Banche ed emergenza sanitaria, la strada dei sussidi è quella sbagliata

scritto da il 09 Ottobre 2020

Uno delle criticità più rilevanti, che rischia di minare il percorso di ripresa dell’economia europea nella delicata fase successiva alle misure di lockdown, riguarda l’elevato numero di possibili fallimenti e inadempienze su crediti attesi per i prossimi mesi.

Le stime più conservative della BCE prevedono crescita fino a 1400 miliardi per lo stock dei nuovi crediti deteriorati, mentre un sondaggio realizzato dalla società di consulenza PWC quantifica fino a 100 miliardi i volumi attesi per il nostro paese nei prossimi 12-18 mesi.

Il fenomeno è preoccupante per diversi motivi: da un lato, il prodotto interno lordo registra il mancato valore aggiunto, che veniva prodotto dalle aziende che cessano di operare e le entrate fiscali si riducono in proporzione al contrarsi dei redditi e degli utili, dall’altro, gli istituti di credito costretti da una regolamentazione stringente a destinare quote rilevanti di capitale a copertura delle perdite attese sui crediti, si trovano a dover ridurre la quantità di fondi che possono mettere a disposizione del sistema economico proprio in un momento in cui c’è un elevato bisogno di liquidità.

In particolare gli istituti di credito si trovano in una posizione scomoda, che si configura anche come un dilemma per le autorità che si occupano di vigilanza e supervisione:

  • concentrare l’attenzione sulla gestione e limitazione dei rischi, implica una sensibile riduzione nell’offerta di credito verso tutto il sistema economico e in particolare nei confronti dei soggetti che potrebbero averne maggior bisogno
  • usare criteri meno restrittivi nella concessione dei finanziamenti per sostenere le imprese in difficoltà e più in generale  la ripresa dell’economia, comporta il rischio che il deterioramento della qualità del credito diventi eccessivo e comporti per le banche oneri insostenibili

Come uscire da questa posizione di stallo?

Nel corso di una tavola rotonda tenutasi lo scorso 25 settembre Valdis Dombrovskis, Executive Vice-President della Commissione Europea ha sottolineato la necessità di intervenire in modo tempestivo:

Se non interveniamo in tempo, potremmo vedere le conseguenze dell’ultima crisi finanziaria ripetersi e registrare una crescita consistente dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche per anni.

 

Ciò minerebbe la nostra stabilità finanziaria e l’intera ripresa economica.

In termini concreti, le soluzioni a vario titolo invocate da lobbisti e banchieri, e discusse in seno alle istituzioni spaziano dalla ipotesi “Bad Bank“, nella versione centralizzata a livello europeo oppure declinata attraverso una serie di operatori nazionali (in Italia esiste già AMCO società di proprietà del ministero del Tesoro nata nel 1997 come SGA per ripulire il Banco di Napoli) fino a modifiche della regolamentazione vigente, poche settimane fa definita come “una bomba atomica nel bilancio delle banche” da Alberto Nagel, AD di Mediobanca.

Nel primo caso, si ipotizza che gli istituti di credito possano alleggerire i propri bilanci scaricando i crediti cattivi su qualche ente pubblico che, si accollerà  (verosimilmente a spese dei contribuenti) anche le perdite aggiuntive connesse con questo fardello.

Nel secondo caso, si tratta di concedere a ciascun istituto dei margini di discrezionalità su quando e in che misura riconoscere queste perdite: si tratta della direzione diametralmente opposta a quella seguita negli ultimi anni da regolatori e autorità di vigilanza.

Ad oggi i principali riscontri delle autorità sono stati di sostanziale chiusura nei confronti delle ipotesi di ammorbidimento delle regole perché si rischia di minare la solidità degli istituti di credito innescando un pericoloso “effetto domino” che parte dalle imprese debitrici, si trasmette alle banche e potrebbe rischiare di coinvolgere i governi nazionali, rendendo vani gli sforzi fatti per rendere il sistema più trasparente e stabile dopo l‘ultima crisi del debito sovrano in Europa.

Maggiore apertura sembra esserci verso soluzioni che, almeno a livello teorico, possano replicare i meccanismi di mercato imponendo che i crediti dismessi dalle banche siano oggetto di valutazione il più possibile indipendente in modo da non trasferire perdite indebite sui contribuenti.

In particolare, nel discorso di Dombrovskis leggiamo due suggerimenti per affrontare il problema:

Nel complesso, ritengo che la strategia debba concentrarsi su due aree:

In primo luogo, sviluppare i mercati secondari per gli attivi deteriorati. A questo proposito, esorto il Parlamento europeo a raggiungere un accordo sulla proposta di direttiva relativa ai gestori di crediti, agli acquirenti di crediti e al recupero delle garanzie reali.

Questa dovrebbe essere una priorità assoluta.

 

In secondo luogo, riformare ulteriormente il quadro di riferimento per l’insolvenza e il recupero dei crediti. In questo caso, dovremmo basarci sui risultati dell’esercizio di benchmarking in corso per discutere misure nazionali mirate.

Il dilemma dunque riguarda un profilo che abbiamo in parte già discusso su questo blog:

  1. le banche svolgono un ruolo peculiare all’interno del sistema economico (offerta di credito e trasmissione della politica monetaria) per il quale si ritiene opportuno assoggettarle a tutele particolari specie in tema di stabilità
  2. difendere le banche implica trasferire in capo ad altri soggetti, dai consumatori ai contribuenti una serie di oneri e quando questo non è strettamente giustificato da rischi concreti per la stabilità del sistema rischia di diventare un vantaggio indebito  per una specifica categoria di imprese

La strada per affrontare questa difficile situazione, mantenendo per quanto possibile un equilibrio dei diversi interessi ed evitando per quanto possibile abusi e distorsioni, passa necessariamente da un oculato mix di trasparenza, responsabilizzazione degli intermediari finanziari e modulazione dell’intervento pubblico al fine di evitare eccessi e duplicazioni.

Sotto il profilo della trasparenza, lo sforzo regolamentare degli ultimi anni è stato indirizzato a fare in modo che, soprattutto con riferimento alle banche dei paesi mediterranei, non ci fossero più dubbi e incertezze sul reale grado di deterioramento degli attivi di bilancio e sulla adeguatezza della dotazione di capitale. Si è cercato per intenderci di introdurre norme che evitassero il ripetersi di casi come il Monte dei Paschi di Siena e le popolari venete.

Non appare opportuno, neanche a fronte di circostanze eccezionali, tornare indietro a questo proposito, anche perché solo con una rappresentazione il più possibile veritiera della situazione contabile è possibile determinare la misura delle perdite concretamente attese e del capitale necessario per farvi fronte.

Per quanto concerne la responsabilizzazione, non può essere una regola contabile o un intervento straordinario dello stato a stabilire se un’impresa è in grado o meno di riprendersi e di tenere fede alle proprie obbligazioni. È compito delle banche stabilire a chi concedere e revocare il credito e assumersi la responsabilità e le conseguenze di questa scelta. In circostanze difficili come quelle che ci troveremo ad attraversare nei prossimi mesi è fondamentale che questo ruolo non venga meno e che non degeneri nell’eccesso estremo di evitare qualunque rischio interrompendo l’erogazione del credito, né all’estremo opposto di tenere in vita artificialmente controparti insolventi.

L’intervento dello stato dovrebbe essere concentrato a compensare gli effetti negativi dello shock esogeno, senza alimentare aspettative infondate, ma anzi supportando attivamente la trasformazione e la riconversione delle attività d’impresa che risultano non più adeguate al nuovo contesto.

Prima del diffondersi della pandemia gli intermediari finanziari stavano attraversando una fase di delicata transizione, per riuscire a sopravvivere in un mondo caratterizzato da bassi tassi d’interesse, forte concorrenza da parte di operatori innovativi e dalla necessità di impiegare nuove energie, risorse e tecnologie per misurare correttamente il rischio.

L’emergenza sanitaria ha accelerato questo processo e amplificato in modo estremo le difficoltà per gli intermediari finanziari meno aperti all’innovazione: la strada per superare questo momento difficile passa attraverso la ricerca di soluzioni adeguate al nuovo ambiente e qualunque tentativo di nascondersi dietro legislazioni di emergenza o sussidi di stato non avrà altro effetto che rinviare la resa dei conti e rendere più elevato il costo dell’aggiustamento.

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