Adesso un vaccino anti-fisco che non sia cieco sui debiti correnti

scritto da il 22 Gennaio 2021

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Con l’arrivo, pur travagliato, dei vaccini per il Covid-19, ci si appresta (si spera) a riappropriarsi, in un tempo ragionevolmente medio-breve, della tanto agognata normalità, tornando a fare gli aperitivi con i propri amici, le visite ai propri cari, lo shopping, le cene fuori, la palestra e chi più ne ha, più ne metta.

Arrivati a quel momento, alla nuova “normalità”, ci sarà qualcuno (più di qualcuno) che si troverà però catapultato in un nuova realtà con cui fare i conti: una nuova normalità, che tanto normale non sarà.

Sto parlando di tutte le imprese che, avendo giocoforza “congelato” i propri ricavi nel periodo della pandemia (e non si sarà trattato di pochi, recuperabili mesi), avranno parimenti accumulato delle pendenze debitorie, non essendo state in grado, senza introiti, di assolvere alle proprie obbligazioni. La nuova normalità, dunque, contemplerà il riavvio delle attività e la produzione di ricavi, ma con un fardello debitorio sulle spalle probabilmente (per molti) ingestibile.

Tra le pendenze, un ruolo di primo piano è certamente rappresentato da quelle tributarie. Per cui, sarebbe il caso di dotarsi, in un tempo ragionevolmente utile, di un vaccino anti-fisco, da somministrare alle imprese prima che su di loro si riversi quella terza o quarta ondata che, paradossalmente, coinciderà proprio con il ritorno alla normalità.

Sono argomento quotidiano, tratto pressoché da tutte le testate giornalistiche, le misure che ha in testa il Governo per fronteggiare la situazione. Si parla di una probabile rottamazione quater, che dovrebbe interessare le cartelle sino all’anno 2019; contemporaneamente, un input del direttivo ha bloccato (così pare) la notifica delle nuove cartelle esattoriali, pronte a partire dall’inizio del nuovo anno, con la conclusione del periodo di sospensione delle notifiche esattoriali previste dai precedenti decreti del 2020.

 

Alle prese con cartelle e debiti

Alle prese con cartelle esattoriali e debiti

C’è un tratto comune a tutte le misure di cui ho sentito parlare dai vari esponenti: si ragiona solo e soltanto in termini di “cartelle esattoriali”, ovvero somme già iscritte a ruolo ed affidate all’Agenzia delle Entrate Riscossione (la vecchia Equitalia). L’impressione è che si consideri una (errata) equivalenza tra il debito tributario e le cartelle esattoriali, come se tutte le pendenze di questo tipo coincidessero in toto con le somme iscritte a ruolo. Così che, affrontando il tema delle cartelle, e trovando magari una soluzione per gestirle, si “pensa” di aver risolto (o attenuato in grossa parte) il problema delle pendenze tributarie. È un pensiero completamente sganciato dalla realtà.

Ripassiamo brevemente il funzionamento della riscossione dei tributi in Italia, limitandoci alle somme che derivano dalle dichiarazioni fiscali e facendo delle semplificazioni.

Il tutto nasce con la presentazione del dichiarativo fiscale (la dichiarazione dei redditi o la dichiarazione iva), dalla quale scaturiscono degli importi da pagare. La dichiarazione si presenta l’anno dopo per l’anno prima, cioè il dichiarativo presentato per l’anno 2020 si riferisce all’anno 2019. Se il contribuente non paga spontaneamente alle scadenze previste, le somme vengono richieste dal fisco con la cosiddetta “comunicazione di irregolarità” o “avviso bonario” che dir si voglia, con il quale è possibile pagare il dovuto con una sanzione del 10%, interessi abbastanza contenuti e dilazione in 8 o 16 trimestri.

Solitamente, l’avviso bonario arriva l’anno successivo al mancato pagamento delle somme derivanti dalle dichiarazioni, o anche dopo. Quindi, un avviso bonario che arriva nel 2020, si riferisce probabilmente a pendenze del 2018 o precedenti. Cosa succede se non si paga nemmeno questa volta? Le somme vengono iscritte a ruolo e confluiscono in una cartella esattoriale, con riscossione affidata ad Agenzia delle Entrate Riscossione. Dal mancato pagamento alla formazione della cartella passano circa tre anni, che è anche il tempo che l’amministrazione ha a disposizione per notificare l’atto esattoriale, evitando problemi di tardività e decadenza.

Tutto questo per dire che le somme iscritte a ruolo, ovvero le cartelle esattoriali, che vanno dal 2016 al 2019, si riferiscono per grossa parte a debiti generatisi nel triennio 2013-2016. Mentre le cartelle del 2020 (quelle non notificate per effetto delle sospensioni), esprimono pendenze riferite agli anni 2017 o al massimo 2018.

In altri termini, ponderare le misure agevolate soltanto sulle cartelle esattoriali e sui debiti a ruolo significa limitare il ragionamento alle pendenze generatesi prima del 2018: niente a che fare, almeno direttamente, con la crisi indotta dalla pandemia. È anche vero che la mancanza di liquidità di breve periodo, causata dallo stop alle attività, ha impedito di ottemperare anche a questi pagamenti, che pur rappresentano pendenze pregresse. E quindi è giusto intervenire “anche” su queste; ma non è giusto intervenire “solo” su queste, dimenticando il corrente e i debiti maturati a breve termine.

Anche dal punto di vista concettuale, che senso ha agevolare un’impresa che si sia resa inadempiente dal 2013 al 2018, consentendole di regolarizzare le cartelle esattoriali (che esprimono debiti di quei periodi), senza tutelare contestualmente un’impresa che abbia invece generato il proprio debito durante la pandemia e, probabilmente, a causa di essa?

Esprimo questi dubbi perché non ho mai sentito parlare, nelle interviste ma anche nelle bozze dei provvedimenti, di un intervento che includa la definizione agevolata degli avvisi bonari o delle somme scaturenti dai dichiarativi fiscali. Gli avvisi bonari, anzi, sono del tutto ignorati. Sembra che non esistano, quando è sufficiente parlare con gli imprenditori per capire come essi rappresentano una parte significativa del debito tributario corrente. Molti avvisi bonari che erano in piedi nel 2020 sono “decaduti”, circostanza che si verifica con il mancato pagamento delle rate. Queste somme saranno iscritte a ruolo soltanto fra un anno e quindi si troveranno escluse dai provvedimenti in fieri. Parimenti, le somme che non sono state versate dopo la presentazione dei dichiarativi, hanno visto quale unica agevolazione la possibilità di “rinviare” i pagamenti. Ma rinviando il pagamento, ci si troverà esattamente nella situazione descritta in partenza: ovvero, al momento della nuova normalità, si dovrà far conto con le scadenze dei pagamenti rinviati. Il rinvio non è una soluzione, bensì un potenziale problema. Anzi, neppure potenziale, bensì certo.

E neppure si può pensare di fare rottamazioni all’infinito, così da includere le pendenze correnti in futuri provvedimenti analoghi agli attuali. È un modo di ragionare privo di ogni pianificazione, creando peraltro l’aspettativa nel contribuente che gli conviene non pagare, tanto arriverà puntualmente una misura definitoria. È proprio questo uno degli aspetti maggiormente negativi delle varie forme di condono, ovvero creare l’aspettativa che ci sarà sempre un nuovo condono, invogliando in un certo senso l’omissione di pagamento.

Il mio auspicio, dunque, è che nelle misure in corso di formazione si abbandoni concettualmente l’equivalenza cartella esattoriale = debito fiscale, pensando di risolvere il problema fiscale limitandosi ad affrontare le sole pendenze iscritte a ruolo. In particolare, meriterebbero attenzione gli avvisi bonari, praticamente ignorati da tutti i precedenti provvedimenti (salvo una mini proroga delle rate di maggio e giugno nei primi decreti Covid). E meriterebbero attenzione le pendenze scaturenti dai dichiarativi fiscali che ancora non hanno trovato “posto” in un provvedimento di recupero da parte dell’amministrazione finanziaria.

Perciò qualche tempo fa avevo proposto su questa stessa testata una forma di definizione agevolata che fosse onnicomprensiva delle pendenze tributarie (il cosiddetto azzeradebiti), scongiurando interventi a macchia di leopardo che lasciano buchi a destra e a manca.
Se condono deve essere (ancorché non lo si voglia denominare in questo modo per svariate ragioni), che almeno sia risolutivo. Non ha senso mettere delle pezze che non coprano neppure la metà dei buchi e continuare a farlo vita natural durante.