Addio email, il lavoro in azienda tra algoritmi, realtà aumentata e chatbot

scritto da il 09 Novembre 2020

Post di Emanuele Cacciatore, Senior Director Insight & Cloud Strategy di Oracle e Nicola Comelli, Content Share & Selection Manager di Phyd –

La persona più intelligente nella stanza, è la stanza”. David Weinberger [1] ha usato questa immagine formidabile, ormai quasi dieci anni fa, per far comprendere la capacità della rete di esaltare esponenzialmente la conoscenza dei suoi singoli, siano essi nodi o persone, abilitandoli all’interazione reciproca. Questa prospettiva non è solo utile per descrivere efficacemente il web. È valida anche per descrivere cosa sta accadendo all’interno di aziende e organizzazioni che, proprio da una decina d’anni a questa parte, sono state chiamate a confrontarsi con la gestione di una quantità di informazioni (e quindi di conoscenza) in continua ed imperiosa crescita. Con una differenza sostanziale, però, rispetto al web nel suo insieme. E cioè che la complessità associata alla gestione di questa quantità e intensità di conoscenza ha ricadute dirette sulla competitività e sull’efficienza di questi sistemi. Una complessità che, non a caso, sta facendo da più parti mettere in discussione persino lo strumento della posta elettronica quale mezzo di comunicazione interno aziendale [2].

Negli ultimi anni è cresciuta in modo significativo l’adozione di piattaforme collaborative pensate proprio per ordinare il flusso di comunicazioni e informazioni scambiate all’interno di gruppi di lavoro: da Trello a Slack, da Wrike ad Asana, questi strumenti permettono di condividere l’operatività aziendale e, con essa, la necessaria interazione, ricreando ambienti di lavoro digitali perfettamente autosufficienti, senza richiedere il ricorso al tradizionale scambio di email tra colleghi. Verso la direzione collaborativa, poi, si sono spinte anche alcune tra le più note piattaforme di video-conferencing e produttività, da Teams di Microsoft al recentissimo Workspace di Google. evoluzione di G-Suite, e perfino un social network come Facebook, con la soluzione Workplace pensata proprio per le aziende.

Lo scorso anno, una ricerca di Gartner evidenziava come il mercato dei software collaborativi fosse destinato a raddoppiare il suo valore entro il 2023, passando da 2,7 a 4,8 miliardi di dollari [3]. Un incremento che restituisce la misura di come la gestione delle informazioni all’interno delle aziende stia diventando sempre più un fattore cruciale per sostenerne l’operatività e, quindi, l’efficienza e la redditività. La progressiva decentralizzazione del lavoro, che l’emergenza Covid19 ha accelerato notevolmente, ha imposto un’ulteriore rilevanza a questo tema. E se è vero che la diffusione e la semplicità di utilizzo delle piattaforme di collaborazione hanno accorciato la distanza fisica tra i team, è altrettanto vero che queste tecnologie da sole non bastano per superare le criticità organizzative del lavoro distribuito; una fra tante il benessere mentale dei lavoratori.

Nella scelta del mix degli strumenti di comunicazione e collaborazione da adottare, l’impatto sul benessere dei lavoratori dovrebbe essere tenuto in considerazione con riferimento ad almeno due aspetti. Il primo riguarda il raggiungimento di un livello adeguato di padronanza nell’utilizzo di questi strumenti, che richiede di per sé uno sforzo di adattamento da parte dei lavoratori. Non a caso la capacità di apprendere ed adattarsi ai continui cambiamenti di tecnologia è ritenuta una delle dimensioni fondanti della prestazione adattiva [4].

Il secondo, riguarda il rischio di sovraccarico cognitivo. Il termine, coniato nel 1964 dal sociologo Bertram Gross [5], indica il calo di attenzione derivante dal sovraccarico di informazioni a cui si è sottoposti. Già nel 2008 l’Università della California calcolava che l’individuo medio è esposto a 34 gigabyte di contenuti ogni giorno e ad un profluvio di oltre centomila parole. La proliferazione e la pervasività crescenti dei canali e delle piattaforme di comunicazione/collaborazione intensifica l’esposizione alle informazioni e di conseguenza il sovraccarico cognitivo dei lavoratori.

Da ciò discende la necessità di semplificare i flussi di informazione aggregandone e consolidandone le fonti in pochi ma selezionati punti di contatto. Anche in questo senso va letto il trend di diffusione nelle organizzazioni delle tecnologie conversazionali basate su intelligenza artificiale: i chatbot. I chatbot sono in grado di aggregare dati, contenuti ed informazioni rendendoli fruibili istantaneamente all’interno di un unico contesto di interazione: la conversazione appunto. Una conversazione le cui funzionalità includono ad esempio la classificazione e la ricerca rapida dei documenti oppure la prioritizzazione automatica di email e messaggi.

La convergenza tra applicazioni di digital workplace e conversational AI può quindi offrire un supporto significativo nella gestione della complessità e del sovraccarico informativo sui moderni luoghi di lavoro migliorandone la sostenibilità, soprattutto in contesti con forza lavoro estesa e distribuita.

In questo senso ad esempio, non dovrebbero stupire i risultati di una recente ricerca di Oracle e Workplace Intelligence, AI@Work 2020 [6], condotta su un campione di 12.000 tra dipendenti, manager, responsabili delle risorse umane e dirigenti in 11 paesi del mondo, compresa l’Italia. Il 75% degli intervistati ha affermato infatti che l’Intelligenza Artificiale ha dato un contributo positivo al benessere psicologico, in quanto strumento di lavoro. Al primo posto tra i principali vantaggi rilevati è stata citata la disponibilità delle informazioni necessarie per svolgere il proprio lavoro in modo più efficiente (31%) e la riduzione dello stress grazie al supporto nella prioritizzazione delle proprie attività (27%).

In contesti lavorativi caratterizzati da sovraccarico cognitivo, in cui l’attenzione diventa una risorsa scarsa, il benessere, la produttività e l’engagement dei lavoratori, remotizzati e non, dipendono quindi anche dalla disponibilità di strumenti di comunicazione e collaborazione sostenibili ed efficaci. La prossima generazione di strumenti di workplace communication/collaboration potrebbe essere rappresentata dalle applicazioni di mixed reality. Si tratta di applicazioni evolute basate su realtà virtuale (VR) e realtà aumentata (AR) in grado di ricreare uffici e spazi virtuali condivisi, completi di lavagne, esperienze immersive in cui i membri di un team possono incontrarsi e svolgere riunioni di lavoro; oppure ancora di funzionalità “click to call”, offerte da applicazioni come Sneek e Pukkateam, che consentono, con un semplice click, di trasformare lo snapshot di un collega – visualizzato sullo schermo del nostro laptop – in una live video-call eliminando tutti i passaggi tipicamente richiesti per organizzare una video-conference. E allora sì che la persona più intelligente nella stanza, sarà davvero la stanza.

Twitter @emacacciatore

NOTE

[1] La frase è tratta dal titolo del volume Too Big to Know: Rethinking Knowledge Now That the Facts Aren’t the Facts, Experts Are Everywhere, and the Smartest Person in the Room, edito nel 2011 e uscito in Italia per Codice Edizioni come “La stanza intelligente – La conoscenza come proprietà della rete”, nel 2013.

[2] How to cope with email overload

[3] Gartner says worldwide social software and collaboration revenue to nearly double by 2023 

[4] Pulakos, E. D., Arad, S., Donovan, M. A., & Plamondon, K. E. (2000) “Adaptability in the work place: Development of taxonomy of adaptive performance”, Journal of Applied Psychology, 85(4)

[5] L’opera nella quale viene affrontato il tema dell’information overload è “The managing of organizations: The administrative struggle”, nel quale Gross sottolinea che “il sovraccarico di informazioni si verifica quando la quantità di input in un sistema supera la sua capacità di elaborazione. I responsabili delle decisioni hanno una capacità di elaborazione cognitiva piuttosto limitata. Di conseguenza, quando si verifica un sovraccarico di informazioni, è probabile che si verifichi una riduzione della qualità delle decisioni”.

[6] 82% of people believe robots can support their mental health better than humans can