Turismo ancora Cenerentola, dove andranno gli investimenti nel 2022?

scritto da il 03 Dicembre 2021

Pubblichiamo un post di Raffaello Zanini, fondatore del portale Planethotel.net. Laureato in urbanistica, assiste gli investitori del settore turistico alberghiero con studi di fattibilità, consulenza ai progettisti, ricerca di soluzioni finanziarie –

Il turismo mondiale è ancora molto frenato dalla pandemia, nonostante i vaccini e la riapertura delle frontiere tra la primavera e l’estate 2021. Secondo il UNWTO World Tourism Barometer nei primi sette mesi del 2021 gli “arrivals” erano a livello mondiale ancora il 40% inferiori al 2020 e l’80% in meno del 2019.

Ora gli esperti spostano in avanti, alla fine del 2022, il rimbalzo atteso, visto che Asia e Pacifico hanno continuato a soffrire per i peggiori risultati con un -95% sui primi sette mesi 2021 rispetto al 2019, lo stesso dicasi per il Medio Oriente (-82%) Europa ed Africa (-77%), mentre le Americhe sono le meno colpite con – 68%.

Qui si conferma che il turismo, sia d’affari che leisure, richiederà molto tempo per riprendersi, e contemporaneamente subirà una modificazione: quanto profonda è ancora presto da dire, molto dipenderà da quanto efficaci saranno vaccini e cure, che porteranno una vera svolta non prima della fine 2022.

Certo che se una nuova variante come Omicron crea tutto il trambusto che sta creando, non possiamo essere ottimisti.

Quindi abbiamo davanti almeno un altro anno di sofferenza, forse due, durante i quali molte aziende alberghiere dovranno fare i conti con un’oggettiva difficoltà finanziaria (raggiungere il 50% di occupazione sarà per molti un miraggio), e molti immobili passeranno di mano. In tutto questo restano irrisolte le questioni dei BnB, che dalla pandemia sembrano aver ricevuto un impulso, grazie alla “privacy” e distanziamento garantiti agli ospiti. Su questo si veda un mio post di gennaio.

Per il turismo business non è ancora chiaro che cosa potrà accadere, si passa dal pessimismo più marcato all’ottimismo di un nuovo ritorno alla normalità in presenza, con l’avvertenza che, salvo l’isola felice Milano, l’attività business e convegnistica è legata a reale attività economica, alla produzione, alla ricerca e alla necessità di “mostrare” e o scambiare il prodotto dell’attività.

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Così è opportuno concentrarsi sul turismo leisure, come stanno facendo, con qualche piccolo successo comparativo, Grecia, Spagna, Portogallo, ma anche Turchia (che approfitta del drastico calo dei valore della lira turca). Gli effetti della crisi pandemica sul turismo si sono sommati al fallimento del più antico Tour Operator inglese, Thomas Cook, che ha messo in ginocchio destinazioni, come quella greca o cipriota. Il risultato è che in quei paesi, non diversamente che in Italia, vi sono centinaia di hotel in svendita.
L’origine della crisi di Thomas Cook andrebbe attentamente analizzata, perché fonda le sue radici in un viluppo di motivi ben chiari già prima della pandemia, che andrebbero valutati anche da chi si occupa di turismo italiano:

– Da un lato il crescente superamento dell’agenzia di viaggi a favore delle prenotazioni on line

– Lo spostamento dalla prenotazione in hotel verso il più frequente utilizzo di AirBnB

– Contemporaneamente la forza di voli low cost

– Ma altri due fattori si sono rivelati determinanti per la crisi di Thomas Cook. Il primo: gli effetti di un clima molto caldo sulla Gran Bretagna, che ha spinto molti inglesi a preferire una vacanza “vicino casa”. Il secondo, ancora più rilevante: l’indebolimento della Sterlina Inglese anche come effetto della Brexit.

Si tenga presente che la crisi di Thomas Cook è di settembre 2019, mentre la pandemia arriva in Europa (a Bergamo) a febbraio 2020: l’effetto combinato delle due crisi su molte aziende turistico alberghiere è stato devastante.

In alcuni paesi mediterranei, tra cui la Grecia, ci troviamo con molti hotel relativamente grandi e moderni pronti per essere acquisiti da chi ha a disposizione la grande liquidità generata dalle ultime due crisi. In Italia abbiamo ancora un patrimonio immobiliare turistico frazionato tra troppi proprietari, troppo piccolo per essere interessante per i grandi operatori internazionali, i quali cercano “asset” che in Italia in pratica non ci sono.

Tutto questo rende prevedibile che il rimbalzo, così come già avvenuto quest’anno per la Turchia, in un prossimo futuro riguarderà prima paesi come Grecia e Cipro o Spagna, e solo dopo l’Italia, per il ritardo con cui governo, regioni e comuni stanno prendendo in considerazione il tema.

Chi mi conosce sa che fin dal volume da me curato “Hotel Experience” del 2009 insisto sulla opportunità che governo e regioni sviluppino dei “Piani di rinnovo della città turistica”, tema su cui gli interventi concreti sono stati finora pochissimi.
In questo quadro si inseriscono gli interventi del PNRR e della Legge di Bilancio 2022.

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Nonostante le esplicite parole di Mario Draghi sul turismo nel discorso di insediamento, e la positiva istituzione di un Ministero del Turismo, di cui si occupa un ministro sensibile, ancora una volta sembra di capire che il turismo sia valutato dalla politica tutta come un settore Cenerentola, che se la cava da solo, cui distribuire una minuscola percentuale del monte finanziario a disposizione per il rilancio post pandemia, con interventi di governo, regioni e comuni che si sommano irrazionalmente, per cui non mi meraviglio che alcuni operatori nazionali siano oramai impegnati da anni in investimenti sull’altro lato dell’Adriatico, dove tasse, costo del lavoro, opportunità di sviluppo sono molto più allettanti di quelle offerte nel nostro paese.

E non basta la ricerca che fanno alcuni grandi operatori internazionali degli asset alberghieri di alto valore o di piccole catene da comprare in blocco, perché le transazioni che raggiungono le pagine dei giornali sono poche, e poco significative anche in comparazione con quello che accade in altri paesi europei, o nelle Americhe.

Resta ovviamente il grande potenziale del turismo definito “culturale”, in città d’arte, soprattutto lusso, che ha già attirato l’interesse di gruppi internazionali. Dispiace vedere che, fatte salve alcune encomiabili eccezioni, la cultura dell’ospitalità italiana stia progressivamente annacquandosi a contatto con le grandi catene molto più solide finanziariamente e managerialmente dei “piccoli” gruppi nostrani.

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