Come fare digerire il tributo? Definendolo sacro e incontestabile

scritto da il 08 Ottobre 2021

Se, di colpo, affermassimo che le imposte, le tasse e, più in generale, i tributi che paghiamo hanno un’origine da rintracciare nettamente nella rivoluzione agricola che avvenne durante il Neolitico, qualcuno potrebbe storcere il naso in segno di disapprovazione. In effetti, il dubbio è legittimo, considerando che il periodo di cui stiamo parlando è il V millennio a.C., quando Sumeri ed Egizi, gli uni fra il Tigri e l’Eufrate, gli altri presso il Nilo, si misurarono, per la prima volta nella storia dei popoli, con l’agricoltura irrigua. Tigri ed Eufrate, in primavera, s’ingrossavano e, se i tempi delle rispettive piene coincidevano,  l’inondazione faceva marcire le spighe ancora verdi. In estate e in autunno, invece, non c’erano inondazioni e per la semina il terreno era indurito dalle alte temperature: anche 50° all’ombra.

Nella valle del Nilo, diversamente, le inondazioni estive del fiume, dopo il tempo del raccolto, lasciavano nei campi il limo, un fango molto fertile e che concimava. Tuttavia, poteva capitare che l’inondazione non ci fosse, cosicché i campi restavano aridi e privi di concime, causando carestie disastrose. Ciò che accomunò Sumeri ed Egizi furono, indubbiamente, l’alacrità e il genio ingegneristico: dovendo domare la natura dei fiumi, divennero presto costruttori di opere idrauliche: dighe, canali, bacini et cetera, che si trasformarono, com’è noto, in patrimonio dell’umanità.

Nella prima fase della cosiddetta agricoltura irrigua, la struttura etnico-sociale era suddivisa in villaggi e ogni villaggio agiva in piena autonomia. Ci si rese conto molto presto che sarebbe stato necessario unire le forze contro lo strapotere della natura, cosicché le decisioni relative alle opere di costruzione presso i fiumi passarono dal consiglio degli anziani di ogni singolo villaggio a una sorta di consiglio d’un villaggio-guida. Questo consiglio superiore, a propria volta, designò delle figure di specialisti o funzionari il cui compito consisteva nel fare sopralluoghi presso i fiumi, calcolare l’altezza degli argini, l’ampiezza dei bacini, la pendenza dei canali, prevedere quanti uomini inviare nei cantieri et similia. È comprensibilissimo che tale specializzazione dei ruoli, che possiamo considerare come una primitiva, quantunque significativa, divisione del lavoro, comportasse delle spese. Ebbene? Per far fronte alle spese di mantenimento della ‘cosa pubblica’ si stabilì che tutti i villaggi avrebbero dovuto depositare le proprie eccedenze di produzione nel magazzino del villaggio-guida. Insomma, versavano un vero e proprio ‘tributo’. Non fa una piega, per così dire.

Alla divisione del lavoro seguì, tuttavia, un’altra divisione, quella di classe: i tecnici o specialisti furono separati dai produttori di cibo. In qualche modo, anche rilevando la necessità della trasformazione, non possiamo tacere che si trattò d’una prima forma di diseguaglianza sociale perché un’élite di privilegiati, che non proponeva, ordinava ad altri di lavorare. Come giustificare l’imprevisto squilibrio? Fu necessario creare un’ideologia che facesse leva sulla profonda religiosità degli agricoltori neolitici. A tal fine, gli specialisti innalzarono alla divinità più antica e prestigiosa un tempio sulla terrazza più alta del magazzino e incaricarono nuovi specialisti, i sacerdoti, di custodire la statua del dio e i beni a lui offerti. Il messaggio che veniva dato al popolo era press’a poco il seguente: i tributi non sono offerti dalla comunità agli esseri umani, ma al dio. Dunque: il tributo è sacro e incontestabile.

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Se è vero che la prima tassazione della storia ci fa risalire così indietro nel tempo, è altrettanto vero che per l’uso specifico del termine tributo occorre attendere la civiltà romana. Il principio, di fatto, è sempre il medesimo: l’organizzazione sociale e lavorativa si traduce nella creazione di ruoli e servizi e ruoli e servizi sono un costo per la comunità. Leggendo la definizione che Battaglia dà a proposito di tributo nel GDLI, non possiamo fare a meno di notare che l’esercizio dell’autorità costituisce, verosimilmente, l’anello principale della catena logico-dialettica del ricorso alle tasse: “Qualsiasi  tipo  di  prestazione  economica,  in  natura  o,  più  spesso,  in  denaro, eseguita  a  favore  del  titolare  del  potere  politico (…)”. In assenza di un titolare del potere politico, non è, pertanto, concepibile neppure l’imposizione. Le scelte di Augusto, in materia di politica tributaria, daranno ampiezza a queste interpretazioni.

Il sostantivo tributo è prettamente latino: tributum; ed è un’evidente participio sostantivato del verbo trĭbŭĕre, che significa accordare, concedere, tributare, imputare, ripartire e, a propria volta, è denominale di trĭbŭs, tribù. L’etimo di trĭbŭs, tuttavia, resta incerto: il termine, anche secondo gli antichi, proverrebbe da tri-, tre, seguito dalla radice *bhu, che ritroviamo anche nel greco φυ- (phy-) di φυλή (phylè, tribù). Esso, dunque, starebbe a indicare l’originaria tripartizione del popolo romano in tre tribù, ripartizione che, d’altronde, risulta per tradizione anche presso altre popolazioni (per esempio, Erodoto ci ricorda che i Dori erano divisi in tre tribù, gli Illei, i Dimani e i Panfili). A ogni modo, sappiamo che pure Roma ebbe una tripartizione originaria della proprio popolazione in tre tribù: i Ramnes, i Tities e i Luceres (DIONIGI DI ALICARNASSO, Antichità romane, II, 7, 2; TITO LIVIO, Storia di Roma, I, 13), nelle quali si dovrebbero riconoscere le tre componenti etniche che diedero vita al popolo romano: i Latini, i Sabini, gli Etruschi (o gli autoctoni).

Benveniste (1969), nel Dizionario delle istituzioni indoeuropee, spiega, però, che, per quanto sia possibile che tribus contenga l’elemento tri-, con riferimento al fatto che le prime società risultano spesso suddivise in tre tribù, non ci sono testimonianze storiche che possano dimostrare questo primitivo significato del nome. Tra l’altro, i derivati di tribus, come tribunus, tribunal e tribuo, non conservano, in termini di significato, alcuna traccia di rapporti col numero tre.

Per quanto riguarda la testimonianza letteraria, questa volta, ci affidiamo a La guerra civile di Cesare. Molto di rado, ci allontaniamo da Cicerone, i cui lavori costituiscono un fondamento linguistico della lingua latina e dell’Europa romanza che ne ha ereditato forme e occorrenze, ma è opportuno non trascurare il resto.

Interim acerbissime imperatae pecuniae tota provincia exigebantur (…) In capita singula et servorum ac liberorum tributum imponebatur (…) [Intanto in tutta la provincia si riscuotevano con grande rigore le somme imposte (…) Si imponeva un tributo individuale per ogni schiavo e uomo libero (CESARE, La guerra civile, L. I, XXXII, a cura di M. Bruno, 1994, Fabbri, Milano, pp. 276-277)]

Nella sfera semantica (stesso ambito di riferimento) di tributo, troviamo due sostantivi che stanno alla base della generale opera di riordinamento dello Stato a cui provvide Augusto e alla quale abbiamo fatto cenno in precedenza: fisco ed erario. L’imperatore (27 a.C. – 14 d.C.) pretese la distinzione tra due casse di destinazione dei tributi: una pubblica, già esistente, detta aerārĭum, e l’altra, personale, nuova, detta fiscus. L’erario era amministrato dal senato e riceveva le rendite provenienti dalle province senatorie (province pacifiche e perciò amministrate direttamente da senatori); tali rendite servivano all’amministrazione civile. Il fisco era amministrato dall’imperatore e riceveva le rendite provenienti dalle province imperiali (province a rischio di attacchi o non pacificate, governate dall’imperatore attraverso funzionari imperiali stipendiati) e servivano al mantenimento di esercito e flotta.

In particolare, fiscus è, sì, cassa e amministrazione dello stato, ma, in origine, è soprattutto cesto di vimini, sporta che, a Roma, gli esattori recavano con sé proprio per la raccolta dei tributi. È bene ricordare pure che l’uso di fiscus, nelle attestazioni latine, non è di esclusiva pertinenza economica, giacché al cestello (paniere, canestro) si ricorreva parecchio in agricoltura; la qual cosa ci riporta all’archetipo dei tributi, a quel fenomeno evolutivo, religioso e sociale che vide protagonisti Sumeri ed Egizi.

Se, infatti, abbiamo delle chiare occorrenze di cassa privata dell’imperatore proprio dall’età imperiale in poi, non possiamo trascurare l’uso che ne fa, per esempio, Columella con riferimento all’olio.

 Caesar omnia habet, fiscus eius priuata tantum ac sua: et uniuersa in imperio eius sunt, in patrimonio propria [Cesare possiede tutto, ma il suo patrimonio comprende solo i suoi beni privati e personali: e i beni complessivi sono nel suo potere supremo, i suoi beni privati nel suo patrimonio personale (SENECA, Libri de beneficiis et de clementia, L. VII, VI, 3, trad. nostra, a cura di M. C. Gertz, 1876, Berolini apud Weidmannos, p. 141)]

 

Fiscis autem non isdem probum et cibarium oleum premi oportebit [Però non si devono adoperare gli stessi canestri per l’olio buono e per quello ordinario (COLUMELLA, L’arte dell’agricoltura, L. XII, 52, 22, a cura di R. Calzecchi Onesti e C. Carena, 1977, Einaudi, Torino, pp. 954-955)

Aerārĭum, da cui si ha il nostro erario, secondo la parlata comune, potrebbe essere considerato un vero e proprio sinonimo. Potrebbe, è vero, ma non lo è del tutto. Di certo, oggi, corrisponde alle casse o alle finanze dello stato; il che rappresenta una chiara indicazione di significato, ma non dobbiamo dimenticare che aerārĭum deriva da aes, denaro o, propriamente, bronzo, come fanno notare Nocentini e Parenti (2010). Di conseguenza, si riscontra una sostanziale differenza di pragmatica del linguaggio, tant’è che alcuni autori (CICERONE, La legge agraria, II, 27, 72) richiamano la nostra attenzione anche su un altro aspetto semantico, ovverosia su erario come luogo fisico in cui si depositava il tesoro dello stato.

At Romae principio anni, quasi recens cognitis Liuiae flagitiis ac non pridem etiam punitis, atroces sententiae dicebantur in effigies quoque ac memoriam eius et bona Seiani ablata aerario ut in fiscum cogerentur, tam‹quam› referret [Intanto in Roma, al principio dell’anno, quasi che le scelleratezze di Livia fossero appena allora scoperte e non fossero già state punite, si ebbero fiere proposte per incrudelire contro le statue stesse e la memoria di lei.  Si avanzarono anche suggerimenti perché il patrimonio di Seiano, sottratto all’erario, fosse concentrato nella cassa dell’imperatore, come se la cosa avesse molta importanza (TACITO, Annali, L. VI, II, 1, a cura di B. Ceva, vol. 2, 1994, Fabbri, Milano, pp. 372-373)]

Nel tentare di offrire una qualche riflessione finale, non possiamo fare a meno di constatare, come abbiamo provato a dire più volte, che le parole e il loro uso appartengono principalmente alla storia o, in altri termini, le parole sono il senso stesso della storia, giacché assommano in sé, cioè nel proprio processo di significazione, gli eventi essenziali che hanno caratterizzato la vita dei popoli. Nel caso in specie, certe parole ‘raccontano’, quasi da sé, quasi senza l’intervento del narratore, una vicenda economico-creativa e sociale.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

BATTAGLIA, S., 1961-2002, GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italiana), 21 voll., UTET, Torino

BENVENISTE, E., 1969, Le vocabulaire des institutions indo-européens, 2 voll., a cura di M. Liborio, 1976, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Einaudi, Torino, pp. 197-198

DEVOTO, 1968, Dizionario etimologico. Avviamento alla etimologia italiana, Le Monnier, Firenze

CORTELAZZO, M., ZOLLI, P., 1999, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna

DE MAURO, T., 1999-2000, Grande dizionario italiano dell’uso, 6 voll., UTET, Torino

DE VAAN, M., 2008, Etymological Dictionary of Latin and the other Italian Languages, in Indoeuropean etymological Dictionary series, vol. 7, (a cura di A. Lubotsky), Brill, Leiden

ERNOUT, A., MEILLET, A., 2001, Dictionaire etymologique de la langue latine, Klincksieck, Paris

ERODOTO, Storie, a cura di A. Izzo D’Accinni e D. Fusti, 6 voll., 2001, Fabbri, Milano

Le antichità romane di Dionigi d’Alicarnasso volgarizzate dall’ar. M. Mastrofini, 1823, 3 voll., Sonzogno, Milano

NOCENTINI, A., PARENTI, A., 2010, L’etimologico, Le Monnier, Firenze-Milano

POKORNY, J., 2007, Proto-Indo-European Etymological Dictionary, Indo-European Language Revival Association, Badajoz

TITO LIVIO, Storia di Roma, a cura di M. Scandola e C. Moreschini, 12 voll., 2001, Fabbri, Milano

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