Un bilancio della riforma Brunetta della PA ora che è tornato ministro

scritto da il 25 Febbraio 2021

Post di Alessandro Guidi Batori per Neos, think magazine di studenti universitari. Alessandro è collaboratore parlamentare e ha conseguito un master of arts in Public administration management all’università LUISS Guido Carli –

Politica valutata: Legge 6 agosto 2008, n. 133; legge 4 marzo 2009, n. 15; decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (provvedimenti costituenti la cd. Riforma Brunetta).

Obiettivo: Incrementare la produttività della pubblica amministrazione mediante riduzione del tasso di assenteismo.

Impatto: Moderatamente positivo. Introdotti criteri di accountability, trasparenza, e di pianificazione delle performance delle pubbliche amministrazioni. L’intensificazione dei meccanismi ispettivi e delle decurtazioni salariali legate alle assenze sul posto di lavoro comportano un sostanziale appianamento delle differenze tra contesto privatistico e pubblico, la rimozione dei meccanismi ispettivi ne riduce drasticamente l’effetto.

Corpo: La riforma Brunetta della pubblica amministrazione rappresenta il primo tentativo, dopo le riforme Bassanini degli anni ’90, di riformare una PA eccessivamente autoreferenziale relativamente alla valutazione delle proprie strutture, ed il primo grande test di via italiana al New Public Management. Anticipando le conclusioni di questa analisi, dodici anni dopo la riforma Brunetta, è quanto più evidente che gli atti normativi costituiscono condizione indubbiamente necessaria, ma non sufficiente per comportare un cambiamento effettivo, motivo per cui le riforme degli anni ’90 hanno lasciato un’eredità in gran parte disattesa, enunciando principi privi tuttavia di strumenti attuativi validi. Nel caso della valutazione delle performance della Pubblica Amministrazione è quindi chiaro che gli impianti riformistici, per avere un impatto concreto e coerente, necessitano di un corpus di processi e sistemi di trasparenza e rendicontazione in relazione tra di loro, rispondendo al principio che in economia aziendale è definito della “visione sistemica” (1), intesa come rapporto causa-effetto instaurato tra organizzazione, gestione, misurazione e controllo in un più ampio processo gestionale. La riforma Brunetta, così come era stata emanata, è nata con l’ambizione di costituire il nuovo riferimento normativo generale per tutte le amministrazioni pubbliche. In questo senso la riforma ha tentato di costruire un trait-d’union tra una visione giuridica ed una aziendalista, cercando di rendere il carattere normativo della PA alla portata di tutti, nel solco di quanto già evidenziato da Massimo Severo Giannini nel suo celebre rapporto.

Le riforme del pubblico impiego degli anni ’90 miravano a risolvere una serie di problematicità che trovano larga diffusione anche nel dibattito odierno, come fragilità delle metodologie di valutazione, assenza di meritocrazia, mancanza di un vero sistema di accountability. Com’è tipico negli ordinamenti di civil law ed ancor di più in quello italiano, le norme ricoprono un peso non indifferente nell’indirizzare i comportamenti, facendo della non applicazione della norma un fatto ancor più culturale che amministrativo.

Le precedenti riforme, infatti, prima tra tutte il decreto legislativo n. 256/1999, avevano posto l’accento sulla necessità di predisporre una pianificazione di risultato, mediante un sistema di definizione degli obiettivi, senza porre un effettivo raccordo negli elementi costitutivi del processo di programmazione strategica dei ministeri: basti pensare che le direttive in materia di pianificazione di risultato predisposte dai ministri all’indomani delle riforme degli anni ’90 erano in realtà definite dalle tecnostrutture stesse, in quanto l’attività di definizione degli obiettivi era culturalmente vista come un adempimento burocratico da delegare ai vertici dicasteriali (2).

Alla luce di questa eredità, la riforma Brunetta si fa depositaria dell’enunciato di Maurice Hauriou, per il quale sono le istituzioni a fare le regole giuridiche e non il contrario. Capitalizzando sulle mancanze delle precedenti riforme, la prima innovazione della riforma Brunetta è da riscontrarsi quindi nella struttura semantica e nelle formule linguistiche adottate, con la puntuale definizione degli obiettivi raggiungibili dalla PA e con l’impiego del termine performance intesa come concatenazione logica di un ciclo bisogni-obiettivi-azioni-risultati-effetti, dando luogo ad un sistema in cui gli obiettivi devono (e non dovrebbero) essere raggiunti, configurando in questo senso un nuovo dovere in capo alle pubbliche amministrazioni. L’impianto riformatore definisce quindi l’obiettivo come “rilevante, specifico, misurabile, concreto e chiaro, relativo anche alla qualità dei servizi, ancorato a standard di riferimento, confrontabile e correlato alle risorse assegnate per raggiungerli”, indicando puntualmente le dimensioni specifiche degli obiettivi medesimi (di input, output ed outcome) e l’ambito degli stessi (ad esempio la qualità dei servizi) e, a tal fine, fornendo ai dirigenti della PA maggiore autonomia e responsabilità nella gestione delle risorse umane.

Alla luce di questi elementi, il paradigma evolve dalla misurazione della performance alla sua gestione che, mediante stesura di un performance plan, prefigge il miglioramento dei risultati tramite la messa a sistema di tutta una serie di funzioni come la definizione degli obiettivi, programmazione di azioni attuative e risorse o la predisposizione di sistemi di premialità e di rendicontazione, fino a quel momento considerate come funzioni separate e distinte.

In quest’ottica quasi di Gestalt si instaura una gerarchia degli obiettivi tipica del New Public Management, inteso come approccio economico o quasi-privatistico alla pubblica amministrazione sotto ispirazione di principi di responsabilità, budget, controllo di gestione e valutazione del personale. All’introduzione di un linguaggio ed un impianto normativo tipico dei processi organizzativi si affianca, ed è forse la novità più dirimente della riforma, una nuova governance dei controlli interni, la CiVit e gli OIV. La Commissione per la valutazione, trasparenza e integrità delle amministrazioni pubbliche (CiVit) (3) nacque come authority finalizzata ad accompagnare delle PA definendo standard e requisiti metodologici per la valutazione delle amministrazioni, utilizzati dagli Organismi Interni di Valutazione (OIV), che si dovevano invece occupare della valutazione dei singoli dirigenti prevedendo opportune proposte di premialità economica, da delineare in dialogo con l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN). Ai premi per i dipendenti più virtuosi, da identificarsi in bonus annuali, progressioni di carriera o trattamenti accessori, si affiancava l’introduzione del “licenziamento” nel caso di assenze ingiustificate, false documentazioni o rendimenti insufficienti.

L’assenteismo nel pubblico impiego rappresenta uno degli elementi dove la riforma Brunetta ha avuto un impatto più incisivo. Con riferimento all’anno precedente l’entrata in vigore della legge n. 133/2008, infatti, è stato rilevato come nel 2007 i dipendenti pubblici avessero preso, in media, il 30% di permessi per malattia in più rispetto alle controparti private (4), media che, a parità di periodo, ammonta al 20% (5) in tutta l’Europa occidentale. Poiché prima della riforma del 2008 la copertura salariale nei periodi di malattia era totale nei primi 9 mesi di permesso, questo elevato volume di assenze corrispondeva un incremento dei costi diretti in carico alle strutture dicasteriali per il mantenimento dei trattamenti salariali ed un incremento dei costi indiretti dovuti alla minore qualità dei servizi offerti.

Il ministro Renato Brunetta

Il ministro Renato Brunetta

In questo senso la riforma Brunetta interviene disponendo la riduzione di bonus di produttività e trattamenti accessori equivalenti al 10-20% della remunerazione totale nei primi 10 giorni di assenza, che si traduce nella corresponsione del trattamento economico fondamentale, depurato da qualsiasi forma di indennità o emolumento aggiuntivi, applicando poi dall’undicesimo giorno le disposizioni previste dai CCNL per le assenze per malattia. La misura è stata quindi integrata con l’incremento della fascia oraria di reperibilità per le ispezioni mediche da 4 a 11 ore al giorno e su più pervasivi controlli sulle presenze negli uffici amministrativi anche con l’installazione di tornelli. In base a due distinti studi sull’impatto del nuovo impianto normativo sul tasso di assenteismo (6) emerge una forte riduzione delle assenze sul posto di lavoro successivamente all’entrata in vigore della riforma, con una riduzione delle assenze per malattia equivalente ad almeno il 25%.

Dall’analisi di D’Amuri (2011), invece, emerge un ulteriore dato di forte interesse: ad una progressiva riduzione delle attività ispettive e di monitoraggio delle assenze del personale corrisponde un rimbalzo del tasso di assenteismo. Secondo quanto delineato nello studio, infatti, nella prima fase applicazione della riforma a cavallo tra 2008 e 2009, con implementazione incrociata di decurtazioni salariali ed ispezioni mediche a tappeto, la riduzione delle assenze per malattia nel pubblico impiego era del -26.4%, cifra che scende drammaticamente al di sotto della soglia di significanza statistica nella seconda fase applicativa, a termine del 2009 (7), comprensiva unicamente delle decurtazioni salariali e non dei meccanismi ispettivi.

In ultimo luogo, è stato rilevato un impatto significativo sui livelli di assenteismo anche nella fase precedente l’entrata in vigore della riforma, indicando come i suoi effetti si siano manifestati ben prima dell’entrata in vigore della novella normativa (De Paola et al. 2014). L’annuncio delle misure che sarebbero entrate in vigore a partire da agosto 2008 ha infatti avuto un impatto sui livelli delle assenze anche nei mesi immediatamente precedenti, diminuendo drasticamente il numero di “malati estivi”. I dati ufficiali diffusi dal Ministero della Pubblica Amministrazione nel 2008 indicano infatti come nel periodo maggio-giugno 2008 sia stato registrato un calo del 15% delle assenze per malattia rispetto al medesimo periodo nell’anno precedente, complice anche il forte accento mediatico posto sull’entità dei controlli di natura medico-ispettiva, come confermato anche dallo studio di De Paola et al (2014).

In conclusione, ad undici anni dalla sua pubblicazione, la riforma Brunetta, sebbene abbia perso buona parte della sua spinta riformatrice, qualificandosi come “grande incompiuta”, anche a causa della turbolenta mutazione di assetto politico nel finire del 2010, costituisce in ogni caso un ground zero in termini di New Public Management all’italiana. Per quanto attiene ai livelli di assenteismo sul posto di lavoro, le evidenze (in particolare D’Amuri, 2011), indicano come l’introduzione di disincentivi e meccanismi ispettivi più rigorosi abbiano comportato una drastica riduzione del tasso di assenteismo, appianando le differenze con il regime privato, con una riduzione stimata totale del tasso di assenteismo di oltre il 40% (De Paola et al. 2014), nel caso di piena applicazione della riforma e mantenimento dell’impianto ispettivo. Nonostante l’implementazione normativa successiva al 2011 abbia tendenzialmente sterilizzato buona parte dell’impianto riformistico, resta di grande rilevanza, in termini di policy, il valore dell’incisività dei meccanismi di controllo rispetto ai disincentivi economici nella riduzione delle assenze sul posto di lavoro, che costituisce una grande eredità per qualunque prospettiva di riforma e balzo di paradigma in materia di gestione del pubblico impiego.

NOTE

1. L. Hinna, F. Monteduro (2010). Misurazione, valutazione e trasparenza delle performance nella riforma Brunetta: una chiave di lettura. In “Impresa & Stato” n. 88, Camera di Commercio di Milano.

2. Cfr. Comitato tecnico scientifico per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato (2001). I controlli interni nei ministeri, primo rapporto.

3. Oggi Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).

4. Cfr. M. De Paola, V. Pupo, V. Scoppa (2014). Absenteeism in the Italian Public Sector: The Effects of Changes in Sick Leave Policy. In Journal of Labour Economics, vol. 32, no. 2, pp. 337-360. University of Chicago Press, Chicago.

5. Cfr. F. D’Amuri (2011). Monitoring, monetary incentives and workers’ rent in determining absenteeism. Working Paper, Banca d’Italia, Roma.

6. Cfr. I sopracitati De Paola et al. (2014) e D’Amuri (2011).

7. Nota: A luglio 2009 la fascia oraria di reperibilità è stata riportata ai livelli pre-riforma.