina prima che nel resto del mondo, in Italia prima che negli altri paesi europei), dalla tipologia delle misure di contenimento messe in atto e dalla loro durata (lockdown più o meno totale di durata variabile), dalla tempestività ed efficacia delle politiche fiscali e monetarie che vengono impiegate per supportare il sistema economico durante la fase più acuta delle crisi sanitaria (iniezione di liquidità, misure di sostegno al reddito e all’occupazione, rilassamento della regolamentazione in tema di erogazione e finanza pubblica) oltre che ovviamente dalle condizioni di partenza registrate prima dello shock (congiuntura, produttività e dinamicità del singolo sistema economico).

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Posto che non è possibile e non sarebbe opportuno discutere dell’accuratezza delle previsioni quello che si può fare è elaborare alcune riflessioni sul “caso italiano” in termini differenziali rispetto agli altri paesi per trarne utili spunti costruttivi. Putroppo le prospettive che ne emergono non sono incoraggianti.

Dal punto di vista delle condizioni di partenza, l’Italia affronta questa sfida globale partendo da una crescita del 2019 dello 0,3% pari alla metà della Germania (che pure era in rallentamento), un quarto di quella della Francia e un quinto rispetto alla Spagna. Questo avrà sicuramente un effetto sull’entità del calo nel 2020 e del possibile rimbalzo del 2021 come emerge dalle previsioni del FMI per le quali il nostro paese registrerà un calo maggiore rispetto agli altri paesi e una successiva ripresa in linea con la media se non inferiore.

È di tutta evidenza come l’inserimento nell’area Euro abbia un effetto molto rilevante in tema di mitigazione dell’impatto recessivo. Oggi il nostro paese può indebitarsi a tassi più convenienti rispetto a quanto coerente con il proprio merito di credito e rating  grazie agli interventi straordinari della BCE. Per quanto concerne le misure sanitarie potrà accedere a una linea di credito da parte del MES fino al 2% del PIL senza alcuna condizione. A questo vanno aggiunte le misure in sostegno all’occupazione del SURE proposto dalla Commissione, i finanziamenti alle imprese della BEI e la prospettiva di un fondo per la ricostruzione che potrebbe riportare in gioco i famigerati Eurobond.

Se tuttavia i fattori esterni (negativi come lo shock simmetrico o positivi come le misure UE)  impattano sul nostro paese in modo analogo agli altri, quelli interni avranno un carattere differenziale e purtroppo allo stato non lasciano intravedere scenari ottimistici.

Ad oggi il lockdown posto in essere dal governo italiano risulta tra i più restrittivi, anche in termini di libertà civili, senza peraltro che questo profilo trovi adeguate giustificazioni logiche o scientifiche, ma il sacrificio imposto al sistema produttivo e al tessuto sociale non appare compensato da risultati apprezzabili in termini di limitazione dei decessi o intensità di rallentamento del contagio.

Nella narrativa comune si dice che l’Italia abbia agito come la Cina, per la proporzione in termini di abitanti tra Wuhan e la Lombardia e tra Hubei e il resto del nostro paese. A ben guardare però, fatte le dovute proporzioni, l’equivalente della strategia cinese per l’Italia si sarebbe dovuto limitare a un lockdown della Lombardia e alla chiusura più incisiva di alcuni focolai all’interno e all’esterno della regione. In questo modo si sarebbe potuta preservare una parte dell’attività produttiva del paese, come avvenuto in Cina, senza apprezzabili rischi per la salute pubblica e per il sistema sanitario.

Mentre il sostegno al reddito delle famiglie appare presidiato da una struttura fortemente protettiva nei confronti del lavoro dipendente e con qualche timido provvedimento nei confronti dei lavoratori autonomi, le misure per la fornitura di liquidità alle imprese appaiono al momento inadeguate e prive dell’effetto “whatever it takes” suggerito su questo blog come declinazione pratica dell’appello lanciato dal ex presidente della BCE.

La minore flessibilità nel mercato del lavoro, che oggi ci fa guardare con superiorità ai picchi di richieste di sussidio registrati negli USA, costituirà un handicap in sede di ripresa e un potenziale ostacolo ai necessari processi di riconversione e trasformazione, che nel nostro paese saranno rallentati e resi più onerosi da una regolamentazione penalizzante per le imprese (specie di nuova costituzione e nei settori innovativi) e dalla ingombrante presenza dello stato nel tessuto economico del paese.

A un’analisi oggettiva della situazione è del tutto plausibile che le previsioni di crescita che per gli altri paesi possono oggi essere considerate realistiche o conservative, a meno di ulteriori shock al momento non prevedibili, siano ancora una volta ottimistiche per quanto riguarda il nostro paese, che potrebbe assistere a una riduzione della capacità produttiva e in seconda battuta dell’occupazione superiore alle aspettative e a quanto registrato negli altri paesi a noi comparabili

Per quanto le notizie sui contagi e i decessi costituiscano al momento l’interesse principale dei media, anche per il comprensibile coinvolgimento emotivo di queste tematiche, una sfida non meno importante per il nostro futuro si gioca al momento sul campo della protezione del sistema economico dallo shock imprevisto e dal sostegno alle attività produttive nella delicata fase successiva all’emergenza sanitaria.

Riceviamo aggiornamenti puntuali sul numero dei decessi e dei contagi (anche se i dati su questi ultimi prevedono una inevitabile approssimazione), ma al momento non abbiamo alcuna cognizione di quante imprese e attività indipendenti non sopravviveranno alla crisi e attendere che sia passata per saperlo sarebbe una scelta miope e autolesionista.

Nella misura in cui viene assicurato un adeguato sostegno agli operatori nella gestione dell’emergenza sanitaria più immediata, quello che farà la differenza in termini di danni permanenti all’economia sarà la nostra capacità di gestire il processo di transizione e trasformazione verso un mondo in cui convivere con una pandemia e tenersi pronti ad analoghe emergenze future costituirà uno degli aspetti della nuova normalità.

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