Nucleare, una nuova prospettiva o una semplice fantasia?

scritto da il 06 Maggio 2022

Il conflitto ucraino ha presentato il saldo dell’annoso problema riguardante il mix di fonti energetiche da noi attualmente utilizzate, per anni visto come limite solo sul lungo periodo, ora divenuto notevole peso per le bollette delle famiglie e delle imprese italiane.

Più che mai è evidente la dipendenza del nostro Paese da fonti energetiche di cui non disponiamo autonomamente e non siamo in grado di produrre sufficientemente. Ne è esempio lampante il gas naturale, dal momento che circa il 40% dell’energia elettrica che consumiamo ogni giorno nelle nostre case proviene da gas naturale (Snam-Geopop­-Enel), e di tutto il gas da noi importato circa il 38% viene proprio dalla Russia.

Difatti, pur assistendo ad un aumento di utilizzo del nostro mix energetico di fonti rinnovabili, non siamo attualmente in grado di garantire una loro efficienza tale da rinunciare al gas. Elemento fondamentale in ottica di transizione tra le rinnovabili e le vecchie fonti fossili, andando a costituire la nostra imprescindibile fonte “ponte” verso le stesse, dal momento che il gas è la fonte fossile meno impattante tra le possibilità attualmente presenti nel nostro ventaglio di scelte.

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Diversificare col nucleare per reagire alla crisi Ucraina è la risposta giusta?

Sempre più si paventa l’idea che la panacea alla nostra indipendenza sia l’energia nucleare, specificatamente l’ormai noto nucleare di quarta generazione. Se di cura si tratta, si tratta di cura ad effetto e rilascio ritardato, visto il tempo richiesto per la sua efficacia.

Pensare di riattivare le datate ed ormai vetuste centrali nucleari italiane, da tempo abbandonate, è un’opzione non soddisfacente, dal momento che non è possibile riavviarle tout court dopo anni e anni di inutilizzo, fermi dal referendum del 1987, per di più con la necessità di accontentarsi di complessi dotati di una tecnologia non più allo stato dell’arte.

Va chiarito fin da subito, inoltre, che in realtà, allo stato attuale della tecnica, il nucleare di quarta generazione spesso decantato, non è una tecnologia che possiede una maturazione tale da poter essere già impiegata attivamente: la sua effettiva usabilità non sarà definita prima del prossimo decennio, la ricerca sul campo presenta alcuni step che, per quanto possano essere velocizzati, vanno rispettati.

Per cui no, specialmente nel breve periodo quale quello dell’attuale crisi che stiamo vivendo, non è possibile optare come salvagente su questa alternativa.

Come riferito dal ministro Cingolani nella sua informativa alle Camere, gioca a nostro favore l’arrivo della bella stagione per il brevissimo periodo, nel quale si auspica anche un’eventuale risoluzione del conflitto, per poi orientarsi su altre fonti di gas in modo da diversificare la provenienza dello stesso.

Ad un occhio critico pare quindi che il gas continuerà ad essere quel bene “ponte” fra i fossili e le rinnovabili, il caro vecchio e buono “giusto mezzo”.

L’effetto principale dell’attuale crisi sarà, a mio avviso, una spinta alla diversificazione, ma non del mix energetico, quanto dei nostri fornitori, per consentire come il buon Porter con la sua teoria delle cinque forze ci insegna una maggiore sicurezza e certezza della disponibilità necessarie al nostro fabbisogno.

Il nucleare come prospettiva di lungo periodo

Tralasciando l’impossibilità applicativa delle centrali nucleari per una soluzione di breve periodo, risulta naturale chiedersi e porsi la stessa domanda in un’ottica medio lunga. Come detto, nel prossimo decennio dovremmo beneficiare del nuovo avanzamento tecnologico fornito dal nucleare di quarta generazione.

I nuovi reattori sono lodati e decantati per le loro qualità, perché rendono il nucleare “pulito”. Ma davvero il nucleare può definirsi pulito grazie a questo avanzamento tecnologico?

La risposta è ni. Col nucleare di quarta generazione non si è di fronte ad una fonte totalmente pulita con le conoscenze attuali, poiché le scorie restano, seppur in quantità minore, con le implicazioni del caso.

immagine di Patrick Federi per Unsplash

immagine di Patrick Federi per Unsplash

Tra ipotesi e proponimenti vari, il programma che più si avvicina al rifiuto 0 è denominato Progetto Proryv, che, ironia del caso, è di matrice russa, in base al quale dovremmo essere in grado di ridurre drasticamente il ciclo delle scorie da 100.000 a 300 anni, riuscendo a riciclare insistentemente tutte le scorie radioattive prodotte, potendole usare in ciclo continuo, con il vantaggio di non dover creare appositi siti di stoccaggio dei materiali di risulta.

Per di più il progetto russo, come altri, punta ad utilizzare ulteriori materiali oltre l’uranio, che sono in grado di sprigionare una maggiore carica energetica, migliorando l’efficienza, cosa che gioca sicuramente a vantaggio di una tecnologia attuale.

Sussistono criticità nei costi. Il nucleare richiede iniziali investimenti di capitale decisamente rilevanti, che, secondo fonti Enel, si attestavano a circa 3,5 miliardi per una centrale con la tecnologia disponibile nel primo decennio del nuovo millennio. Per i nuovi sistemi, non esistendo attualmente stime valide, non possiamo che attenderci, vista la maggior complessità che comporta, costi iniziali superiori alla media precedente stimata, spesa che crescerebbe enormemente se considerassimo gli ancora imprescindibili costi per ricerca e sviluppo. Difatti, per ora abbiamo parlato solo di progetti ancora da finire, ultimare e verificare, nulla di definito.

Va detto però che i costi vivi successivi all’investimento sono particolarmente esigui, grazie all’alta densità energetica dell’uranio, che addirittura aumenta in altri combustibili che sono al vaglio.

Questo perché la quantità di materia prima richiesta rispetto all’energia prodotta è bassa, a tal punto da rendere praticamente indipendente il costo dell’elettricità generata dal costo della materia prima. Non vanno poi dimenticati inoltre i costi sulle scorie, che però, essendo il nucleare di ultima generazione “ipoteticamente” particolarmente efficiente, si attesterebbero secondo analisi IEA a circa il 5-6% dei costi di gestione.

In sintesi, vista l’entità dei costi finanziari fissi iniziali molto elevata e dei costi variabili esigui, il nucleare diverrebbe conveniente solo su un lungo utilizzo di vita della centrale, almeno pari a 50/60 anni.

In tutto ciò, parlando di economicità dell’investimento spesso non viene considerato un fattore: usare una quantità ingente di denaro per un investimento richiede quasi sempre la necessità di finanziarsi, per cui i tassi d’interesse eventuali vanno a costituire sicuramente una determinante. Difatti da essi può dipendere una larga fetta della convenienza economica.

Come possiamo vedere dalla tabella sottostante, che considera dati del 2010, praticamente pari a quelli odierni visto che la tecnologia considerata è la medesima di quella oggi disponibile, il costo per la produzione di nucleare varia di molto a seconda di quanto sia importante l’impatto dei tassi d’interesse sulla cifra totale. Può pertanto avvenire che un’apparente iniziale convenienza del nucleare, trasformi lo stesso in una spada di Damocle.

È da tener presente come i costi specificati nella tabella non considerano i costi per la ricerca e lo sviluppo e si basano sull’attuale tecnologia, quindi se volessimo considerare il precedente trattato nucleare di quarta generazione, le stime dovrebbero essere ovviamente riviste al rialzo, per effetto dei costi per ricerca e sviluppo ancora da effettuare.

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Un’alternativa alle centrali nucleari classiche, come le immaginiamo, è costituita dai microreattori, Small Nuclear Reactor.

In realtà non sono una novità, dal momento che da anni sono impiegati su navi e sommergibili: nel tempo questi piccoli reattori sono stati trasversali alle varie evoluzioni del nucleare.

Per essi le considerazioni da effettuare sono parallele a quelle effettuate per i reattori di normali dimensioni.

Difatti, se i sostenitori di tale tecnologia pregustano forti economie di scala nella produzione dei mini reattori, dettati dalla maggiore facilità di fabbricazione rispetto ai reattori di dimensioni normali, non considerano che reattori più piccoli, di dimensioni più contenute, vorrebbero dire costi più elevati per produrre lo stesso quantitativo di energia rispetto ad un reattore di dimensioni normali. Anche in questo caso la motivazione risiede nelle economie di scala. Per cui il vantaggio rispetto ai “fratelli maggiori”, sarebbe quasi del tutto negato in termini di produzioni di energia.

Il vero nodo del nucleare

Manca tuttavia un ulteriore elemento alla schematica analisi costi benefici sin qui riportata, ovvero i costi opportunità del nucleare.

Investire sul nucleare significa puntare pesantemente su di esso, visti gli ingenti investimenti necessari per la ricerca, lo sviluppo e la costruzione delle centrali e, se scegliessimo il nucleare non avremmo risorse sufficienti da investire in altro, specialmente sulle fonti rinnovabili, che non avrebbero modo di arrivare al loro grado massimo di efficienza. La scelta è un out out: investire in una, significa non investire nell’altra.

Specificatamente con una tecnologia come il nucleare, che per divenire conveniente richiede per forza di cose un lungo periodo di utilizzo, si crea la problematica del difficile disinvestimento, qualora vengano eventualmente scoperte nuove tecnologie più efficienti. Cosa faremmo con una centrale operante da soli dieci anni, avente ancora una lunga vita utile, con pochi costi ammortizzati, senza possibilità di disinvestire e puntare sulla nuova tecnologia?

Ed è qui che, a mio parere, la vera discussione sul nucleare deve incentrarsi su come vediamo il mondo nei prossimi trenta, quaranta o addirittura cinquant’anni, poiché investire ora sul nucleare vorrebbe dire accantonare o lasciare rilievo marginale alle fonti rinnovabili. E tale condizione di marginalità sarà sufficiente a svilupparle con un grado di efficienza accettabile per supplire ai nostri bisogni energetici nel futuro?

È da tener presente che questo investimento si baserebbe su un energia nucleare che, come detto, non è ancora ben sviluppata, ma solo in ipotesi potrebbe raggiungere quel grado di efficienza.

A mio avviso, la scelta di investire sul nucleare costituirebbe una possibilità solo laddove inconfutabilmente fosse dimostrata la sua utilità di ponte nei confronti delle energie rinnovabili, andando a sostituire ciò che oggi il gas rappresenta per noi, ma, vista l’attuale situazione di incertezza, una simile scelta vorrebbe dire rinunciare e non traghettare. Perciò la ritengo difficilmente percorribile.

Francesco Faieta