Unione Europea a un punto di svolta, ma l’Italia è pronta alla sfida?

scritto da il 20 Maggio 2020

Quando la Banca Centrale Europea, la Corte di Giustizia  e la Commissione  hanno in sequenza commentato, duramente, la sentenza della Corte Costituzionale tedesca sul Public Sector Purchase Programme dell’istituto con sede a Francoforte, ho pensato che fossimo giunti ad un tornante della storia dell’ Unione Europea. Si è appena agli inizi della curva, non è detto che si completi il giro e si imbocchi un nuovo rettilineo. Ma l’autodifesa delle istituzioni “federali” dall’attacco di una corte nazionale non può passare inosservata. Certo, si è trattato del giudizio di una corte a sua volta indipendente, ma il fatto stesso che provenisse dallo Stato Membro economicamente (e non solo) più forte, aumenta ancor di più il peso delle reazioni suscitate.

Con l’arrivo dell’emergenza Covid-19, i nodi istituzionali dell’Unione si sono incagliati al pettine. Era inevitabile che accadesse, così come accadde parzialmente all’indomani della crisi dei debiti sovrani nell’area euro. Si tratta di nodi molto spesso ignorati, ma fondamentali. Stiamo osservando anche in Italia gli strascichi di una ripartizione inefficiente delle competenze tra Stato e Regioni. (Immaginate per un secondo se le Regioni avessero il potere che hanno gli Stati Membri all’interno dell’Unione…Sarebbe un conflitto perpetuo)

Il pacchetto di risorse messo in piedi dall’Unione rappresenta ancora un mix eterogeneo, che varia da iniziative della BCE (Pandemic Emergency Purchase Programme), al MES senza condizioni per le spese sanitarie, alle altre iniziative della Commissione. Fino ad arrivare al futuro recovery fund, per il quale siamo in attesa della proposta da parte della medesima Commissione. Il pacchetto non è irrisorio, ma nel frattempo che esso sarà in grado di dispiegare i suoi effetti, il contrasto alla recessione graverà in gran parte sulle spalle dei Paesi Membri. Spalle che non sono ugualmente larghe.

Un esempio è rappresentato dalle deroghe alla disciplina degli aiuti di Stato, una materia fondamentale per la tenuta del mercato unico. A partire dal 20 marzo la Commissione europea ha avviato un temporary framework, già modificato due volte, per consentire ai Membri di intervenire a sostegno delle imprese nazionali. L’alleggerimento è molto incisivo e le autorizzazioni della Commissione stanno arrivando a tempi di record. Nel primo mese e mezzo del regime temporaneo, è emersa -non a sorpresa- una notevole differenza quantitativa tra gli aiuti concessi dagli Stati Membri. In prima fila, è apparsa subito la Germania, che sta ponendo in essere uno sforzo economico imperioso per sostenere il calo drammatico delle esportazioni.

L’esempio degli aiuti di Stato mi provoca due distinte reazioni. Una prima concerne la distorsione che il regime temporaneo provoca e provocherà alla libera concorrenza. Aiutare le imprese colpite duramente dai lockdown appare, in linea di principio, condivisibile. Lasciare però il destino delle stesse alle iniziative dei singoli Stati non sembra essere altrettanto condivisibile, poiché contrario alla natura stessa del mercato unico, come fatto notare anche in accademia. Non sarei affatto sorpreso se la questione finisse alla Corte di Giustizia europea, per la compromissione del level playing field tra imprese aventi la sede legale nell’Unione europea. Il problema, tuttavia, è direttamente discendente dai nodi istituzionali di cui sopra. L’Unione non ha attualmente la base legislativa per poter cospicuamente aiutare le imprese in via generale o settoriale, né indirettamente attraverso gli Stati (se non in maniera limitata). Un problema noto alle istituzioni, tanto che la stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, anche in occasione della riunione del Consiglio del 23 aprile, ne ha sottolineato l’importanza.

La seconda reazione, più amara, riguarda coloro i quali per anni hanno accusato la Germania di badare eccessivamente alla sua disciplina di bilancio anziché investire maggiori risorse pubbliche in spesa corrente e investimenti. Sono gli stessi che ritengono inutile o dannoso rispettare i parametri di Maastricht, ma che attualmente -in maniera del tutto sorprendente- si stupiscono per la maggiore capacità fiscale tedesca per combattere la recessione o per la facilità con cui riescono ad indebitarsi sul mercato. Si stupiscono, insomma, del fatto che loro siano in grado (forse e temporaneamente) di “farcela da soli”, dopo aver millantato per anni che l’Italia avrebbe potuto “farcela da sola” senza i vincoli UE, finendo per essere smentiti alla prova dei fatti.

Ed a pagare le spese di una campagna euroscettica molto spesso menzognera e del tutto autolesionista, sono cittadini ed imprese italiane. Secondo le stime della Commissione, nel 2020 saremo lo Stato Membro con la peggiore recessione dopo la Grecia e con il deficit più alto. Sicuramente la qualità della spesa gioca un ruolo preponderante (e solitamente non siamo in ciò maestri), ma anche il quantum delle risorse impiegabili può essere determinante.

eccattura

Il fatto stesso che la situazione italiana rappresenti un ostacolo ad una maggiore integrazione europea dovrebbe far riflettere su tutti gli errori fatti dalla nostra classe dirigente nazionale per dilapidare una credibilità in Europa che pensavamo ci spettasse per sempre di diritto, in qualità di Paese fondatore. Un errore gravissimo, dettato da arroganza, superficialità e pressapochismo, che adesso ci pone in una condizione di estrema debolezza per condurre i negoziati. E quando parti da una posizione di debolezza, molto spesso finisci per dover accettare le condizioni imposte da chi parte da una posizione di forza, che possono anche essere miopi e dannose.

Tuttavia, non tutto è perduto. Come ha scritto Beda Romano, «(…) converrà forse ai governi chiedersi se convertirsi all’europeismo non sia in fondo il minore dei mali pur di evitare una disintegrazione dell’Unione europea che rischia di essere travolgente.» Se i leader europei avranno la lungimiranza auspicata, capiranno che sono necessarie ulteriori cessioni di sovranità all’Unione per dotarla di strumenti efficaci con i quali reagire meglio a shock esogeni ed investire per la crescita. E pare che anche l’asse Franco-Tedesco inizi a comprenderlo.

Checché ne dicano i detrattori, il futuro sarà ancora di chi avrà il coraggio di cooperare a livello internazionale e di non chiudersi a riccio e la UE, con la sua area di libero scambio, potrà essere -si spera- un esempio con pochi eguali. Le forze politiche europee riluttanti, i cosiddetti “Stati del Nord”, potrebbero dare un occhio al passato, quando la mancata cooperazione e la voglia cieca di “punire” l’altro ha prodotto conseguenze nefaste. In un testo divenuto celebre scritto all’indomani della Prima guerra mondiale, Keynes espresse tutte le sue critiche sul Trattato di Pace e sulla miopia delle nazioni vincitrici. Scrisse Keynes: «Nei grandi eventi della storia umana, nel dipanarsi degli intricati destini delle nazioni, la giustizia non è tanto semplice. E se pur lo fosse, le nazioni non sono autorizzate, dalla religione o dalla morale naturale, a punire i figli dei loro nemici per i misfatti di genitori o di governanti.»

Un libro che già all’epoca, tra l’altro, conteneva un endorsement sul futuro mercato unico: «La proposta unione di libero scambio rimedierebbe in qualche misura alla perdita di efficienza organizzativa ed economica derivante altrimenti dalle innumerevoli nuove frontiere politiche ora create fra Stati immaturi, avidi, gelosi, economicamente incompleti e nazionalisti[1]

Ma se gli Stati Membri dovessero comprendere la convenienza di una maggiore integrazione, sarebbe opportuno che l’Italia giocasse meglio le sue carte diplomatiche e dimostrasse di essere pronta a raccogliere la sfida. Facendo capire ad esempio di essere disposta a raggiungere un compromesso che, a fronte di una maggiore integrazione sussidiaria europea, preveda un’attenuazione del rischio per gli altri Paesi di doversi accollare la ristrutturazione del nostro alto debito. Se così non fosse e, purtroppo, i precedenti dei nostri politici non sono incoraggianti, non ci resterebbe che sperare nella congiunzione astrale degli interessi verso il fine più propizio per l’Italia (ma anche per l’Unione) in luogo del compromesso.

Questa volta le consiglio di essere ragionevole! La fortuna potrebbe anche scivolar via”, disse Korov’ev a Margherita nel celebre romanzo di Bulgakov.[2]

Meglio non fare troppo affidamento alla dea bendata ed essere artefici del nostro destino.

Twitter @frabruno88

[1] Keynes J.M., “Le conseguenze economiche della pace”, Adelphi, citazioni dalle pagine 180 e 210

[2] Bulgakov M., “Il Maestro e Margherita”, Einaudi