Qual è il costo di rinnovabili e auto elettrica? La risposta dei dati IEA

scritto da il 07 Maggio 2021

L’autore del post è Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito economico ed energetico. Founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG). Autore di “La decarbonizzazione felice” 

Pochi mesi fa, su Econopoly, è un’uscita un’analisi che ha scatenato un vivace dibattito, a cui hanno partecipato numerose piattaforme tematiche ed esperti molto autorevoli, come il professor Armaroli e il professor Silvestrini. Nei mesi successivi il confronto si è arricchito di nuovi spunti, come una monografia molto approfondita del professor Brussato dal titolo eloquente “Energia verde? Prepariamoci a scavare”, e di decine di dibattiti.

L’oggetto del contendere ruota intorno a una semplice domanda: quanto è ecosostenibile la transizione ecologica?

Per quanto possa sembrare assurdo, infatti, anche le energie rinnovabili e la mobilità elettrica hanno un costo in termini ambientali. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha pubblicato il primo rapporto organico sull’argomento, confermando i timori dei più pessimisti.

Innanzitutto, per produrre pannelli solari, pale eoliche e batterie avremo bisogno di un mare di materiali in più. E li dovremo estrarre da sottoterra, proprio come i combustibili fossili. Nei prossimi vent’anni la produzione di cobalto dovrà aumentare di 21 volte, quella di grafite di 25, quella di litio addirittura di 42 volte. Parliamo di estrarre ogni anno centinaia di milioni di tonnellate di metalli in più. E ogni tonnellata di metallo si porta dietro 150, 200, 400 o addirittura migliaia di tonnellate di materiali di scarto, che molto spesso vengono contaminati con sostanze chimiche durante l’estrazione. Quindi parliamo di un aumento del prelievo di risorse naturali senza precedenti.

schermata-2021-05-06-alle-17-01-52Fonte: IEA

Questo significa che per procurarci le immense quantità di litio che ci serviranno saremo costretti a distruggere ecosistemi incontaminati come i laghi salati del Cile, per procurarci il nichel saremo costretti ad abbatteremo centinaia di chilometri quadrati di foresta vergine indonesiana e così via.

Ovviamente, sempre che il mondo ci basti. Perché a questi ritmi di sfruttamento, come aveva già sottolineato la Banca Mondiale qualche anno fa, c’è il rischio che in tutto il pianeta non ci sia abbastanza litio per soddisfare il fabbisogno dell’industria delle batterie. E lo stesso vale per un’altra decina di materiali alla base della transizione ecologica.

schermata-2021-05-06-alle-17-02-06Fonte: elaborazione grafico World Bank

Non solo. L’ONU stima che, solo negli ultimi dieci anni, il settore minerario sia stato coinvolto in almeno 40 incidenti ambientali di grave entità, quattro l’anno. Tanto per dare un’idea delle dimensioni, ciascuno di questi incidenti ha riversato in fiumi, laghi o mari una quantità di acqua contaminata compresa tra 20 e 40 volte la quantità di acqua contaminata che verrà rilasciata a Fukushima. Moltiplicare il prelievo di risorse naturali significa moltiplicare gli incidenti di questo genere che, oltre a minacciare la salute umana, hanno effetti devastanti sulla salute degli ecosistemi naturali.

“Ma c’è il riciclo!”, dirà qualcuno. Anche qui l’Agenzia Internazionale dell’Energia fa chiarezza, spazzando via falsi miti e leggende metropolitane (come quella secondo cui la metà delle batterie al litio viene riciclata). Il riciclo contribuirà per una percentuale irrisoria al fabbisogno di materiali per la transizione energetica, appena l’8%.

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Fonte: elaborazione grafico IEA

Ma non è solo sul fronte ambientale che la transizione ecologica appare contraddittoria. Anche sul fronte climatico, infatti, il rapporto IEA conferma i dubbi di chi si chiede se questo imponente flusso di investimenti “green” servirà veramente a mettere al sicuro le prossime generazioni.

Prendiamo il caso della mobilità elettrica.

Proprio negli ultimi giorni il ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, si è espresso sull’argomento, manifestando perplessità riguardo a una massiccia transizione verso la mobilità elettrica prima di aver abbattuto le emissioni del settore energetico. Una posizione, questa, che gli è valsa critiche feroci da parte dei vertici delle principali associazioni ambientaliste italiane, che l’hanno accusato di “spacciare fake news”.

Beh, il rapporto non solo conferma la posizione del ministro ma si spinge anche oltre: chiarisce che, persino in uno scenario 100% rinnovabili, l’auto elettrica non sarà mai a zero emissioni di anidride carbonica.

Non solo: includendo nei calcoli le emissioni legate alla costruzione del veicolo e della batteria, più quelle correlate alla produzione di elettricità per ricaricarla, salta fuori che per il momento un’auto elettrica emette la stessa quantità di anidride carbonica di una Citroen C3 diesel (Life Cycle Assessment).

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Fonte: elaborazione grafico IEA

E in futuro, nello scenario più favorevole possibile (80%+ di rinnovabili), un’auto elettrica emetterà quanto una Renault EOLAB, un’ibrida plug-in del 2014.

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Fonte: elaborazione grafico IEA

Oltretutto, bisogna tenere a mente che questo è il primo rapporto organico sull’impatto ambientale della transizione verde. Di conseguenza gran parte dei dati sono parziali o preliminari. Che significa? Significa, per esempio, che le stime utilizzate per misurare l’impatto ambientale del ciclo di produzione di una batteria sono calcolati sulla base dei dati di sette impianti USA, nonostante il mercato mondiale sia in mano alla Cina.

Oppure, significa che le stime sull’impatto ambientale dell’estrazione dei minerali sono calcolate sulla base degli attuali rendimenti dei giacimenti. Ma se la produzione di nichel o litio dovrà aumentare di 20 o 40 volte, chiaramente, saremo costretti a sfruttare depositi sempre meno ricchi di materia prima. E l’impatto ambientale aumenterà.

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Il rapporto, però, va oltre le considerazioni ambientali e climatiche, avventurandosi anche nella dimensione strategica.

E qui emergono aspetti inquietanti.

Mentre il settore dei combustibili fossili è diversificato, nel senso che nessun produttore controlla più del 15/20% della capacità produttiva globale, il settore delle energie rinnovabili e della mobilità elettrica è tutto in mano alla Cina.

Le conseguenze di questo monopolio sono di portata epocale e le analizzeremo in un’analisi di prossima uscita. Per il momento basti pensare che buona parte delle centinaia di miliardi mobilitati dal Green New Deal europeo finirà in tasca a colossi industriali controllati direttamente dal governo cinese, cioè da un regime autoritario con tradizioni imperialiste che mira a mettere in discussione l’egemonia democratica sul mondo. Varrebbe la pena di ragionarci, come suggerisce la IEA.

schermata-2021-05-06-alle-17-05-43Fonte: IEA

Ma la considerazione più inquietante, che in tanti faranno finta di non vedere, è di ordine umanitario.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia, infatti, stima che all’apice della transizione ecologica (2040) il giro d’affari delle materie prime verdi varrà due terzi di quello del carbone oggi, che a sua volta vale decine di volte meno del mercato petrolifero. Vogliamo aprire gli occhi sulle dimensioni di questo problema o preferiamo continuare a fare gli struzzi?

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Fonte: IEA

Se consideriamo che il mercato delle materie prime verdi, oltre a essere infinitamente più povero di quello dei fossili, sarà concentrato nelle mani di tre o quattro Paesi (industrializzati), ci rendiamo conto che la transizione ecologica rischia di trasformarsi in una catastrofe umanitaria, come abbiamo scritto più volte.

Oggi Paesi come la Nigeria, il Chad, l’Angola, l’Uganda vivono di petrolio. Il petrolio paga le scuole, gli ospedali, i tribunali. In decine di Paesi al mondo lo Stato corrisponde ai cittadini un dividendo, un reddito di cittadinanza diremmo noi, garantito dalle rendite petrolifere. E parliamo di Paesi dove, altrimenti, la popolazione morirebbe di fame, non certo del Canada. A noi questa strategia di sviluppo potrà anche fare orrore ma chi strepita per mettere al bando i combustibili fossili non sta suggerendo alcuna alternativa, la soluzione per il momento è sacrificare nigeriani e chadiani per garantire un futuro perfetto ai figli della borghesia europea e americana.

Tra l’altro, una prospettiva infantile, perché già solamente un fenomeno pacifico come l’immigrazione ci dovrebbe far rendere conto che, se il mondo brucia, vengono meno anche i nostri privilegi.

A gridare all’ONU “quanto siete malvagi” ci dovrebbe andare un’adolescente nigeriana, non Greta Thunberg. E non c’è dubbio che tra i malvagi l’adolescente nigeriana metterebbe anche Greta, visto che la giovane svedese esorta il mondo a “lasciare i combustibili fossili sottoterra” mentre il 75% della spesa pubblica della Nigeria è pagata dal petrolio.

Per concludere, diventa sempre più urgente smantellare la narrativa mitologica che si è costruita intorno alle energie rinnovabili e all’auto elettrica perché, con tutta probabilità, la soluzione alla crisi ambientale arriverà da altre tecnologie. Magari, chissà, tecnologie alimentate dai combustibili fossili o dall’energia nucleare.

Twitter @enricomariutti