Appalti, come le irregolarità tributarie possono affossare le imprese italiane

scritto da il 17 Luglio 2020

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

In una bozza del Decreto “Semplificazioni”, che sta prendendo forma in questi giorni, è risputato un vecchio fantasma che si era manifestato al tempo dello “Sblocca Cantieri” dello scorso anno: l’esclusione dagli appalti pubblici, in presenza di irregolarità tributarie solamente contestate e non definitive.

Puntuale, come quel doloretto alla cervicale di cui pensavi di esserti liberato dopo dieci sedute di fisioterapia, che ritorna dopo una dormita di mezz’ora in treno con il collo sbilenco. È ciò che devono aver provato molte imprese nel leggere i contenuti della norma modificativa del codice degli appalti; con l’aggravante, però, che per molte di loro quel doloretto potrebbe risultare fatale.

Si tratta di una disposizione che, a parere di chi scrive, appare profondamente inadatta rispetto al paradigma tributario nazionale, al di là degli effetti pratici (devastanti) che la stessa potrebbe sortire.

Va detto che la necessità della sua emanazione trova origine nell’ammonimento da parte della Comunità Europea del gennaio 2019, per la presunta incoerenza della disciplina nazionale rispetto alle Direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE. L’attuale Codice degli Appalti, infatti, limita l’esclusione ai casi in cui la violazione tributaria o contributiva sia definitiva, ovvero disposta da una sentenza passata in giudicato o contenuta in un provvedimento non più impugnabile. La modifica proposta prevede, invece, che l’esclusione operi parimenti nel caso in cui l’impresa che non abbia ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, anche non definitivamente accertati; salvo che l’operatore economico si impegni in maniera vincolante a pagare totalmente o a rate le imposte o i contributi previdenziali dovuti.

Pur comprendendo l’esigenza di dover fornire un riscontro alla sollecitazione europea e, quindi, prevedere una modifica dell’attuale disciplina, una formulazione del genere – e parlo di contenuti, a prescindere dal tenore letterale – lascia molto a desiderare.

Chi conosce minimamente il sistema tributario nazionale sa bene che un avviso di accertamento può essere emesso su basi induttive, cioè essere fondato esclusivamente su presunzioni, oppure scaturire da una divergente interpretazione di concetti quali l’inerenza dei costi, la competenza economica di componenti positive e negative di reddito, l’utilizzo in maniera elusiva di strumenti giuridici leciti, ecc.

In sostanza, vi sono una molteplicità di situazioni in cui la contestazione tributaria si muove su un confine sottilissimo, dove da una parte c’è il lecito e dall’altra l’illecito. È un sistema accertativo in cui si fa largo uso di presunzioni e di inversione dell’onere probatorio: prima si contesta il fatto, poi il contribuente deve dimostrare il contrario.

È per questo che lo stesso ordinamento tributario contiene delle tutele a favore del contribuente sottoposto ad accertamento, prevedendo ad esempio che la riscossione degli importi avvenga in misura frazionata in pendenza di ricorso, oppure che l’esecuzione stessa possa essere sospesa sia dal giudice tributario sia dallo stesso ente accertatore.

In altri termini, essere “sottoposto ad accertamento” non vuol dire assolutamente essere un “evasore”, o comunque un soggetto che si è “sottratto ai propri obblighi tributari”.

Per questa ragione non si può parificare la posizione di un’impresa che abbia subito un accertamento definitivo, sul quale magari si sia formato un giudicato (con sentenza definitiva favorevole al fisco), ed un soggetto che abbia soltanto ricevuto un avviso di accertamento.
Con l’ulteriore paradosso, poi, che anche qualora il contribuente risultasse vittorioso in commissione tributaria, con una sentenza di annullamento dell’avviso di accertamento, sarebbe comunque escluso dall’appalto qualora la causa fosse ancora “pendente”, con termini per l’impugnazione ancora aperti (o in caso di impugnazione della sentenza proposta dalla controparte). Salvo il fatto di ottemperare comunque al pagamento dell’atto annullato (cosa che appare di difficile realizzazione, anche su un piano pratico, visto che la sentenza tributaria è immediatamente esecutiva e fa cadere ogni obbligo di pagamento).

Altra “stortura” consiste nel fatto che, qualora l’esecuzione dell’atto tributario non definitivo sia sospesa, con pagamenti interrotti da una commissione tributaria o dallo stesse ente accertatore, il contribuente dovrebbe pagare comunque per accedere all’appalto, visto che la norma prevede questo.

In definitiva, l’esclusione dagli appalti per l’impresa che, sic et simpliciter, abbia ricevuto un avviso di accertamento, una cartella esattoriale o una qualunque contestazione di carattere tributario non definitiva appare del tutto fuori contesto rispetto al paradigma tributario nazionale ed alla realtà accertativa che connota il sistema.

Ferma restando l’esigenza di adeguare il meccanismo alle direttive europee, non si comprende perché la formulazione normativa sia stata mantenuta in una forma così rigida, pressoché inalterata rispetto al precedente disegno che aveva trovato spazio nel Decreto “Sblocca Cantieri”, per poi essere stralciato in sede di conversione, previa sommossa degli operatori e degli esperti di settore. Sarebbe sufficiente, semmai, contemperare le esigenze europee con le specificità del sistema nazionale, strutturando la norma in maniera adeguata, pur senza creare eccessive complicazioni.

Ad esempio, si potrebbe prevedere che, in caso di proposizione del ricorso contro l’atto tributario, la preclusione per l’accesso all’appalto non operi almeno fino alla sentenza di primo grado eventualmente sfavorevole al contribuente: in tal modo, l’atto sarebbe sottoposto ad un primo vaglio giudiziale (seppur non definitivo) prima di produrre i suoi effetti preclusivi per la gara. Così che, ad esempio, il contribuente che risulti vittorioso in commissione tributaria, possa partecipare alla gara senza dover pagare degli importi che, in base all’ordinamento nazionale, non sono dovuti.

Infatti, la sentenza tributaria di primo grado è immediatamente esecutiva, con la conseguenza che l’atto annullato (seppure non definitivamente) non determina l’insorgenza di alcun obbligo di pagamento a carico del contribuente. Non si comprende, sotto un profilo anche meramente pratico, in che modo il contribuente potrebbe ottemperare al pagamento dell’atto non definitivo, nel frattempo annullato dalla commissione tributaria, per essere coerente rispetto alla normativa sugli appalti.

Parimenti, si potrebbe attribuire valenza, sotto il profilo della riscossione provvisoria degli importi, ai provvedimenti di sospensione amministrativa e/o giudiziale eventualmente concessi dagli organi competenti. Non ha senso, infatti, che un obbligo di pagamento che risulti sospeso in base all’ordinamento nazionale possa essere preclusivo della partecipazione ad un appalto.

Non è troppo tardi per apportare dei correttivi di questo tipo, o altri che il Legislatore dovesse ritenere opportuni. Una cosa è certa: la norma, così come è stata proposta fino ad ora, assesterebbe un duro colpo, peraltro ingiusto per quanto sopra detto, alle imprese italiane.