Così la Ue prova a frenare lo strapotere e la dipendenza da Apple e Co.

scritto da il 10 Maggio 2021

Pubblichiamo un post di Stefano Riela, Research Fellow e Lecturer of European Integration presso la University of Auckland. Council Member presso la Italian Chamber of Commerce in New Zealand, insegna European Economic Policy presso Università Bocconi. Membro dell’Advisory Board di The Smart Institute think tank –

Recentemente anche Apple è entrata a fare parte delle grandi imprese del web entrate ufficialmente nel mirino della Commissione UE per abuso di posizione dominante. Se consideriamo i cinque giganti, dopo Microsoft, Alphabet/Google e Amazon, all’appello manca soltanto Facebook che però ha altre grane sul fronte privacy (tema che, come quello della tassazione, non è oggetto di questo articolo).

Queste decisioni, che spesso sono l’anticamera di sanzioni pecuniarie, non possono essere bollate come frutto di un’invidia europea. È indubbio che queste imprese americane siano dominanti nei rispettivi mercati anche qui in Europa. E il dominio di un mercato, benvenuto se figlio del successo commerciale, può facilmente trasformarsi in un rischio per i già pochi concorrenti e per l’utente.

I nuovi intermediari sono più difficili da battere
La rivoluzione di internet che avrebbe dovuto rafforzare il consumatore finale ha sostituito i vecchi intermediari con nuove piattaforme che fanno da matchmaker tra venditori, sviluppatori di app, media, utenti finali, spesso rendendo i confini tra queste categorie molto labili. Le caratteristiche di queste piattaforme fanno sì che, oltre una certa quota di mercato, la crescita arriva fino al monopolio in un processo noto come winner-takes-all. Più la piattaforma è grande,

1) minore è il costo medio inferiore grazie alle economie di scala dovute ai costi fissi,

2) maggiore l’attrattività grazie al numero di utenti (meglio essere utente di una piattaforma che offre la probabilità di trovare il numero più elevato di amici, informazioni, prodotti da acquistare e acquirenti),

3) maggiore la mole di dati per migliorare e personalizzare il servizio reso agli utenti.
L’impresa dominante, o addirittura in posizione di monopolio, non è necessariamente un problema; anzi, come indicato sopra, ci sono chiari motivi che dimostrano che più la piattaforma è estesa, più l’utente ne trae un vantaggio.

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Il problema per l’utente nasce nel momento in cui si voglia uscire da quella piattaforma perché scontenti del servizio reso, non trovando alternative. Si pensi, ad esempio, al caso in cui l’impresa dominante decidesse di aumentare i prezzi del servizio per compensare le perdite di un’espansione nel mercato con offerte predatorie, oppure di discriminare ai danni di concorrenti in mercati limitrofi.

Per quanto riguarda quest’ultimo esempio basta citare i seguenti casi UE: Microsoft, dominante nel sistema operativo con Windows che vuole espandere la sua posizione nei mercato dei browser; Google, dominante nella ricerca su internet che vuole espandere la sua posizione nella piattaforme di comparazione con il suo Google Shopping; Amazon, dominante con il suo marketplace ma anche in concorrenza, come venditore, con i suoi clienti dai quali ottiene informazioni commerciali preziose.

Solitamente, il timore dei concorrenti potenziali, pronti ad entrare nel mercato accogliendo gli utenti scontenti, dovrebbe disincentivare le imprese dominanti ad adottare comportamenti anticoncorrenziali. Ma sembra che questa volta le imprese incumbent abbiano affinato il sistema di raccolta e trattamento dati elevandolo ad invalicabile barriera all’entrata.

L’intervento per preservare la concorrenza
Se non è la concorrenza potenziale a sanzionare l’impresa dominante, allora devono intervenire le autorità della concorrenza. Tuttavia, perseguire un abuso non è una soluzione ottimale. Innanzitutto la sanzione arriva dopo che l’abuso si è perpetrato (e richiedere la compensazione del danno subito può non essere semplice e immediato) e comunque le autorità, nonostante i loro poteri di indagine, soffrono di un’asimmetria informativa soprattutto in questo settore in cui spesso sono le imprese stesse a creare i loro mercati rilevanti modificandone perimetri e regole del gioco.

Una soluzione più efficace può essere intervenire non sui comportamenti delle imprese ma piuttosto sulla struttura del mercato bloccando fusioni e acquisizioni (oppure approvandole ma con rimedi strutturali quali i disinvestimenti) e smembrando le imprese dominanti. La Commissione non ha ancora vietato fusioni in questi settori o imposto separazioni societarie (considerato un rimedio di ultima istanza in un’economia di mercato seppur sociale); ma ha invece richiesto rimedi non strutturali come nel caso dell’acquisizione di LinkedIn da parte di Microsoft, di Fitbit da parte di Google e di WhatsApp da parte di Facebook.

A completamento dell’intervento ex-post basato sulla concorrenza, la Commissione UE ha recentemente proposto una regolazione ex-ante chiamata Digital Market Act. L’obiettivo è quello di rendere questi mercati fortemente concentrati più contendibili, facilitando l’ingresso di altre imprese. Questo è possibile promuovendo, tra gli altri, la portabilità dei dati (soluzione già adottata nel campo della privacy) e l’interoperabilità delle piattaforme. Anche la regolazione ex-ante non sarebbe sufficiente da sola, in quanto risente di una fisiologica incompletezza (non è possibile dettagliare tutti i comportamenti vietati/permessi) e di una potenziale rapida obsolescenza, soprattutto in questo settore.

Attenzione a chi sogna di creare ‘artificialmente’ campioni europei
In tempi di ingenti investimenti pubblici per risollevare le economie colpite dalla pandemia, all’accoppiata concorrenza-regolazione rischia di aggiungersi un’altra politica, quella industriale. Recentemente i leader di Germania, Danimarca, Finlandia ed Estonia hanno chiesto alla Commissione UE di prendere misure urgenti per rafforzare i settori digitali in quanto l’UE è diventata pericolosamente dipendente dalla tecnologia straniera: “Ora è il momento per l’Europa di essere digitalmente sovrana”.

La politica industriale è come giocare alla roulette con i soldi dei cittadini; ma soltanto in pochi casi fortunati i governi ottengono risultati apprezzabili (si pensi a Samsung e ad Airbus). Tuttavia, per quanto riguarda il settore digitale, ricordiamo Quaero, un progetto franco-tedesco per un motore di ricerca, quello che sarebbe dovuto diventare il concorrente europeo di Google, Yahoo! e Bing. Annunciato da Jacques Chirac e Gerhard Schröder nel 2005, Quaero è stato chiuso 8 anni dopo essere stato inondato di soldi dei contribuenti (tra gli altri, un aiuto di Stato francese del valore di 99 milioni di euro approvato dalla Commissione UE).