Next Generation EU e Recovery Fund: il furto di sovranità è solo retorica

scritto da il 08 Febbraio 2021

Post di Luca Giagnoni, Avvocato. Associate presso Giovannelli, Masi, Cecconi & Associati, Studio Legale –

Su questo blog è stato di recente pubblicato un articolo intitolato “Perché il Next-Generation EU non è una panacea per l’Italia” (1) redatto da due analisti di Kritica Economica. In esso si esamina l’intero strumento denominato “Next Generation EU” (NGEU) sotto tre aspetti: il beneficio netto conseguito dall’Italia, la presenza di condizionalità nella governance e l’impatto macroeconomico atteso.

L’intento che traspare è quello di derubricare l’efficacia del NGEU e del suo strumento operativo (il Recovery and Resilience Facility, c.d. Recovery Fund) stigmatizzando i toni entusiastici che ne hanno accompagnato in questi mesi il racconto da parte di stampa, politici e media. Ritengo che le critiche portate dall’articolo non siano convincenti e di seguito ne illustrerò le ragioni, precisando sin da subito che non tratterò gli aspetti più propriamente “macroeconomici” pure evidenziati nel contributo.

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I. Il Bilancio UE e le risorse proprie prima del NGEU
Come tutte le organizzazioni complesse, anche l’UE redige e forma un bilancio che individua le entrate e, naturalmente, le spese. Secondo quanto previsto dall’ art. 311 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione (TFUE) l’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche. Le categorie di “risorse proprie” sono individuate da una decisione del Consiglio dell’Unione Europea (1).

La più importante è rappresentata dai contributi dei paesi dell’UE calcolati in proporzione al reddito nazionale lordo di ciascuno Stato membro, a cui si aggiungono le risorse tradizionali costituite dai dai dazi applicati dall’Unione ed i prelievi derivanti dall’applicazione di un’aliquota uniforme sugli imponibili IVA oggetto di armonizzazione (2).

Dal lato delle spese, lo strumento più importante è rappresentato dal Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) avente l’obiettivo di assicurare l’ordinato andamento delle spese dell’Unione entro i limiti delle sue risorse proprie e per un arco temporale di almeno 5 anni.

L’attuale QFP con orizzonte 2021-2027 prevede un bilancio a lungo termine dell’UE di 1.074,3 miliardi di euro destinato al raggiungimento delle finalità dell’Unione.
In questo contesto di regole, per così dire, “ordinario”, si inseriscono le misure predisposte dall’Unione per fronteggiare la crisi pandemica.

II. Il Bilancio UE e le risorse proprie dopo il NGEU
In data 27.5.2020, la Commissione ha presentato un pacchetto di proposte intitolato “Next Generation EU” (“NGEU”) per far fronte alle esigenze di ripresa dell’UE e dei suoi Stati membri a seguito della crisi COVID-19.

Lo strumento consiste in una integrazione del QFP 2021-2027 con una dotazione di ulteriori 750 miliardi di euro finanziata attraverso la contrazione, da parte della Commissione, di prestiti sui mercati.

Dopo la discussione all’interno dell’Eurogruppo avvenuta nel luglio 2020, la proposta è stata approvata dal Consiglio dell’Unione Europea con Regolamento 2020/2094 adottato in data 14.12.2020 che ha istituito “uno strumento dell’Unione europea per la ripresa, a sostegno alla ripresa dell’economia dopo la crisi COVID-19”.

Nello stesso giorno, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato la nuova decisione sulle risorse proprie conferendo alla Commissione, con l’art. 5, il potere di contrarre sui mercati dei capitali prestiti per conto dell’Unione per un importo massimo di 750 miliardi.

Già sotto questo profilo si percepisce il grande sforzo compiuto dall’Unione: per la prima volta nella sua storia, infatti, il Consiglio dell’Unione Europea ha deciso di incrementare le “risorse proprie” attraverso l’attribuzione alla Commissione del potere di contrarre sui mercati dei capitali prestiti per conto dell’Unione, realizzando un passo importante e niente affatto scontato verso la mutualizzazione e la condivisione dei rischi.

Il NGEU, tramite il trasferimento di siffatti poteri alla Commissione, dota l’Unione Europea di risorse proprie svincolate dai trasferimenti dei singoli Stati membri ed in quest’ottica apre ad una conformazione più federale delle istituzioni europee anche se, ancora, non abbandona totalmente il modello intergovernativo che la caratterizza sin dalla sua nascita.

Questo significa che per l’attuazione degli obiettivi e lo svolgimento delle funzioni di contrasto alla pandemia, l’Unione non sarà più dipendente dai trasferimenti dei singoli Stati Membri, dando corpo, come è stato giustamente sottolineato, al principio definito da Alexander Hamilton nella Convenzione di New York del 1788: “Se l’Unione persegue obiettivi autonomi dagli Stati, allora deve avere entrate autonome dagli Stati”.

Certo, questi strumenti, come dice lo stesso Eurogruppo, sono temporanei e limitati al contrasto della crisi generata dalla pandemia, ma non si può negare che, in questo delicato frangente, l’Europa abbia mostrato grande coraggio nel sovvertire un sistema che nemmeno con la crisi dei debiti sovrani era stato seriamente intaccato.

Scendendo nel dettaglio, la ripartizione della dotazione NGEU è specificata l’art. 2, par. 2 del Regolamento che prevede la seguente assegnazione:

(i) 384,400 miliardi di EUR in forma di aiuti a fondo perduto (c.d. grants) e di aiuti rimborsabili mediante strumenti finanziari;

(ii) 320 miliardi in forma di prestiti agli Stati membri per un programma di finanziamento della ripresa e della resilienza economica e sociale mediante il sostegno a riforme e investimenti.

L’importo stanziato a titolo di sovvenzioni (grants) si articola in diversi programmi di azione, ma il principale è sicuramente quello definito come Recovery and Resilience Facility (o anche Recovery Fund) al quale vengono destinati 312,5 miliardi.

A questo proposito, agli Stati membri viene chiesto di preparare dei piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR) in cui è definito il programma di riforme e investimenti dello Stato membro interessato per il periodo 2021- 2023.

Le modalità di redazione dei PNRR e le condizioni per accedere alle sovvenzioni ed ai prestiti del Recovery and Resilience Facility sono sommariamente descritte nelle conclusioni raggiunte dall’Eurogruppo nel luglio 2020.

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III. Il beneficio netto
A fronte di questi indubbi risultati, la prima obiezione rivolta dall’articolo di Kritica Economica riguarda la quantificazione del vantaggio effettivo in termini monetari che l’Italia riceverebbe al netto della contribuzione versata. In effetti, negli ultimi anni, l’Italia è sempre stata un “contributore netto” dell’Unione, nel senso che l’ammontare totale dei contributi versati è risultato superiore alle somme ricevute. Con il NGEU le cose cambiano ma, secondo Kritica Economica, in maniera non sufficiente.

L’Italia dovrebbe ricevere 209,7 miliardi di Euro, di cui 82,1 in sovvenzioni a fondo perduto (65,4 delle quali imputabili al Recovery and Resilience Facility) e 127, 6 miliardi di prestiti.
Secondo i calcoli indicati nell’articolo di Kritica Economica, il vantaggio netto per il nostro paese sarebbe pari 21,8 miliardi in 7 anni, cifra che gli Autori ritengono evidentemente insufficiente o comunque tale da ridimensionare i toni ottimistici che accompagnano lo strumento.

Un simile ragionamento si espone però a critiche sia di “metodo” che di “merito”. Sotto il primo aspetto, una critica meramente numerica rischia di non valorizzare adeguatamente i risultati politico-istituzionali sopra rappresentati e, al contempo, omette completamente di considerare in quale misura il nostro paese “pesi” in termini percentuali nell’ambito complessivo delle risorse messe in capo dal NGEU.

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Come accennato, l’Italia nel totale riceverà 209,7 miliardi su 750, pari a quasi il 28%. Di questi, la quota italiana di grants imputabile al Recovery and Resilience Facility è pari al 20% mentre la quota italiana sui prestiti pesa il 35,4%.

Sarebbe utile che i lettori si confrontino e formino i propri convincimenti non solo sui numeri assoluti ma anche su queste cifre percentuali.

Quanto al merito, Kritica Economica calcola anzitutto il beneficio netto sommando grants e prestiti in rapporto alla contribuzione italiana ed al prevedibile costo, in termini di maggiori interessi, derivante dall’indebitamento necessario per ripagare i prestiti del NGEU che tuttavia scontano, a loro volta, un tasso di interesse bassissimo come giustamente osservano gli stessi autori dell’articolo.

Anche in questo caso, diverse sono a mio parere le perplessità.

(1) Anzitutto, questa metodologia non considera che le risorse prese a prestito dall’UE e trasferite sotto forma di sovvenzioni “sono un debito dell’Unione Europea e non pro quota, dei singoli Stati Membri” e che quindi tali risorse “non appesantiscono i bilanci nazionali”, circostanza non di poco conto per i mercati e le agenzie di rating.

(2) In secondo luogo, nel calcolo complessivo, l’articolo di Kritica Economica considera i contributi che l’Italia versa all’Unione per formare il Bilancio europeo ed il QFP, ma non chiarisce se nel computo del beneficio netto “totale” siano state prese in considerazione le risorse che l’Italia riceverà proprio dal QFP in termini di sovvenzioni e fondi strutturali.

(3) L’articolo inoltre non sembra considerare, sempre ai fini del calcolo del beneficio “netto” totale, il notevole risparmio in termini di interessi derivante dalle politiche di allentamento quantitativo della BCE operate con il Pandemic emergency purchase programme (PEPP) e “i trasferimenti in entrata avranno luogo nel periodo 2021-27 coerentemente con la necessità di dare una risposta immediata alle conseguenze economiche e sociali della pandemia” con il meno recente Public Sector Purchase Programme (PSPP).

(4) Ancora, il calcolo del beneficio netto non considera gli ulteriori strumenti delle garanzie BEI, del SURE e della linea di credito pandemica del MES.

(5) Parimenti non si fa alcun riferimento alla circostanza (invero fondamentale) “i trasferimenti in entrata avranno luogo nel periodo 2021-27 coerentemente con la necessità di dare una risposta immediata alle conseguenze economiche e sociali della pandemia”, mentre, al contrario, “i trasferimenti in uscita saranno presumibilmente a regime solo dal 2028”. (3)

(6) Infine, non appare superfluo rilevare come, secondo alcune recenti stime dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, considerando una stima “meccanica” dei contributi che ciascun Paese potrebbe dover versare negli anni a venire, per l’Italia il beneficio netto – definito come la differenza tra il totale dei trasferimenti ricevibili nell’ambito di Next Generation EU e il contributo al rimborso del debito UE necessario per il suo finanziamento – ammonterebbe a oltre 46 miliardi (a prezzi 2018), ovvero a circa il 2,6 per cento del PIL del 2019 (a prezzi 2018).

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IV. Le “condizionalità”
La seconda critica fa invece riferimento alle c.d. “condizionalità” cui sarebbero accompagnate le erogazioni provenienti da NGEU e destinate ai singoli Stati membri.

Su questo aspetto occorre fare chiarezza.

Anzitutto, allo stato, non risulta ancora adottato il Regolamento che dovrebbe disciplinare l’accesso e l’erogazione dei grants e dei prestiti.

Il documento denominato “Regolamento che istituisce il Dispositivo di Ripresa e Resilienza” citato nell’articolo di Kritica Economica è solo una bozza redatta dalla Commissione che deve ancora essere approvata dal Parlamento Europeo.

Tale documento, così come le conclusioni dell’Eurogruppo (parimenti citate nell’articolo) disegna un sistema di regole comuni volte a disciplinare l’erogazione dei fondi.

In linea generale si tratta di disposizioni molto simili a quelle che da decenni accompagnano l’accesso ai fondi strutturali dell’Unione, in relazione alle quali nessuno ha mai sollevato alcuna particolare rimostranza.

Nello specifico, le regole in questione vincolano anzitutto le somme da stanziare al raggiungimento di determinati obiettivi come, ad esempio:

– la transizione verde e digitale;

– la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva;

– la coesione economica, l’occupazione, la produttività, la competitività, la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione;

– la coesione sociale e territoriale e la salute;

Trattasi di macro-obiettivi la cui opportunità ed utilità difficilmente si può mettere in discussione. Spetta poi agli Stati membri, attraverso i PNRR, declinare i mezzi e gli strumenti per raggiungere siffatti obiettivi.

Tali Piani verranno poi valutati dalla Commissione e approvati dal Consiglio dell’Unione Europea mentre l’erogazione dei pagamenti sarà subordinata all’effettivo raggiungimento di target intermedi legati al conseguimento degli obiettivi.

Vedremo quale sarà il testo finale del Regolamento che istituisce il Dispositivo di Ripresa e Resilienza, ma per adesso, gli atti ed i documenti ufficiali, non sembrano congegnare un sistema di condizionalità asfissiante o particolarmente invasivo come ad esempio quello che solitamente viene concordato dalla Commissione e gli Stati membri che richiedono l’accesso alle linee di credito ordinario del Meccanismo Europeo di Stabilità.

Certamente l’erogazione dei grants è subordinata alla valutazione della Commissione ed alla approvazione del Consiglio dei PNRR, ma non dobbiamo scordarci che queste risorse sono prese a prestito dall’Unione e costituiscono un debito comune di tutti gli Stati membri, i quali, ovviamente hanno il diritto di verificare che i fondi stanziati siano effettivamente spesi per il raggiungimento degli obiettivi prefissi.

Prive di consistenza si rivelano infine le preoccupazioni sollevate nell’articolo con riferimento al rispetto degli obiettivi previsti dall’art. 126 TFUE in materia di disavanzi eccessivi quale condizione per l’erogazione dei finanziamenti che sembra rinvenirsi nell’art. 9 della bozza di Regolamento.

Anzitutto, come detto, tale Regolamento non risulta ancora approvato. Inoltre, come noto, Patto di Stabilità e Crescita è attualmente sospeso e, salvo ulteriori proroghe, non verrà riattivato prima del 2022. Non c’è quindi alcuna possibilità che la Commissione sospenda, adesso, l’erogazione degli aiuti per il mancato rispetto di tali obiettivi.

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V. Conclusioni
Concludendo questa disamina, pare a chi scrive che le perplessità sollevate da Kritica economica verso il NGEU siano parziali e in gran parte decontestualizzate in quanto dirette a contestare elementi specifici senza considerare il quadro di insieme.

Il NGEU e il Recovery and Resilience Facility rappresentano una opportunità storica per il nostro paese ed un significativo passo in avanti verso un’Unione Europea meno intergovernativa e più federale.

L’Europa, in questa difficile fase, ha avuto il coraggio e la forza di fare un passo in avanti, mettendo in atto un complesso di strumenti senza precedenti.

Sono quindi da rigettare le accuse di conservatorismo avanzate da Kritica Economica: se l’Italia non riuscirà a sfruttare questa occasione gli strali non potranno più rivolgersi all’Europa.

L’Italia, all’opposto, dovrà dimostrare di essere all’altezza della sfida e invertire il drammatico trend che da anni ormai vede il nostro paese essere il fanalino di coda in Europa nell’impiego dei finanziamenti europei.

In quest’ottica le “condizionalità” che accompagnano l’erogazione delle risorse possono rappresentare un valido incentivo ad attuare quelle riforme strutturali di cui il nostro paese ha un drammatico bisogno e rappresentare, quindi, non un aspetto critico, ma uno dei veri punti di forza dell’intero strumento di contrasto alla pandemia.

Del resto se gli obiettivi che il Recovery and Resilience Facility sono obiettivi condivisibili ed anzi auspicabili, un vincolo al raggiungimento degli stessi può e deve essere salutato positivamente, evitando di trincerarsi dietro la solita retorica del “furto di sovranità”, la cui esasperazione nazionalistica ha negli ultimi anni portato negli ultimi anni ai risultati disastrosi che vediamo oggi.

Twitter @giagnoni_luca

(1) Allo stato con Decisione (UE, Euratom) 2020/2053 del 14.12.2020 che abroga la decisione 2014/335/UE.

(2) In realtà con la Decisione 2020/2053 il ventaglio delle risorse proprie, oltre, come vedremo, al NGEU si è arricchito anche di un ulteriore prelievo rappresentato dall’applicazione di un’aliquota uniforme di prelievo sul peso dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati generati in ciascuno Stato membro.

(3) In questi termini si esprime l’ufficio parlamentare di bilancio.