Transizione energetica, le tre chiavi sono talenti (rari), cultura e leadership

scritto da il 30 Marzo 2022

Post di Emanuele Cacciatore, Senior Director Industry Strategy & Transformation di Oracle, Energy & Utilities Industry Lead, EMEA e Andrea PetroneExecutive Coach and Advisor to CEOs –

Le major petrolifere stanno allocando budget milionari su programmi di riqualificazione della forza lavoro per poter affrontare una delle sfide poste dalla transizione energetica: la scarsità di talenti.

L’anno scorso, Equinor (ex-Statoil), il campione norvegese dell’energia, ha lanciato il programma Reskill@Scale per sostenere il trasferimento di competenze tecniche dal settore petrolifero, core business aziendale, a quello delle soluzioni low carbon e delle energie rinnovabili. Shell, BP ed Eni hanno lanciato programmi analoghi.

La scarsità di talenti non è un fenomeno nuovo per le aziende del settore energetico. La combinazione di una forza-lavoro con età media molto elevata (in Europa un terzo della forza-lavoro nel settore utilities ha 50 anni o oltre) e una percezione negativa delle tradizionali utility e delle industrie del petrolio e del gas, ha sempre influenzato negativamente la capacità del settore di trovare ed attrarre talenti.

Mentre la transizione energetica accelera e la competizione per i talenti si intensifica in tutti i principali settori energetici, la carenza di talenti e competenze (soprattutto in area STEM) è ora esacerbata al punto che, secondo alcuni leader del settore, potrebbe ostacolare il percorso verso una completa transizione. Alcune major europee come Shell ed Equinor, stanno trasferendo risorse con competenze in ambito eolico offshore dall’Europa agli Stati Uniti per far fronte alle richieste associate ai grandi progetti eolici previsti dal Green New Deal dell’amministrazione Biden.

In un’intervista rilasciata per la Reuters Global Energy Transition Conference nel giugno dello scorso anno, Francesco Starace, CEO di Enel, ha dichiarato che “il vero limite [alla transizione energetica] sono le persone… e la carenza di materie prime”.

Miguel Stilwell, CEO dell’azienda portoghese di energie rinnovabili, EDP Renovaveis, nel giugno 2021 ha detto a Bloomberg che “c’è una guerra per il talento a livello globale. Il settore delle rinnovabili, data l’enorme quantità di crescita prevista, non ha abbastanza persone”.

Riqualificare e aggiornare la forza lavoro, espandere il talent pool attraverso politiche di Diversità ed Inclusione, reclutare talenti da industrie adiacenti o concorrenti, sono senza dubbio misure efficaci per le compagnie petrolifere in particolare, per affrontare la sfida del talent gap, ma potrebbero non essere sufficienti per sostenere la transizione dagli idrocarburi alle nuove fonti di energia pulita.

foto di Jason Blackeye per Unsplash

foto di Jason Blackeye per Unsplash

E’ necessario anche un significativo cambiamento culturale e di leadership. Le aziende del settore petrolifero e del gas sono state istituite seguendo le linee costitutive di quella cultura di comando e controllo che ha le sue radici nei più profondi recessi dell’era industriale (chiamiamola Cultura A); una cultura che, nel tempo, ha permesso di concentrarsi sul miglioramento dei margini operativi attraverso il costante miglioramento dei processi e l’eliminazione delle inefficienze. Tale cultura è stata fondamentale per assicurare sicurezza ed efficienza nella gestione dei processi operativi di una piattaforma di perforazione offshore o di un impianto di trattamento del greggio.

Nell’industria tradizionale del petrolio e del gas, il lavoro dei team è organizzato in rigidi modelli operativi, i compiti sono rigorosamente pre-definiti e pianificati, e le attività devono seguire procedure standardizzate che sono codificate nei mastodontici manuali operativi dei sistemi di gestione. Questo è l’ambiente culturale in cui la maggior parte delle compagnie petrolifere e del gas hanno prosperato negli ultimi decenni.

In effetti, questa cultura ha dimostrato di funzionare molto bene nel modello di business tradizionale degli idrocarburi. Le forze che oggi stanno sconvolgendo l’industria del petrolio e del gas, la transizione energetica e la digitalizzazione su tutte, richiedono tuttavia velocità, agilità e flessibilità come complemento all’efficienza ed alla compliance.

Anche se le procedure e i requisiti standard saranno ancora necessari per assicurare che le operazioni siano eseguite in modo sicuro e affidabile, deve essere abbracciata una cultura agile per supportare processi decisionali più snelli e decentralizzati, e rapide riconfigurazioni del lavoro e dei team, per permettere risposte più veloci a condizioni mutevoli e nuovi sviluppi; in altre parole una cultura organizzativa che promuova la responsabilizzazione e l’imprenditorialità, l’innovazione e la sperimentazione, rispecchiando in qualche modo l’approccio delle scale-up tecnologiche della Silicon Valley (chiamiamola Cultura B).

La vera sfida per le aziende del settore petrolifero consiste nell’integrare queste due diverse culture organizzative, Cultura A e Cultura B, per gestire alcuni trade-off tra scala e agilità, efficienza e innovazione, coerenza e reattività, e trovare il giusto punto di equilibrio tra protezione del valore generato dal business tradizionale (idrocarburi) e creazione del valore generato dai nuovi business (energie pulite). Il raggiungimento di questo delicato equilibrio richiede probabilmente la creazione di una nuova cultura, Cultura C, che combini i tratti più efficaci della Cultura A e B. Più facile a dirsi che a farsi.

Un’operazione cosi complessa può avvenire a patto che gli attuali leader dimostrino determinazione e capacità di guidare un vero cambiamento culturale. Non sorprende che in alcune major si siano recentemente attuate importanti riorganizzazioni partendo proprio dai ruoli apicali.

Lo scorso anno BP ha rimosso un intero livello di top management dimezzando il numero di senior leader da 240 a meno di 120 come parte del suo processo di “reinvenzione”. Sono da leggere in questo senso anche alcuni recenti ‘innesti dall’esterno’ effettuati nei mesi scorsi dalla stessa BP, che ha annunciato l’assunzione, tra i ranghi della sua senior leadership, di due superdirigenti “strappati” alla concorrenza. Il primo, importante, innesto è Anja-Isabel Dotzenrath, examministratrice delegata di RWE Renewables, che guida la divisione Renewables di BP; l’altro è Matthias Bausenwein, ex-responsabile della divisione Asia-Pacifico di Ørsted, l’azienda danese leader nel settore eolico offshore, che sarà invece a capo della divisione Offshore Wind.

foto di Matthew Henry per Unsplash

foto di Matthew Henry per Unsplash

Per le major petrolifere che hanno intrapreso questi percorsi di trasformazione organizzativa e culturale ci sarà innanzitutto bisogno di leader che siano in grado di:

1. diffondere una mentalità che favorisca l’apprendimento continuo (“learner mindset”), nonché la sua democratizzazione, per sostenere l’innovazione e la condivisione delle conoscenze in ogni molecola del DNA dell’organizzazione;

2. favorire la diffusione, all’interno dell’organizzazione, di approcci non convenzionali alla risoluzione dei problemi; approcci caratterizzati da creatività, curiosità, attitudine alla sperimentazione;

3. implementare nuovi modi di lavorare che favoriscano agilità, collaborazione, e flessibilità e che si riducano la rigidità di processi e sistemi;

4. mostrare, come prescrive ogni buon manuale di change management, i benefici di questo cambiamento ai dipendenti. Non è un compito facile, ma solo costruendo una nuova cultura che permetta ai due diversi “mondi” di lavorare insieme efficacemente, i leader del settore oil & gas saranno in grado di guidare con successo la transizione energetica e diventare allo stesso tempo un modello per le future generazioni di leader.

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