Come il Covid-19 ha aumentato le disuguaglianze tra generazioni

scritto da il 18 Settembre 2020

L’autore di questo post, Nicolò Fraccaroli, è Postdoctoral Research Associate alla Brown University presso il Watson Institute for International and Public Affairs a Providence, Stati Uniti. Ha un dottorato in economia presso l’Università di Roma Tor Vergata e un Master in politica economica europea presso la London School of Economics. Ha lavorato alla Banca centrale europea nel team di affari europei e internazionali e alla Banca d’Inghilterra sulle riforme post-Brexit. –

Nel dibattito italiano sulle politiche di contenimento del Covid-19 l’argomento “giovani” è emerso principalmente in chiave critica, focalizzandosi su aspetti come le “movide”, gli aperitivi senza mascherina, e su di una mancanza di rispetto generale da parte dei giovani verso le regole di distanziamento sociale. Conte ha dichiarato di capire il “desiderio di movide” dei giovani, chiedendo loro di comportarsi responsabilmente. Il governatore del Veneto Luca Zaia ha lamentato che “i giovani si sono sentiti esentati” dal coronavirus invitandoli a “stare attenti” durante le vacanze. Sul Corriere Galli della Loggia si è spinto oltre, puntando il dito contro “turbe di giovani che dappertutto stanno agitando le notti italiane di questa estate […] posseduti da un desiderio di rivalsa che oggi si manifesta nella volontà di infrangere tutti gli obblighi e le precauzioni sanitarie, di farsi beffa in tal modo di ogni regola di civile convivenza” mossi dal “torbido proposito di seminare il contagio, d’infettare la società “per bene””.

Il mancato rispetto delle restrizioni è certamente da condannare. Tuttavia, rivolgere questi appelli esclusivamente ai giovani alimenta una percezione distorta, in cui i giovani sono meri consumatori di servizi di intrattenimento, mentre gli anziani, nonostante dispongano di maggiori risorse economiche e nella maggior parte dei casi offrono questi stessi servizi (in quanto proprietari di discoteche, ristoranti, hotel…), non hanno alcuna responsabilità.

Il risultato è il dipinto di un’Italia spaccata tra anziani che combattono la pandemia responsabilmente e giovani che vanificano questi sforzi per il piacere effimero di una vacanza. Questa visione non solo è profondamente sbagliata – e come vedremo sono i dati, non i luoghi comuni, a dimostrarlo – ma ha anche l’esito di adombrare la diseguaglianza tra vecchi e giovani che pesa sull’Italia, e che si è ulteriormente acuita con le misure di contenimento del Covid. Gli studi recenti ci spiegano come questo divario si stia già allargando, sfatando i luoghi comuni emersi sui giovani durante il lockdown.

Per prima cosa, i giovani non si stanno divertendo affatto. Ce lo dimostrano i risultati di un sondaggio condotto da Belot e colleghi tra il 15 e il 23 aprile 2020 su più di 6000 individui intervistati in 6 paesi (circa 1000 individui per paese) e pubblicato di recente sulla rivista Covid Economics. In tutti e sei i paesi del campione, inclusa l’Italia, il risultato è lo stesso: i giovani hanno avvisato effetti psicologici negativi durante il lockdown, come mancanza di sonno, solitudine, ansia e stress, conflitti con amici/familiari/vicini e noia, maggiormente rispetto alle generazioni più anziane. Il grafico sotto riassume questi risultati per ciascun paese. Più a sinistra sono i quadrati neri, minore è la probabilità di aver subito effetti psicologici negativi durante il lockdown. È interessante notare come nelle prime cinque serie, che distinguono gli intervistati in base al reddito (suddiviso per quantili), i quadratini siano allineati sulla linea arancione, che corrisponde allo zero. Ciò indica che non si notano differenze significative tra fasce di reddito in termini di impatto psicologico. Quando invece analizziamo le differenze in base all’età (dalla sesta riga in giù), gli over 65 (“Above 65”) hanno valori negativi maggiori rispetto alle fasce più giovani, corrispondenti ad un’inferiore probabilità di aver sofferto psicologicamente durante il lockdown.

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Fonte: Belot et al. (2020).

Sebbene questi risultati siano frutto di un sondaggio, e quindi dipendano dalle risposte soggettive degli intervistati, le stime sono in linea con quanto previsto dallo studio di Rachel I.S. Cohen e Emily A. Bosk, pubblicato sulla rivista Pediatrics. Secondo le due autrici, l’obbligo per i giovani di stare a casa combinato con l’instabilità economica e le pressioni familiari, hanno l’effetto di aumentare i rischi psicologici dei soggetti più vulnerabili.

In secondo luogo, le conseguenze economiche del Covid-19 sono state più aspre per i giovani. L’ultimo rapporto dell’OCSE sull’occupazione sottolinea che, assieme a quello delle donne, il gruppo che risentirà di più della crisi sarà proprio quello dei giovani. Questi hanno infatti lavori meno stabili, e spesso nei settori più colpiti dalla crisi, come ad esempio l’ospitalità. L’OCSE inoltre nota che questi stessi lavori sono a più alto rischio di contagio, rendendo i giovani dei potenziali vettori di diffusione del virus proprio a causa del loro lavoro (non delle loro vacanze). In Italia il fenomeno è ancora più marcato in quanto, non essendo economicamente autonomi, molti giovani vivono con i propri genitori, aumentando il rischio di contagio delle generazioni più anziane.

Lo hanno dimostrato empiricamente Bayer e Kuhn (2020), unendo i dati sui tassi di fatalità e sulla percentuale di giovani tra i 30 e i 49 anni che vivono con i propri genitori. Il risultato è riassunto nel grafico sottostante, che mostra una correlazione (che non implica necessariamente un rapporto causale) positiva tra la percentuale di giovani che vivono coi propri genitori (sull’ascissa), in cui l’Italia riporta la cifra più alta tra i paesi europei, e il tasso di fatalità (CFR, sull’asse delle ordinate). Sebbene queste stime facciano riferimento al tasso di fatalità di marzo, e non tengono quindi conto dell’evoluzione successiva del virus, mettono in luce un’ulteriore fragilità della situazione dei giovani durante il lockdown. Inoltre ci suggeriscono che il problema della diffusione dei contagi tra generazioni non può essere liquidato con interpretazioni affrettate attribuibili esclusivamente alla movida dei giovani.

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Fonte: Bayer e Kuhn (2020).

L’OCSE nota inoltre che nell’immediato i neolaureati, che già sono pochi in Italia, faticheranno a trovare un lavoro o uno stage. In altre parole, l’impatto della crisi è decisamente diverso se si è in età avanzata con un lavoro stabile o con una pensione. Questo è già visibile nei dati provvisori dell’Istat, che a luglio ha riportato un tasso di disoccupazione giovanile al 31% contro il 9% nazionale. Se la distanza tra queste due cifre è un fenomeno a cui eravamo già abituati, è importante notare che a maggio le cifre corrispondevano rispettivamente a 23.5% e 7.8%. Mentre la disoccupazione è aumentata di poco più di un punto percentuale, quella giovanile è cresciuta di 7.5 punti percentuali. Inoltre, l’istituto di statistica nota che i dati sull’occupazione sono migliorati rispetto al mese precedente per “tutte le classi d’età, ad eccezione dei 25-34enni”.

Sulla base di questi dati, non stupisce che durante il lockdown i giovani abbiano subito una maggiore riduzione dei propri redditi e consumi. Lo mostrano sempre i dati del sondaggio di Belot e coautori citato sopra. Secondo le loro stime, in Italia, gli over-65 hanno avuto il 25% in meno di probabilità rispetto ai più giovani (18-25 anni) di trovarsi con un reddito inferiore a prima. Una cifra simile si riscontra anche negli Stati Uniti, in Francia e Giappone, mentre il divario è maggiore in Regno Unito (35%) e Cina (47%). In linea con questi risultati, le generazioni più giovani hanno riscontrato una maggiore riduzione dei propri consumi rispetto alle fasce più anziane. Ma l’elemento più interessante di questi risultati è che il divario (percepito) in reddito e spesa è maggiore tra gruppi di età piuttosto che tra classi di reddito. In altre parole, secondo i risultati di questo sondaggio, il lockdown ha acuito maggiormente le diseguaglianze tra generazioni che quelle tra ricchi e poveri.

Se queste diseguaglianze si sono acuite con la pandemia, è importante notare che esistevano già prima, e non si è fatto molto per rimarginarle. L’aumento della disoccupazione giovanile, della fuga dei cervelli, della age dependency ratio (vedi figura sotto; in sintesi l’indice descrive quanti over 65 ci sono rispetto ai cittadini in età lavorativa), l’alto tasso di giovani che non studiano né lavorano (gli ormai celebri “NEET”), così come il calo della spesa pubblica in istruzione e il persistere del numero di laureati tra i più bassi in Europa, erano indicatori preoccupanti già prima del Covid-19. Come riassumeva Alberto Magnani nel suo libro (dal titolo eloquente) Gioventù Sprecata, l’Italia ha fallito la sfida del passaggio generazionale. In questo contesto desolante, viene da chiedersi quale sia la via d’uscita.

schermata-2020-09-17-alle-17-01-44Fonte: Banca Mondiale.

Le proposte per fortuna ci sono. Come ha sottolineato Mario Draghi nel suo recente discorso a Rimini, il punto di partenza è il superamento della logica dei sussidi, che sono utili ai giovani a sopravvivere, ma non a sfuggire alla condizione di precarietà e dipendenza in cui si trovano. È invece necessario, nota Draghi, adottare una visione di lungo periodo e dedicare ad istruzione e ricerca gran parte del debito destinato alla ricostruzione post-Covid. Il punto di vista di Draghi è in linea con la proposta del Forum Disuguaglianze e Diversità, che ribadisce il rafforzamento di scuola e università, ma che ad esso aggiunge la proposta di un’eredità universale e incondizionata per i diciottenni, e di un rinnovamento generazionale dei gruppi dirigenti amministrativi e politici. Nel suo Rapporto sul Divario Generazionale la Fondazione Bruno Visentini propone l’assegnazione di un “reddito di opportunità” di 20.000 euro a ciascun giovane tra i 16 e i 34 anni da spendere in istruzione, acquisizione di competenze professionali, alloggio e mobilità. A queste iniziative si è unita l’azione dei giovani, che reclamano una maggiore inclusione nei processi decisionali. Negli ultimi mesi, associazioni giovanili come AssembraMenti, Generazione Zero e Tortuga hanno spinto per una maggiore partecipazione dei giovani nella definizione delle politiche a loro destinate, e per il superamento del welfare familistico italiano, come ad esempio nei loro appelli su Pandora e sul Messaggero.

L’elemento mancante per mettere in atto queste azioni è la volontà politica. Sebbene, come notavo all’inizio di questo articolo, la Questione generazionale venga spesso ignorata (gli incentivi sono pochi con un elettorato che invecchia), il discorso di Draghi ha rivitalizzato il dibattito sul tema. Il fatto che Draghi abbia deciso di parlarne nella sua prima apparizione pubblica da ex presidente della Banca centrale europea, aiuta a capire l’importanza e l’urgenza del problema. Per dirla con le parole dell’ex presidente della Bce, “privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza.” I rimedi a questa privazione ci sono. Ora spetta alla politica fare il passo successivo.

Twitter @NicFraccaroli