Nel new normal una nuova tendenza professionale: Start o Smart

scritto da il 16 Giugno 2022

Post di Debora Guma, Chief Information Officer presso il gruppo Lactalis Italia e corsista EMBA Ticinensis 

È trascorso ben poco tempo da quando un po’ ovunque si parlava e si scriveva di un new normal post-pandemico. Sicuramente qualcosa di nuovo c’è ma, ammesso che ad oggi si riesca a dare un significato compiuto a questo aggettivo, di “normale” c’è molto poco anche per via di una guerra in corso in Europa priva di una soluzione diplomatica percorribile nel breve termine.

In questo scritto vedremo come la pandemia ha generato la nascita di una nuova tendenza nella scelta del percorso professionale da intraprendere (o da abbandonare) che definiremo “start” in relazione alla volontà di avviare attività autonome e “smart” perché sempre più in controtendenza[1] rispetto all’urbanesimo[2], la cui previsione per il 2050 era nel 2018 pari al 68% di concentrazione della popolazione nelle aree urbane.

Durante il periodo pandemico l’espressione new normal, coniata da Bill H. Gross[3] nel 2010 in riferimento al contesto economico-finanziario post-crisi finanziaria del 2007-2008, era stata utilizzata nel mondo della comunicazione per definire un  nuovo stile di vita “resiliente” che si adattasse alla convivenza con un fenomeno straordinario divenuto ordinario.

In realtà il new normal post-pandemico di breve termine si è limitato a un unico seppure diffuso e rilevante fenomeno: un nuovo approccio alla gestione della propria attività professionale. Questo nuovo approccio è stato presumibilmente generato dagli eventi geo-politici recenti e da un certo grado di fatalismo misto a rassegnazione determinato dalle incertezze nella gestione della informazione sulla pandemia[4].

Il fenomeno è trasversale a tutte le generazioni ma ha su di esse impatti diversi che corrispondono a un cambio culturale che era già in corso in epoca pre-pandemica. Lo studio sulla necessità di un migliore bilanciamento tra vita professionale e vita personale nasce infatti in UK alla fine degli anni ’70[5] e da allora aveva subìto fasi alterne corrispondenti ai diversi andamenti dell’economia globale. La semantica di “work-life balance” è sempre stata distinta tra le varie generazioni[6] e anche oggi, per le persone ancora coinvolte in un percorso professionale, il nuovo approccio post-pandemico vede tre categorie di comportamenti tra loro parzialmente interconnesse ma tutte fondate su una riscoperta del tempo libero e delle relazioni familiari e amicali o più in generale del “well-being”. Il fenomeno è stato denominato “Great resignation” da Anthony Klotz in una intervista a Bloomberg del Maggio 2021[7]:

– i/le “baby-boomer” (nati/e nel periodo 1946-1964) sono ormai vicini/e alla pensione e sempre più spesso scelgono un ritiro anticipato nonostante l’eventuale perdita economica[8]

– le generazioni X e Y (rispettivamente 1965-1979 e 1980-1994) avevano già intrapreso in era pre-covid un percorso imprenditoriale autonomo soprattutto in relazione all’utilizzo delle nuove tecnologie per innovare modelli di comportamento e di acquisto (fenomeno delle “Start-Up); nel periodo post-pandemico, il desiderio di avviare un’attività propria lasciando attività di lavoro dipendente è in netta crescita: nel 2021 si è avuto un incremento del 55% nella registrazione di startup rispetto al 2020 (dal 2016 al 2020 l’aumento annuale medio era stato del 21%)[9]

– per la generazione Z (1995-2010) si è affermato lo stesso fenomeno come una delle opzioni preferite al termine del percorso di studi o subito dopo una breve esperienza di lavoro dipendente: ben il 51,6% dei dimissionari del 2021 nella fascia d’età fino ai 24 anni non rientra nel lavoro dipendente in tempi brevi[10].

immagine di Tyler Franta per Unsplash

immagine di Tyler Franta per Unsplash

In ogni caso la “Great resignation” avrà, e in parte già sta avendo, una ricaduta per il lavoro dipendente in termini di mancanza di competenze verticali dovute all’effetto combinato dei ritiri anticipati (agiti da chi affiancava le risorse più giovani nel crearsi le competenze) e delle scelte di lavoro autonomo delle ultime generazioni (ovvero di coloro che si formavano grazie all’inserimento in strutture costituite da risorse più esperte).

Oltre al fenomeno che abbiamo denominato “Start” anche la componente “Smart”, ovvero il passaggio dello “Smart working” da misura emergenziale a misura continuativa, avrà un impatto sulle modalità di sviluppo delle competenze ma anche sui fenomeni di urbanesimo. Di contro, è uno degli assi portanti per il reperimento di nuovi talenti da parte delle aziende. Soprattutto in ambito tecnologico, è diventato infatti quasi impossibile portare a buon fine un’attività di recruiting se l’azienda che la conduce non ha delle politiche di “remote working” e soprattutto una gestione di “smart working” definita e condivisibile. Nonostante la confusione imperante, vi è infatti una differenza netta tra “remote working” e “smart working”. Quest’ultimo non consiste solo nella possibilità di connettersi da casa durante l’orario di ufficio ma in un più esteso cambiamento del concetto di lavoro dipendente che non passa più da orari predefiniti ma da obiettivi da raggiungere tramite attività collaborative svolte con le più moderne tecnologie digitali. I giovani talenti ricercano infatti un lavoro dipendente “smart”, flessibile e improntato a un umanesimo manageriale[11] agito nel quotidiano[12].

Al momento non possiamo purtroppo considerare la pandemia da SARS-COV 2 del tutto conclusa né possiamo avere certezza in merito alla non ripetibilità di un evento del genere. Inoltre, ogni fenomeno sociale, politico ed economico da esso derivante è ancora in fase di studio per poter essere valutato con l’obiettività e la profondità necessarie a una sua piena comprensione. Inoltre, come sappiamo, c’è anche l’incertezza sugli sviluppi degli eventi geopolitici in atto.  Di conseguenza, anche il contenuto di questo contributo non può essere considerato esaustivo o del tutto compiuto e bisognerà attendere almeno un paio di anni per avere i primi dati significativi sulle effettive correlazioni tra pandemia/eventi geopolitici e le componenti “start” e “smart” descritte in questo breve articolo.

È importante però iniziare al più presto una riflessione collettiva sulle dinamiche descritte al fine di studiare meglio e tutelare quel “normal” o new normal al quale ognuno ed ognuna di noi ambisce per rafforzare o riformulare le proprie sicurezze e quindi il sereno svolgersi della propria vita. Si tratta di tematiche estremamente delicate con le quali dovranno inevitabilmente fare i conti le aziende, la politica e l’intera collettività.

NOTE

[1] Si veda ad esempio il capitolo 2 del rapporto annuale 2021 dell’ISTAT che, nonostante la parzialità dei dati perché redatto ancora in fase pandemica, già illustra la diminuzione percentuale rispetto al periodo 2015-2019 dei flussi di migrazione interna verso le grandi città

[2]World Urbanization Prospects 2018”, Nazioni Unite:

[3] Walter Riolfi, Sole 24 Ore.com, 3 luglio 2010, Finanza & Mercati. Note su Bill Gross

[4] Lorenzo Viviani (2021), “Mito e realtà  dell’impatto  della  pandemia  su società e politica globali”. Note per la ricerca sociale. SocietàMutamentoPolitica 12(23): 179-183. doi: 10.36253/smp-13007

[5] S . Raja, SL. Stein., “Work-life balance: history, costs, and budgeting for balance”. Clin Colon Rectal Surg. 2014;27(2):71-74. doi:10.1055/s-0034-1376172

[6] Alan Kohll “The Evolving Definition Of Work-Life Balance”, FORBES, 27/03/2018

[7] Quit your job: how to resign after Covid pandemic (Bloomberg)

[8] Alla fine del 2021 la banca d’affari Goldman Sachs ha stimato che negli Stati Uniti più della metà dei dimissionari aveva più di 55 anni con una forte prevalenza delle donne.

[9] Dati del Ministero dello Sviluppo Economico

[10] “Le dimissioni in Italia tra crisi, ripresa e nuovo lavoro”, indagine della Fondazione dei Consulenti del Lavoro sui dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

[11] Alfredo Biffi, Enrica Pavione “Umanesimo manageriale: le buone pratiche” – da “Economia&Management Plus, Managerial Insight” – EGEA, 2017

[12] Gianni Rusconi “Great resignation”: perché è un fenomeno in crescita e come rallentarla” – Il Sole 24 Ore, 20 Aprile 2022