Smart working, il Covid ha accelerato tutto di un decennio. E adesso?

scritto da il 10 Maggio 2021

L’attuale lavoro da casa (o, per alcuni, in località di vacanza trasformate in luoghi di lavoro) è un fenomeno che ha offerto grandi vantaggi alle aziende: risparmi sugli uffici (ridotti come dimensioni), maggior produttività, minori costi di personale (permessi, malattie etc..). Ora si deve capire come si potrebbe evolvere lo smart working. Ne ho parlato con 3 persone che operano nel settore della gestione del personale, dei manager e delle tecnologie digitali (necessarie per lo smart working).

Paola Boromei è Executive Vice President HR, Organization & PFM di Snam, una delle maggiori aziende di infrastrutture energetiche al mondo. Nella sua attività giornaliera gestisce le risorse umane e l’organizzazione per il gruppo, che conta oltre 3000 dipendenti.

Giovanni Casto è CEO di Softlab Group, realtà formata da Softlab Spa, quotata sul segmento MTA di Borsa Italiana, Softlab Tech, Softlab Industrial, Digi International Spa, Dgo Spa.  Tra i principali player italiani nel settore di Business Advisory, ICT Consulting, Information & Cyber Security, Technology Service & Solution, BPO & Open Innovation. Il Gruppo ha supportato numerose realtà, in questo difficile periodo, sul tema integrazione e digitalizzazione.

Bruno Villani, è presidente di ALDAI-Federmanager l’Associazione Lombarda Dirigenti Aziende Industriali, una delle più grandi organizzazioni di manager nel settore manufatturiero e punto di riferimento per la realtà manageriale del territorio.

Lo smart working oggi

Oggi, dopo un anno di smart working ogni azienda ha avuto modo di farsi un’idea chiara di questa modalità lavorativa. Facciamo il punto.

 “Il nuovo modo di lavorare che si è affermato durante l’emergenza sanitaria, con relazioni nella maggior parte dei casi  filtrate dalla distanza e dalla tecnologia, ha imposto di ripensare modalità di ingaggio e stili di leadership.” Mi spiega Boromei. “La maggior trasformazione culturale si può riassumere in una people-centricity che sposta l’attenzione sulla persona in quanto individuo piuttosto che dipendente, molto più responsabilizzata che in passato rispetto agli obiettivi del gruppo. Il lavoro da remoto ha richiesto a tutti maggiore imprenditorialità, autonomia e anche fiducia. Dal punto di vista manageriale, è diventata centrale da un lato la capacità di delegare e dall’altro quella di gestire i team a distanza mantenendo alto l’engagement e il coinvolgimento delle persone. Questa rivoluzione ha anche portato le aziende a ridisegnare i modelli in base a nuove esigenze di flessibilità e disconnessione, per garantire il bilanciamento vita/lavoro.”

Sul tema arriva con una visione “digitale” anche Casto. “Il fenomeno della digitalizzazione era già presente nel mondo del lavoro. Ovviamente l’epidemia da Covid-19 ha accelerato tutto il processo, mediamente, di almeno 10 anni.” Conferma Casto. “Come realtà aziendale e attori protagonisti del cambiamento abbiamo assistito a una crescente richiesta, da parte sia di clienti nuovi che di quelli consolidati, di soluzioni capaci di integrare la modalità lavorativa in smart working con i processi di gestione aziendale della forza lavoro. Se i primi mesi sono stati segnati da un evento emergenziale, costringendo molte aziende a correre velocemente ai ripari ricercando gli strumenti più idonei (dispositivi portatili, licenze software e anti-virus, connessioni VPN, e così via), dopo un anno molte realtà hanno avviato una fase di gestione più strutturata del day-by-day. Ci si sta adoperando molto per permettere ai dipendenti che lavorano da remoto di sentirsi parte attiva e integrata dell’azienda, senza provare un senso di isolamento. Spesso i membri dei team che operano per i clienti o su progetti specifici lavorano da località lontane, anche in Regioni o Paesi differenti. Questa circostanza può arricchire la persona ma allo stesso tempo rischia di estraniarla dal flusso di informazioni e soprattutto allontanarla dalla dimensione umana che, di norma, avrebbe vissuto in azienda. In tal senso ritengo che le grandi aziende e le PMI di filiera dovranno fare un grande sforzo per rendere impercettibile lo smart working e strutturare un percorso di lavoro nel quale l’esperienza del dipendente non cambi a seconda del luogo di lavoro, che sia da casa sua, al parco, in ufficio o in uno spazio di coworking”.

La trasformazione digitale è un fenomeno che egualmente interessa dipendenti e manager. I manager, in più, sono chiamati non solo a subirla ma ad interagire con essa per il benessere dei dipendenti che coordinano.

“Se il mondo del lavoro, causa crisi pandemica, è cambiato, non ci sono dubbi che, anche a seguito della digital trasformation, la rivoluzione sia solo all’inizio.” Chiarisce Villani. “Prima al centro c’erano lo spazio e il tempo, ora non identificheremo più il lavoro con l’ufficio. I punti cardine sono, tra gli altri, le soft skills, su tutte resilienza e flessibilità. Il tutto dovrebbe quindi allinearsi a un trattamento economico basato su obiettivi e risultati e non più su una cultura basata sulla presenza fisica-controllo. Lo smart working è una strada ormai avviata, la figura del capo azienda autoritario e controllore, è desueta, rischia di essere anche controproducente. Oggi i manager devono essere più leader e meno capo. La giusta soluzione è una equilibrata sintesi tra presenza e lavoro agile. È necessario valutare l’impatto dello smart working su alcuni aspetti cruciali legati al lavoro in presenza, tra cui il fare squadra, una sana competitività interna e la componente umana, relazionale, che rappresenta un valore aggiunto.”

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Il futuro dello smart working

È plausibile che, quanto meno nel mondo occidentale (area OCSE), l’emergenza sanitaria sarà risolta o contenuta nel 2021-22. Seguendo il leit motiv che “una crisi è un’opportunità” è bene comprendere quali aspetti del fenomeno digitale devono essere valorizzati a beneficio delle aziende e dei dipendenti che in essi interagiscono.

Ci torna su Boromei che mi spiega “ Ciò che dobbiamo evitare è ignorare il potenziale generativo di questa fase tornando semplicemente al business as usual. Nella nostra esperienza abbiamo imparato che il digitale può aiutarci non solo a rendere le nostre infrastrutture più efficienti e intelligenti, ma anche a gestire meglio le emergenze e alcuni processi. Due esempi: solo nei primi mesi di pandemia in Snam sono state effettuate più di 165mila riunioni virtuali per un totale di oltre 650mila ore di call audio/video; abbiamo assunto più di 70 persone senza mai incontrarle fisicamente. Con oltre due terzi della popolazione aziendale in smart working, abbiamo iniziato a familiarizzare con quello che sarà il luogo di lavoro “ibrido” del futuro, che si collocherà tra il remoto e il fisico e dovrà essere ugualmente in grado di creare connessioni e garantire la comunicazione tra le persone. Con ricadute positive anche in ottica di sostenibilità: pensiamo alla razionalizzazione degli spostamenti e dell’utilizzo di carta”, conclude Boromei.

Sul tema Ibrido ci arriva anche Casto. “Quella che abbiamo davanti è un’opportunità epocale. Pur riconoscendo il valore degli uffici come luogo di aggregazione ci stiamo muovendo, o dovremmo muoverci, per il riconoscimento del valore dell’individuo fine a sé stesso, senza le costrizioni di un’identificazione fisica temporale. In questo senso esiste la concreta possibilità di dare al lavoratore la libertà di gestire il proprio tempo nel modo che egli reputa più valido, rinforzando il focus sugli obiettivi e riducendo la pressione sulle ore lavorative standard 9-17. A questa esigenza rispondono diversi software di produttività che possono guidare il dipendente nell’attività giornaliera, supportandolo con vari strumenti: dai semplici “reminder” che lo inquadrano sul tema a vere e proprie soluzioni di estensioni dell’attività lavorativa che gli permettono di poter vivere in modo integrato l’esperienza di lavoro, senza sentirsi alienato bensì valorizzando le sue necessità personali. Penso, ad esempio, al bisogno di trascorrere del tempo con i propri figli, alla cura dei genitori, a coloro che hanno l’abitudine ad essere più produttivi la mattina o la sera. Tutte queste peculiarità, che fanno grande una azienda, con la leva digitale possono essere ulteriormente valorizzate lasciando, al contempo, il dipendente libero di scegliere dove lavorare, se a casa, in ufficio o in un luogo diverso” conclude Casto.

I manager sono coloro che per primi dovranno dare il buon esempio ai loro coordinati. È a loro che si guarda per integrare, il modo efficiente ma senza shock, il mondo digitale e lo smart working nelle aziende.

“Lo smart working è un’opportunità di crescita e cambiamento gestionale e culturale di cui i manager sono portatori e attuatori: senza manager e senza una nuova cultura d’impresa basata sulla managerialità è difficile far crescere l’economia e traghettare le imprese fuori da questo momento complesso e delicato; pur comprendendone la complessità per le PMI.” Conferma Villani.

“Il digitale ha portato soprattutto innovazione e questo permette a manager e ai collaboratori, i cui ruoli in azienda non necessitano di presenza continua, di gestire tempo e presenza in modo più flessibile, favorendo anche il work life balance.

Serve investire nelle persone, ragionare sulle competenze ma anche sull’innovazione, che se da un lato porta con sé occupazione, dall’altro necessita anche di formazione continua di up-skilling e re-skilling.

Lo smart working richiede venga rimesso al centro di tutto il capitale umano, capacità di ascolto e di confronto, capacità relazionali e di comunicazione e la messa in opera di un reale processo di delega. Solo così il lavoro potrà essere un modello win win ed essere davvero meritocratico e vincente”, conclude Villani.

Ogni crisi, bene o male, è sempre stata portatrice o elemento di stimolo di novità. Il Covid non sarà da meno. Il mondo del lavoro ha la grande opportunità di poter far tesoro di questa tragedia ed implementare un modo di operare che sia più flessibile e venga incontro alle esigenze di dipendenti e aziende, con soluzioni più adatte alle necessità delle persone.

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