I tagli delle tasse? No, è il lavoro la cura contro il declino

scritto da il 24 Ottobre 2022

L’autore di questo post è Antonino Iero, già responsabile del Centro Studi e Ricerche Economiche e Finanziarie di UnipolSai – 

Se osserviamo l’andamento del PIL reale pro capite (ossia al netto dell’inflazione) delle quattro principali economie dell’Unione Europea[1] ci si rende presto conto della difficoltà che l’Italia sta attraversando da quando è entrata in vigore la moneta unica europea. Il grafico sotto evidenzia come all’inizio degli anni 2000 la ricchezza a disposizione di un cittadino italiano, in media, fosse solo di poco inferiore rispetto allo stesso dato relativo a Francia e Germania.

Vi era, inoltre, una notevole differenza, a nostro vantaggio, con il PIL pro capite spagnolo. Nel corso degli ultimi vent’anni il PIL pro capite italiano è declinato, allontanandosi dai valori delle prime due economie continentali e, nello stesso tempo, la Spagna ha messo a segno una rincorsa che l’ha avvicinata notevolmente al nostro Paese.

Lavoro

In questo contesto, si vede bene come la nazione che ha accresciuto il suo benessere più degli altri è senza dubbio la Germania, che aveva già superato quota 35 mila euro nel 2017, prima che la pandemia manifestasse i suoi negativi effetti sui Paesi europei.

Lavoro, cosa rende diversa la Germania?

Ma quali sono le caratteristiche dell’economia tedesca che le consentono di realizzare prestazioni che appaiono non alla portata degli altri tre Paesi qui considerati? Prendendo quindi la Germania come benchmark, cercherò di provare ad identificare alcuni fattori che hanno penalizzato l’Italia rispetto a quel Paese in particolare e, più in generale, nei confronti degli altri sistemi economici europei.

Possiamo ragionare in questi termini: il PIL pro capite altro non è che il rapporto tra il prodotto interno lordo e la popolazione di un determinato Paese. A sua volta, il PIL è il risultato dell’attività produttiva svolta dagli occupati, quindi appare del tutto logico porlo in relazione al numero degli occupati, infatti il PIL per occupato è una misura (molto grezza) di produttività. Il numero degli occupati è vincolato all’entità della popolazione in età lavorativa, convenzionalmente quella tra i 15 e i 64 anni. Infine, l’ampiezza della popolazione in età lavorativa dipende dalla dinamica demografica.

Avendo definito tale catena di relazioni, emergono tre variabili da considerare: il peso della popolazione in età da lavoro sulla popolazione totale; il peso degli occupati sulla popolazione in età lavorativa; il PIL prodotto mediamente da ogni singolo occupato. La tabella sotto riporta tali dati per Germania ed Italia come si presentavano nel 2021.

Lavoro

Si noterà come i tedeschi siano circa 24 milioni più degli italiani; abbiano una percentuale della popolazione in età lavorativa di poco superiore a quella italiana (64,22% contro 63,57%, anche la Germania soffre dello stesso problema di invecchiamento demografico che caratterizza l’Italia); mostrino una incidenza degli occupati sulla popolazione in età lavorativa molto più elevata (75,19% contro 58,02%) e registrino un PIL per occupato maggiore di quello Italiano (73.267 euro contro 72.271).

Germania-Italia, tre condizioni per il confronto

Il risultato della combinazione di questi fattori è che, nel 2021, il PIL pro capite italiano era di poco superiore a tre quarti di quello tedesco (26.657 euro contro 35.379, ossia il 75,35%). La tabella sopra rende già ben evidente dove sia la principale differenza tra Germania e Italia. Tuttavia, per apprezzare fino in fondo l’effetto di ogni singola variabile (a parità delle altre due) ho realizzato una simulazione, calcolando quale sarebbe il PIL pro capite italiano se i due Paesi avessero:

1. la stessa situazione demografica, ossia la stessa incidenza della popolazione in età lavorativa sulla popolazione totale, ferme le altre due variabili;

2. lo stesso tasso di occupazione, ossia la stessa incidenza degli occupati sulla popolazione in età adatta al lavoro, ferme le altre due variabili;

3. la stessa produttività, ossia lo stesso PIL per occupato, ferme le altre due variabili.

I risultati delle simulazioni sono riassunte nelle ultime tre colonne della tabella che segue.

Lavoro

Come era facilmente prevedibile, l’effetto della demografia (colonna Demografia Italia) è sostanzialmente irrilevante: se il peso della popolazione italiana in età da lavoro fosse uguale a quello tedesco, il PIL pro capite italiano aumenterebbe marginalmente, passando da 26.657 euro a 26.930 e attestandosi solo al 76,12% di quello tedesco (ultima riga).

Lavoro, il tasso di attività fa la differenza

Come ci si poteva attendere, è il tasso di attività che fa la differenza. Se esso crescesse dall’attuale 58,02% della popolazione in età lavorativa italiana fino al 75,19% della Germania, il PIL pro capite italiano arriverebbe a 34.544 euro, avvicinandosi molto a quello tedesco (97,64%).

Infine, la produttività non sembra aver un peso eccessivo: se portassimo il PIL per occupato italiano allo stesso livello di quello tedesco, si avrebbe un incremento del PIL pro capite italiano tutto sommato contenuto: da 26.657 euro a 27.024.

Sono stati utilizzati i dati del 2021 e si potrebbe pensare che questi possano essere distorti dall’effetto della pandemia. Ho quindi ripetuto la stessa elaborazione utilizzando i dati del 2019: i risultati sono praticamente sovrapponibili. Infatti, se si esamina la serie storica dei tassi di occupazione (la variabile chiave per spiegare la deludente prestazione italiana rispetto alla Germania) si nota come i valori italiani siano sempre quelli minori tra i quattro Paesi considerati, con l’eccezione del periodo 2012 – 2013 quando la Spagna, in piena crisi di debito, ha registrato una significativa caduta dell’occupazione (grafico che segue).

Lavoro

Quali considerazioni si possono trarre dai risultati di questo semplice esercizio di simulazione? La letteratura economica ha evidenziato da tempo numerosi aspetti che penalizzano le prestazioni del sistema economico italiano: modesta dimensione media delle imprese, eccessiva dipendenza da attività a basso valore aggiunto (turismo, ristorazione, etc) a scapito di una scarsa (o nulla) presenza nei settori più dinamici (biotecnologie, intelligenza artificiale, elettronica, etc), dinamica demografica recessiva (legata, in parte, proprio alla debolezza dell’economia nazionale), mancanza di concorrenza in diversi comparti, inefficienza di alcuni servizi della Pubblica Amministrazione (si pensi solo alla giustizia) e così via.

La nuova fase economica globale

Ѐ innegabile che occorra intervenire rapidamente e con razionalità su questi fattori. Anche perché la situazione internazionale sta cambiando rapidamente le condizioni di operatività dei sistemi economici locali. Infatti, gli effetti della pandemia e quelli delle tensioni geopolitiche che attraversano il pianeta (guerra in Ucraina, confronto tra Cina e Stati Uniti, etc) hanno determinato un nuovo quadro destinato a protrarsi nel tempo. In tale contesto, il modello produttivo impostato su ampia disponibilità di energia a basso costo, che ha reso competitivi diversi settori manifatturieri (in primo luogo tedeschi e, in subordine, italiani), è stato ormai superato dalla nuova fase economica globale.

Un diverso paradigma produttivo

Da qui l’esigenza di trovare un diverso paradigma produttivo, per realizzare il quale  alla Pubblica Amministrazione spetta il compito di creare le condizioni per la crescita dell’occupazione, prioritariamente in quei settori produttivi che si mostrano più promettenti in termini di prospettive future.

Ne discende, inoltre, una indicazione che dovrebbe tradursi rapidamente in misure correttive: poiché lo Stato italiano non dispone di risorse infinite (anzi, è vero il contrario, come farebbe bene a ricordare chi promette illusori e raffazzonati tagli delle tasse), sarebbe urgente concentrare gli interventi di spesa pubblica al fine di creare i presupposti per una crescita occupazionale, riducendo la portata di alcuni provvedimenti di natura assistenziale attualmente in vigore.

Il ruolo del Reddito di cittadinanza

Si pensi al reddito di cittadinanza che, così come è stato disegnato, rappresenta un incentivo a stare fuori dal mercato del lavoro o, forse peggio, a gonfiare l’area del lavoro nero. Per non parlare della sterminata pletora di bonus fantasiosamente inventati negli ultimi anni, spesso a favore di ceti che non avrebbero alcun bisogno di contributi pubblici (non vedo alcun motivo per cui i contribuenti, tra cui anche quelli privi di una casa di proprietà, dovrebbero finanziare la ristrutturazione di ville e palazzi signorili).

Ѐ pericoloso illudersi vi siano scorciatoie: la strada per risollevare questo Paese passa dal lavoro, non dalla rendita di un appartamento trasformato in B&B o dall’assistenza pubblica.

e-mail: toni_iero@virgilio.it

[1] Mie elaborazioni sui dati del database di Eurostat aggiornato al 15 ottobre. Tabelle: NAMA_10_PC; DEMO_PJAN; NAMA_10_GDP; LFSI_EMP_A; LFSA_ERGAN.