Banche e fintech, l’economia delle piattaforme è uno tsunami

scritto da il 12 Novembre 2021

Post di Paolo Sironi, Global Research Leader Banking and Finance –

Oggi è chiaro: le piattaforme digitali si stanno “mangiando il mondo”, trasformando le esperienze di consumo di bene e servizi, e le modalità di socializzazione. Hai preso un Uber per andare al lavoro? L’hai prenotato su una piattaforma digitale. Durante una pausa caffè, hai letto su LinkedIn del mio ultimo libro? L’hai trovato su una piattaforma di social media. Ti è stato consegnato a casa da Amazon Prime in meno di 24 ore? L’hai ordinato su una piattaforma di e-commerce.

L’avvento della “platform economy” è uno tsunami per la tradizionale cultura d’impresa. La performance non si basa più su relazioni lineari tra produttori, distributori e consumatori, con logiche di produzione incrementale dei costi e del valore. Nascono, invece, nuove leve economiche che corrispondono alla capacità di coinvolgere continuamente gli utenti attraverso modelli di business basati sulle tecnologie esponenziali. Le piattaforme digitali riescono a trasformare interi settori industriali soprattutto perché favoriscono il passaggio da un’economia incentrata sugli “output” (prodotti) a un’economia incentrata sugli “outcome” (risultati). Nelle economie delle piattaforme gli “asset” (i prodotti) non spariscono ma diventano periferici dal punto di vista della generazione del valore. Esse si focalizzano sulla contestualizzazione delle esperienze utente in ottica di raggiungimento degli obiettivi di consumo in modo “frictionless” (privo di attriti), a prezzi convenienti.

Nelle tradizionali economie degli “output” il valore aggiunto viene accumulato in ogni fase del processo produttivo e distributivo in modo incrementale, corrispondente a un aumento dei costi finali sostenuti dal consumatore. La catena lineare del valore viene ottimizzata sulla base di analisi in cui l’obiettivo aziendale è costituito da cifre o quantità di vendita discrete. Ad esempio, la sfida principale di BMW consiste nel “vendere 10 milioni di veicoli nel 2022”. Anche le banche tradizionali operano nelle economie degli “output”. Ad esempio, la sfida principale consiste nel “vendere 100 milioni di euro di assets under management (AUM)” di un dato fondo di investimento o di una polizza vita.

Nelle nuove economie degli “outcome”, invece, le decisioni imprenditoriali si concentrano su una comprensione più profonda delle esigenze degli utenti per individuare modi alternativi e personalizzati di ottenere i risultati desiderati. Ad esempio, la missione strategica di ShareNow è quella di consentire a un certo numero di berlinesi di spostarsi da un punto all’altro della città. La sfida principale si sposta dal tracciare le unità di produzione delle auto al consentire il viaggio al maggior numero di persone. Le auto non vengono prodotte per essere vendute ma per essere usate. La catena industriale del valore si disintegra e l’interazione di tutti gli attori nei confronti degli utenti finali viene riorganizzata per concentrarsi sui benefici percepiti lungo i loro viaggi.

L’affermarsi dell’economia degli “outcome” ha un impatto anche sulla competitività di banche e assicurazioni, indebolendo ulteriormente meccanismi consolidati di generazione dei profitti che sono legati al margine di interesse e alle commissioni di intermediazione con la clientela. Questa architettura aziendale non è più in grado di resistere alla prova del tempo. Il margine sui tassi e le commissioni sulle transazioni stanno evaporando e la catena del valore tradizionale, basata sull’intermediazione di prodotti finanziari, sta perdendo di efficacia. Pertanto, comprendere i meccanismi della “outcome economy”, e imparare a lavorare con il digitale in modo trasparente, è l’unico modo per trovare una via di uscita nella creazione di valore per tutto l’ecosistema, sia per gli azionisti che per i clienti.

Lo stesso Mario Draghi, nell’ultimo incontro con la stampa prima di lasciare la Banca Centrale Europea, sottolineò con impellenza che le banche devono aggiustare il proprio modello di business di fronte della digitalizzazione dei servizi finanziari, soprattutto in un’Europa a tassi negativi. E l’accento è sul cambiamento del modello di business.

Cosa vuol dire per i servizi finanziari cambiare il modello di business nei termini dell’economie delle piattaforme? L’obiettivo della piattaforma finanziaria non è più legato alla distribuzione dei prodotti, ma diventa quello aiutare i clienti a raggiungere gli obiettivi personalizzati. La tensione verso il risultato è ciò che conta e stabilisce lo schema di remunerazione, mentre i singoli prodotti diventano componenti sempre più standardizzate (ad esempio depositi, obbligazioni, o polizze assicurative) del meccanismo di consulenza trasparente. Man mano che l’esperienza complessiva del cliente cambia, la monetizzazione finale si sposta dai prodotti al cliente, ovvero alle esperienze e alle relazioni olistiche su piattaforme di pianificazione e consulenza.

Reinventare un settore dagli “output” agli “outcome” è certamente complesso e richiede l’adozione di strategie di innovazione non convenzionali. Anche se gli operatori tradizionali sono rimasti indietro nel passaggio al digitale, le start-up Fintech non hanno ancora conquistato il mercato pur avendolo messo sotto scacco. Tuttavia, più passa il tempo più il divario si accorcia come mostrato dall’accelerazione nell’adozione dei servizi digitali durante la pandemia. Il punto di svolta per il Fintech sta nel passaggio dalla remunerazione sugli “output” a quella sugli “outcome” che solo le piattaforme possono consentire. Questa sembra essere la direzione degli operatori dei pagamenti digitali, che stanno accelerando la trasformazione verso il modello di “superapp”, ovvero piattaforme di aggregazione della vita finanziaria degli utenti.

Questa evoluzione è necessaria per risolvere il vero ostacolo al successo completo del digitale, ovvero la soluzione del gap motivazionale “pull-push” (domanda-offerta) dei clienti, che crea specifiche vischiosità nei comportamenti di consumo finanziario. Il digitale è una tecnologia “pull” (cioè una tecnologia che opera dal lato della domanda, efficace per persone che sono in grado di auto-indirizzarsi al consumo). Invece, molti servizi finanziari operano in mercati “push” attraverso le relazioni umane a causa delle asimmetrie informative ovvero alla difficoltà di comprendere il tema del rischio e del rendimento, o meglio dell’incertezza.

schermata-2021-11-12-alle-09-58-56

Per esempio, l’assicurazione è un’industria guidata in gran parte dall’offerta: le polizze auto, pur essendo obbligatorie e standardizzate, sono ancora e spesso acquistate fuori dai canali digitali. I clienti mostrano pregiudizi cognitivi quando si tratta dell’uso del denaro ai fini di investimento o assicurativo, e non si comportano allo stesso modo come nel mondo dell’e-commerce, dove hanno più mezzi per valutare il valore delle proprie scelte. Il gap motivazionale “pull-push” è più stretto nel campo dei prodotti simmetrici dal punto di vista della comprensione (i pagamenti e i prestiti), dove il successo del Fintech è stato più evidente, e si allarga invece nella distribuzione di prodotti asimmetrici (i prodotti di investimento e assicurativi). Questi sono venduti più che acquistati. In sostanza, mentre le banche e le compagnie assicurative pensano di vendere prodotti finanziari, i clienti acquistano “inconsciamente” relazioni fiduciarie al fine di prendere decisioni finanziarie altrimenti complesse. Per questo la fiducia nella relazione deve sempre essere al centro di qualsiasi attività bancaria tradizionale, o qualsiasi alternativa digitale, come continuamente ricordato dalla CONSOB nei molteplici studi sulle propensioni di investimento delle famiglie italiane.

Pertanto, la domanda chiave nell’economia delle piattaforme è come adottare la tecnologia digitale, che è guidata dalla domanda, per trasformare il settore finanziario, che è fortemente guidato dall’offerta. Per avere successo, è necessario fare leva trasparente sulle tecnologie esponenziali, di cui l’intelligenza artificiale, al fine aiutare i clienti a prendere le proprie decisioni in modo più consapevole. È questo che porta all’emersione di strumenti di pianificazione digitale focalizzati sulla continua “verifica dei risultati (obiettivi)” e sulla “consulenza trasparente” che sappiano integrare, in alcuni casi sostituire, le interazioni umane. Nell’auspicabile assenza di distorsioni FOMO (la cosiddetta “Fear of Missing Out”, come nel caso del trading sul Bitcoin e dei “meme stock”), solo i clienti veramente consapevoli sono a loro agio nello scegliere (“pull”) le offerte finanziarie direttamente dagli scaffali digitali. Essi non sono la maggioranza.

Questo è il motivo per cui la crescita dei primi robo-advisor è stata inizialmente promettente ma poi ha vacillato in quanto essi non hanno affrontato a sufficienza, attraverso il loro business design, gli aspetti motivazionali per coinvolgere i normali utenti oltre a quelli che erano già abituati a investire nell’ambito dell’economia degli “output”. Da qui la creazione di piattaforme di consulenza e pianificazione finanziaria soprattutto ibrida, ovvero rivolta a clienti finali o ad operatori umani spesso indipendenti arricchiti dagli strumenti digitali, dedicate al mondo delle relazioni trasparente con la clientela. Il valore, che il cliente è disponibile a pagare trasparentemente, risiede nella riduzione del gap motivazionale “pull-push” attraverso l’aumento della “coscienza finanziaria” (nel senso scientificamente neurobiologico), ovvero della capacità di comprendere il tema dell’incertezza per prendere scelte economiche e finanziarie responsabili.
Twitter @thepsironi

Banks and Fintech on Platform Economies”, edito da Wiley (2021)