La fascinazione bipartisan per la MMT e il sogno della spesa senza vincoli

scritto da il 24 Maggio 2020

In principio, come sempre, era John Maynard Keynes. Il Nostro ammoniva, nella sua Teoria Generale: “Le idee degli economisti e dei filosofi politici, sia quando sono giuste che quando sono sbagliate, sono molto piu’ potenti di quanto si creda comunemente. Al contrario, il mondo e’ governato da ben poco altro. Gli uomini della pratica, i quali si credono del tutto liberi da ogni influenza intellettuale, sono spesso schiavi di qualche economista defunto. Pazzi al potere, i quali odono voci nell’aria, distillano le loro frenesie di qualche scribacchino accademico di qualche anno addietro.” (Edizione UTET 2006, p. 557) E infatti, ci risiamo.

Dopo la fascinazione bi-partisan per le “teorie dal lato dell’offerta” (la supply-side economics cha ha informato dapprima le politiche di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, e poi il pensiero neo-liberista che ha dominato il mondo del Washington Consensus post-Bretton Woods) politici di mezzo mondo sembrano alla ricerca di un nuovo appiglio accademico-culturale per giustificare scelte di policy a dir poco azzardate.

Gli economisti pertanto hanno una grossa responsibilita’ nel formulare le loro teorie: dovrebbero sempre tener presente che esiste la possibilita’, tutt’altro che teorica, che qualche “madmen in authority” (Keynes scrive letteralmente di “Madmen in authority … distilling their frenzy”) le prenda a modello per orientare la sue scelte “pratiche”. Tanto piu’ se il politico di turno finisce per ispirarsi solo a una parte della teoria, o a una versione semplificata e semplicistica del suo insieme. Negli anni della supply-side economics, tale destino era toccato alla cosiddetta curva di Laffer, secondo cui, per aumentare le entrate fiscali, il governo doveva ridurre le aliquote di tassazione. Come si disse subito all’epoca e si continuo’ a dire: “il potere della curva di Laffer consisteva nella sua semplicita’ e praticita’: anche un politico poteva capirla.” L’applicazione pratica della teoria aveva portato il governo degli Stati Uniti ad aprire una voragine nel bilancio dello stato a seguito di tagli alle tasse per la classe media e di ingenti incrementi di spesa militare.

Nel mondo post-crisi finanziaria del 2008-09, dopo che le teorie del “fondamentalismo di mercato” che avevano ispirato l’architettura finanziaria internazionale dagli anni ‘70 in poi hanno mostrato i loro limiti, si cercano pertanto nuovi appigli teorici. La Modern Money (o Monetary) Theory – MMT – pare purtroppo prestarsi all’uso strumentale di cui sopra, con il rischio di giustificare scelte di policy a destra e sinistra che potrebbero rivelarsi catastrofiche.

La Modern Monetary Theory: Da Dove Nasce, E Cosa Propugna
Della MMT circolano soprattutto versioni semplificate e parziali e rappresentazioni caricaturali, che la espongono a questo rischio. Come in occasione del mio precedente articolo, non intendo partecipare alla guerra di religione di opposte tifoserie, ma piuttosto offrire un’analisi dei fatti per giungere ad una disamina di rischi ed opportunita’. Non intendo riproporre l’esposizione dei principi di fondo (in qualche misura gia’ discussi in precedenti articoli su Econopoly), quanto concentrarmi sugli aspetti che rendono cosi’ attrattiva la MMT per politici di destra e di sinistra.

Anzitutto bisogna partire dal fatto che la MMT nasce nel brodo culturale delle teorie economiche eterodosse (o non-mainstream), che tendono a porre l’accento sugli elementi di squilibrio ed instabilita’ dei sistemi economici e finanziari complessi, che nascono da informazione imperfetta ed asimmetrica, incompletezza dei contratti e dei mercati, fallimenti del mercato in presenza di esternalita’, etc e sottolineano l’importanza degli elementi istituzionali per il funzionamento dell’economia. Nel fare questo i teorici della MMT attingono esplicitamente, tra gli altri, alla tradizione dell’economia austriaca, alla teoria dell’instabilita’ finanziaria di Hyman Minsky, all’approccio endogeno o statale alla creazione di moneta (il “chartalismo” di Georg Friedrich Knapp), alla finanza funzionale e teoria del pieno impiego di Abba Lerner, alla teoria dei bilanci settoriali di Wynne Godley.

Insieme a questo nobilissimo retroterra teorico eterodosso, gli economisti della MMT attribuiscono grande valore all’evoluzione storica dei fenomeni economici, come per esempio la creazione della moneta da parte dello stato. Cosi’ come al rapporto di fatto indissolubile tra creazione di debito (incluso il debito fiscale verso lo stato, saldato attraverso le tasse) e creazione di moneta; ed ancora sul legame tra fenomeno religioso e creazione di moneta (quest’ultima creata per “redimere” il peccato derivante dall’accensione di un debito – per cui ancora oggi in tedesco i due concetti vengono espressi dalla stessa parola, Schuld).

Nel fare questo i teorici della MMT si discostano notevolmente dalle teorie mainstream, sulla nascita della moneta come mezzo di scambio e numerario al posto del baratto, cosi’ come come sulla nascita del sistema bancario (come luogo dove conservare il valore del mezzo di scambio) e della banca centrale e della sua indipendenza dal Tesoro. E quindi propongono teorie alternative praticamente su tutta la gamma dei principali concetti di teoria economica, dal deficit di bilancio all’inflazione, dalla piena occupazione alla bilancia dei pagamenti.

Dalla Teoria Alla Pratica: Maneggiare Con Cura
Gia’ da questi brevi cenni si dovrebbe capire come bisognerebbe iniziare a maneggiare la teoria con estrema cautela prima di dedurne indicazioni di policy pratiche. Ma purtroppo troppo forte e’ la tentazione del madmen in authority di andare a prendere quello spezzone di teoria che piu’ si confà al proprio disegno di policy (o semplicemente politico o di potere). E qui purtroppo la MMT mostra il fianco scoperto di chi per troppo a lungo e’ stato ingiustamente, a mio avviso, tenuto ai margini del dibattito culturale, politico ed accademico. Molti degli autori della MMT (Warren Mosler, Randall Wray, Stephanie Kelton, Bill Mitchell, Pavlina R. Tcherneva, James K. Galbraith e Steven Hail) sono o sono stati advisors economici di importanti esponenti politici, soprattutto nel campo dei Democratici americani (tra i quali Bernie Sanders, Alexandria Ocasio-Cortez, Elizabeth Warren) e questo li ha resi ipso-facto potenziale fonte di ispirazione per politici di tutte le latitudini.

Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders

Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders

Quali sono i precetti di policy che sembrano scaturire dalle loro teorie? Due in particolare: 1) che uno stato battente moneta sovrana non potra’ mai trovarsene a corto e, pertanto, dichiarare fallimento verso obbligazioni contratte in passato; 2) che lo stato puo’ sempre garantire il pieno impiego, senza necessariamente creare inflazione (usando il prelievo fiscale, invece che la politica monetaria restrittiva, come strumento per raffreddare la domanda aggregata). Per i critici piu’ sofisticati dell’ordine costituito c’e’ anche un terzo precetto: la banca centrale ed il Tesoro svolgono essenzialmente la stessa funzione (drenare moneta dal sistema per ridurre le pressioni inflazionistiche) e pertanto l’indipendenza della banca centrale non e’ caratteristica necessaria per il buon funzionamento dell’economia.

La Fascinazione Dei Democratici Americani Per La MMT
Cerchiamo di capire cosa ha affascinato i democratici americani, e poi passiamo alle vicende di casa nostra. I democratici americani si sono trovati in grandi ambasce dopo l’esplosione della crisi dei subprime, che ha messo in ginocchio l’economia americana. Dopo 12 anni di Reaganomics, il pensiero neo-liberista aveva ormai contagiato anche i Dems, al punto che fu Bill Clinton a porre fine agli ultimi diaframmi del glorioso Glass-Steagal Act (sulla separazione tra banche commerciali e d’investimento, regionali e nazionali, etc) adottato all’indomani del crollo del ’29. La crisi dei subprime del 2008-9 non si sarebbe prodotta senza la creazione delle banche universali americane derivante dalla fine del Glass-Steagal Act, e alla concomitante pratica delle porte girevoli (Robert Rubin, ministro del Tesoro di Clinton, era stato in Goldman Sachs per 26 anni, e – finito l’impegno a Washington – torno’ a Citigroup).

Pertanto, dopo la crisi, i Dems difficilmente potevano cercare riparo nuovamente tra le file dei neo-liberisti e dei teorici della terza via (presumibilmente tra stato e mercato). Nel frattempo, il campione in carica dei Democratici (tornati al governo con Barack Obama), era troppo impegnato a chiudere le due guerre mediorentali (in Afghanistan e Iraq) e i postumi della piu’ grave crisi finanziaria del dopoguerra lasciategli in eredita’ dal giovane Bush per permettersi di perder tempo a trovare fondamenti teorici per le sue azioni di policy.

Ma l’amministrazione Obama andava a mettere in luce due fenomeni che avrebbero determinato il radicale spostamento a sinistra del partito successivo alla sua dipartita dalla Casa Bianca e la scelta di affidarsi alle sirene della MMT da parte dei nuovi “socialisti” democratici americani. Da una parte, l’Obamacare, meritorio intervento per l’estensione della copertura sanitaria della popolazione americana, da finanziarsi anche con l’aumento delle tasse. Una scelta che andava a rinvigorire l’immagine dei Democratici come campioni del “tax and spend”, ossia che ogni riforma sociale necessariamente implica un aumento delle imposte, che la rende indigeribile alla parte piu’ conservatrice della popolazione, che rimane la maggioranza negli Stati Uniti.

E dall’altra le numerose battaglie parlamentari intraprese con i Repubblicani sull’incremento del “debt ceiling”, ovvero il tetto dell’indebitamento del governo federale, da parte del Congresso. Una pratica poco piu’ che burocratica per molti anni (in quanto semplicemente derivante dalla necessita’ di adeguare il tetto del debito agli impegni di spesa gia’ approvati in precedenza dal Congresso) ma che la destra americana ha provato a strumentalizzare come cavallo di Troia per la riduzione dei programmi sociali di spesa e dei diritti acquisiti.

In sostanza, i Dems, storditi dall’inattesa vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton (la moglie del Bill di cui sopra), hanno cercato una teoria economica non-mainsteam che permettesse loro: 1) di perseguire l’obiettivo storico dei Democratici americani del pieno impiego (si pensi al New Deal di Franklin Delano Roosvelt), senza causare inflazione; 2) di incrementare i programmi sociali di spesa senza per questo dover necessariamente alzare le tasse (e pertanto diventare invisi all’elettore mediano americano), grazie alla possibilita’ della banca centrale di stampare moneta; 3) porre fine una volta per tutte alla dinamica per la quale i Repubblicani creano enormi buchi di bilancio per finanziare tagli alle tasse del loro elettorato e guerre in giro per il mondo, che poi i democratici si trovano costretti a ripianare una volta al governo. Chi meglio della MMT prometteva di raggiungere questi tre obiettivi contemporaneamente?

Where’s the catch?, ossia dove casca l’asino? La ritirata di Warren and Sanders dalla corsa per la nomination dei Democratici in favore del centrista Joe Biden testimonia che, anche a naso, l’elettore medio democratico sente puzza di inganno nelle ricette “socialisteggianti” dei campioni della sinistra del partito. Ma anche ammesso che queste ricette venissero mai adottate, il loro successo andrebbe provato sul campo. Per un periodo, le soluzioni proposte della MMT potrebbero anche funzionare. Ed in qualche misura, le misure di “helicopter money” adottate dagli Stati Uniti sembrano dar ragione ai teorici della MMT. Ma questo grazie ad un fattore che non viene pressoche’ mai citato dai suoi teorici, e cioe’ l’exorbitant privilege derivante dal dollaro, ossia del privilegio derivante agli Stati Uniti dal possedere la moneta di riserva internazionale, soprattutto in un momento di forti spinte deflazionistiche e di tassi di mercato pressoche’ nulli o addirittura negativi. Ma il crollo della fiducia del mercato (un entita’ fondamentale nell’equazione delle economie moderne che la MMT stranamente sottovaluta) che potrebbe derivare dall’adozione di politiche eccessivamente eterodosse potrebbe portare a una svalutazione del dollaro e a una spinta inflazionistica che rischierebbe di far cadere l’intero edificio teorico-pratico.

La Fascinazione Bipartisan Dei Politici Italiani
Cosa dicono i politici di casa nostra? Anche in Italia politici di destra e di sinistra sembrano cadere nella fascinazione della MMT. A sinistra, piace l’obiettivo del pieno impiego, non inflazionistico, perseguito dallo stato, magari con un salario minimo o un redddito garantito. A destra piace il richiamo ai poteri derivanti da un ritorno alla “sovranita’ monetaria”, magari conseguenti ad un’uscita dall’euro. A tutti, indistintamente a destra e sinistra, piace l’idea di poter finanziare programmi di spesa, praticamente senza vincoli di bilancio, senza correre il rischio di creare inflazione e di incorrere in un default sovrano. Ma questi obiettivi, sono raggiungibili, seguendo la teoria? Not so fast.

Prima di prendere quello che ci piace, dobbiamo inghiottire quello che non ci piace. Come detto, la MMT pone l’accento sugli aspetti istituzionali del sistema economico. E qui partiamo dal fatto che l’Italia appartiene ad un’unione monetaria in cui, come giustamente fa notare la MMT, la politica fiscale e’ stata totalmente disgiunta dalla politica monetaria (che invece, come abbiamo visto, vengono ritenute due facce della stessa medaglia) e che comporta il fatto che il paese sia, di fatto, indebitato in una valuta di cui non ha il pieno controllo. Ammettiamo che cosi’ non funzioni, come dicono i cosiddetti sovranisti. A quanto ammontano i costi dell’uscita dall’euro per il recupero di quella che potrebbe sembrare sovranita’ monetaria, e che invece sarebbe semplicemente dipendenza dalle scelte di policy della BCE, senza aver alcun potere decisionale al suo interno? Non potrebbero essere minori i costi per raggiungere un maggior coordinamento delle politiche fiscali dei paesi aderenti all’euro e, tra queste politiche fiscali e la politica monetaria della BCE?

Rivolgendosi a sinistra, chi non vorrebbe il pieno impiego non inflazionistico, magari con un salario minimo come propone la MMT? Eppure l’Italia, per molti anni ha goduto di piena sovranita’ fiscale e monetaria, e prima del divorzio tra Banca D’Italia e Tesoro del 1981, c’era anche il finanziamento del deficit di bilancio da parte della banca centrale (che la MMT propone) ed anche la scala mobile con il punto unico di contingenza, a protezione del potere d’acquisto dei lavoratori e come cardine dellla politica dei redditi. Ma non sono forse stati quelli gli anni che hanno portato a diverse fiammate inflazionistiche e ripetute svalutazioni della lira, che per prime danneggiavano I segmenti piu’ fragili della popolazione?

Infine puo’ MMT giustificare questa smania a destra e sinistra di liberarsi dei vincoli di bilancio, di cui abbiamo iniziato a sentire il peso dall’adozione del trattato di Maastricht ed e’ stata accentuata con l’adozione del fiscal compact e del pareggio di bilancio (strutturale) in Costituzione? Ancora una volta, bisogna essere realisti. L’Italia e’ soggetta a un vincolo di mercato prima ancora che di qualunque altra natura. Lo stato di natura idilliaco in cui questo vincolo non era presente non e’ mai esistito: quando i vincoli di bilancio erano meno stringenti, la classe politica usava la flessibilita’ esistente per finanziare spese improduttive e non investimenti, con il risultato di determinare l’esplosione del debito pubblico verificatasi negli anni ‘80 e che ancora oggi costituisce un fardello di cui e’ difficile liberarsi.
In sostanza, MMT, come tutte le teorie economiche, puo’ offrire soluzioni, ma solo a un certo prezzo. Quindi, beware what you wish for.

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