Intesa conquista Ubi, ma è banca di sistema contro banca di mercato

scritto da il 31 Luglio 2020

Avevo commentato su Econopoly 24 la prima offerta di acquisto di Intesa Sanpaolo su UBI evidenziando come, pur presentando aspetti positivi in ambito domestico e nel breve termine, lasciasse non poche perplessità su un orizzonte di più ampio respiro,  specie con riferimento ad una prospettiva globale.

Nel breve infatti e limitatamente al contesto nazionale, l’operazione appare costruita in modo politicamente digeribile per le istituzioni e le parti sociali e finanche strategicamente opportuna, per sottrarre alla concorrenza un potenziale polo aggregatore nelle regioni più ricche del paese e resistere meglio a eventuali richieste politiche di intervento su altri istituti in difficoltà.

Guardando al contesto internazionale e a un orizzonte di medio periodo, si configura come una mossa attendista e di carattere prettamente difensivo, tesa a rinviare la resa dei conti con le trasformazioni strutturali del sistema bancario e, più in generale, dell’industria dei servizi finanziari.

Fatti i dovuti aggiustamenti per i “rilanci” effettuati rispetto alla proposta iniziale, il giudizio sulla fusione rimane invariato e, ora che l’offerta di acquisto e scambio è stata accettata da un numero di azionisti UBI sufficiente a decretare il successo dell’iniziativa, si può tentare qualche riflessione di carattere più generale rispetto al sistema paese e all’industria dei servizi finanziari in generale.

In particolare si può fare un confronto tra il modello di Banca di Sistema esemplificato da Intesa Sanpaolo e quello di Banca di Mercato incarnato da Unicredit.

Intesa San Paolo è la banca che fino ad oggi è riuscita meglio di tutte le altre a volgere a proprio vantaggio il rapporto di tipo simbiotico che nel nostro paese lega gli intermediari finanziari al governo e alla classe politica e dirigente del paese. Questo vuol dire che mentre infuriavano le polemiche sulla garanzia di stato al finanziamento per FCA, la banca di Sistema sopportando solo il 10% dei rischi portava a casa l’opportunità di servire come clienti tutte le imprese fornitrici della casa automobilistica.


Nel percorso accidentato che ha portato al salvataggio di numerosi istituti di credito anche di dimensioni rilevanti come Monte dei Paschi di Siena e le popolari venete, a vari istituti è toccato l’onere di portarsi a casa per 1€ banche in dissesto dal valore negativo e per l’assorbimento delle quali è stato spesso necessario procedere ad un aumento di capitale. La banca di sistema ha acquistato per un euro la parte sana delle popolari venete con una serie di garanzie da parte dello stato tali di assicurare la neutralità dell’operazione sul proprio risultato di esercizio.

Questo approccio trova il suo culmine con l’acquisizione di UBI.

Il concorrente che avrebbe potuto costituire il fulcro di un terzo polo bancario, o la base di partenza per la crescita nel paese di un operatore straniero è stato assorbito con buona pace dell’antitrust, che si è accontentata dello smaltimento di un po’ di filiali (che di questi tempi è quasi un favore), per consentire a un gruppo bancario già molto grande in Italia di consolidare la propria posizione dominante nelle regioni più ricche del paese.

Diversa e per certi versi opposta l’impostazione di Unicredit, banca di mercato.

Un istituto che ha dovuto riassorbire le eredità negative ricevute da precedenti “soluzioni di sistema” come Capitalia e Banco di Sicilia, ricorrendo ad aumenti di capitale e dismissione di partecipazioni di valore come Bank Pekao e Fineco.

Una banca che invece di acquistare concorrenti e sportelli nella speranza che i clienti vi rimangano attaccati punta a darsi una struttura leggera, orientata all’innovazione e cerca di competere in un mercato globale popolato da Neobank e Roboadvisor e nel quale hanno già messo piede i Big Tech con l’idea di acquisire una posizione rilevante.

Nel breve periodo e finché il sistema tiene l’approccio di Intesa Sanpaolo risulta vincente e crea valore per gli azionisti in misura maggiore rispetto a tutti gli altri operatori domestici.

Anche quando le sfide derivanti dalla concorrenza globale e dall’innovazione tecnologica non saranno più evitabili, la banca di Sistema potrà partire da una posizione solida grazie al capitale accumulato in virtù del ruolo di capofila e regista delle iniziative locali giocato nella complessa rete delle relazioni tra politica, economia e società.

Nel medio termine tuttavia, come più volte scritto su questo blog, l’onda della trasformazione digitale modificherà in modo radicale l’assetto dell’intermediazione finanziaria e lo scudo della protezione di carattere regolamentare non sarà più sufficiente a proteggere gli operatori tradizionali carichi di personale inadeguato e di strutture fisiche non più utili.

Da questo punto di vista l’approccio della banca di Mercato appare al momento, anche solo dal punto di vista culturale, meglio attrezzato per affrontare la rivoluzione.

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