Felicità e lavoro sono un binomio possibile?

scritto da il 10 Novembre 2022

L’autore del post, Silvano Joly, boomer torinese, è un manager che ha lavorato con Innovation Leader come PTC, Reply, Sap, Dassault Systemes, Centric Software, Syncron e  con Aziende pre-IPO, start up. Contributore presso varie Università Italiane, è mentore pro-bono di start-up high-tech e da sempre amico della Piccola Casa della Provvidenza (Cottolengo), il più antico istituto dedicato all’assistenza di persone con gravi disabilità

Secondo il Buddha Siddharta Gautama “Non c’è strada che porti alla felicità. La felicità è la strada.”

Ma se si sfoglia il World Happiness Report si scopre anzitutto che “più la scienza della felicità si svilupperà più sarà in grado di approfondire i segreti del benessere umano”. Sembra quindi che la felicità sia sempre meno misurabile con i noti parametri: salute, affetti, benessere.

Il documento spiega come la felicità si possa misurare non solo in modo esplicito, tramite interviste, ma anche nei vari documenti, nei giornali e nei libri, sui social media, ovviamente usando la tecnologia, soprattutto Intelligenza Artificiale e Machine Learning per analizzare il contenuto delle parole, la loro ricorrenza. E quindi il peso specifico nella misura del Fattore F. Anche la Biologia interviene con dei veri e propri “bio-marcatori’ di felicità”. Il rapporto cita come la Genome-Wide Association teorizzi come “alcune persone nascano con varianti genetiche che rendono più facile sentirsi felici”.

Nel report si dà anche molto spazio alle emozioni positive – calma, pace, armonia – ed a come queste contribuiscano in modo significativo alla soddisfazione generale della vita, ribadendo però come per gli occidentali la Felicità coincida in primis con il soddisfacimento dei propri obiettivi professionali.

Allora almeno per noi europei ed americani, aveva ragione Confucio: “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita”? Forse.

Ma il lavoro pare – anche etimologicamente – il termine opposto alla felicità: gli amici de Una parola al giorno ci spiegano che Lavoro deriva dal latino: labor – fatica.

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Etimologia della Parola Lavoro sul sito UPAG

E che anche in varie lingue europee, il significato originario di questa parola si concentra sempre sugli accenti più negativi: dolore (travaillé; trabajo), servitù (Arbeit), urgenza (work). Da Torinese e francofono posso confermare che anche travailler (identico a Torino ed a Parigi) ha la stessa accezione tribolata del “travaglio”.

Ma come essere felici, pur lavorando? Il tema è noto e da qualche anno ormai le Aziende lo stanno affrontando con grande energia: ad esempio SAP in questi giorni ha nominato Pietro Iurato HRD Lead EMEA “per garantire il benessere dei collaboratori”. Il Manager – che vanta ventennale esperienza nell’ambito delle risorse umane – ha espresso l’importanza di far vivere “esperienze uniche, sentirsi valorizzati, essere protagonisti del successo dell’organizzazione, e avere accesso a adeguate opportunità di formazione e crescita” e di voler “lanciare l’esperienza dei dipendenti nel futuro e creare momenti wow che creino senso di appartenenza e coinvolgimento”.

Insomma essere felici. Durante il lavoro, nonostante il lavoro, dopo il lavoro.

Ma perché è così difficile?

A fine 2021 Paolo Iacci, un grande esperto di HR ed il filosofo Umberto Galimberti avevano provato ad analizzare il tema nel libro “Dialogo sul lavoro e la felicità”. Era ancora periodo di mascherine e confinamenti, si iniziava a parlare di Great Resignation, e gli Autori definivano la felicità attiva: con il lavoro, si ha la possibilità di realizzare sé stessi e trovarsi bene nell’ambiente in cui si vive, ma per realizzarsi davvero il lavoro dovrebbe seguire la vocazione di ognuno.

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La questione quindi non è essere o no felici malgrado il fatto che si debba lavorare o solo dopo il lavoro, si dovrebbe essere felici nel lavoro stesso. La attuale prospettiva di un rinascimento digitale e tecnologico ci fa immaginare un progressivo affrancamento dal lavoro: robot e intelligenza artificiale non sostituiranno l’uomo, ma ne prenderanno in carico fatiche e compiti gravosi. Secondo gli autori Infatti il lavoro “fa parte della natura umana” e senza lavoro non si può essere felici. La soluzione potrebbe “erotizzare il lavoro, rendendolo desiderabile e non solo causa di fatica e luogo di tensioni”.

Circa un anno dopo, primavera 2022, la psicologa Marta Casonato ha avviato presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, un laboratorio dedicato a Contesti e strumenti per il benessere e la felicità, importando in Italia il corso più frequentato di sempre all’Università di Yale, «Psychology of Good Life, disponibile a questo link .

La Professoressa intervistata a Marzo 2022 su Vanity Fair , ha tracciato uno scenario interessante: “La felicità è diventata in questi anni un concetto abbastanza mainstream e il modo in cui viene narrata l’ha resa quasi un dovere, una voce aggiuntiva nelle nostre liste to do, un’altra cosa di cui occuparsi. Se non siamo felici ci sentiamo dei perdenti, specie se ci confrontiamo con l’immagine che ci vendono molti dei profili IG che seguiamo. Questo carica il benessere e la felicità di una pressione controproducente, che ci allontana dall’obiettivo autentico: non si tratta di essere felici a tutti i costi, ma di concedersi il tempo e lo spazio per ascoltare e capire cosa potrebbe farci stare meglio”.

Nell’intervista, la Casonato spiega anche come la felicità al lavoro non possa limitarsi alla soddisfazione personale ed al risultato per quanto realizziamo lavorando ma si compia nella gestione dello stress, nella relazione con colleghi, capi e interlocutori esterni.

In parte ispirandosi al corso di Yale, il laboratorio propone anche 5 tecniche per avere più felicità e benessere nella quotidianità lavorativa:

– Tenere in ordine la propria postazione di lavoro, in modo da essere motivati e non frustrati se ci guardiamo intorno.

– Concedersi delle pause, con del movimento fisico ed una pausa digitale, anche del cellulare!

– Essere gentili e aiutare gli altri. Ogni gesto che ci fa sentire utili, ci valorizza.

– Assegnarsi un bonus. Se pensiamo di aver fatto bene premiamoci con un dolce, un aperitivo, una mail ai colleghi raccontando il risultato in modo che la nostra mente percepisca il nostro successo.

– Basta multitasking: stabiliamo priorità e impariamo a delegare o dire no.

Sul tema un altro report molto interessante è quello di 4 M.A.N. Consulting, descritto su Uomo e Manager, che con numeri e dati conferma che la Felicità in ufficio aumenta la produttività, aiuta le aziende a mantenere in casa i talenti e, in generale, innalza il concetto di senso di appartenenza.

Abbiamo infatti visto le nomine di Chief Happiness Officer e sempre più Consigli di Amministrazione hanno tra le loro priorità la felicità dei loro impiegati. Ma noi – da soli e nel frattempo – che possiamo fare, al lavoro e fuori per essere felici?

È una domanda impegnativa ed ho pensato di rivolgerla ad alcuni “specialisti”, ognuno con un focus specifico ed un bagaglio di esperienza personale inedito che penso sia utile e utilizzabile per ognuno di noi.

Iniziamo da Antonella Tropiano, Psicologa Clinica Specialista in Psicologia della Salute:

“Partendo dal titolo…lo modificherei in: felicità è lavoro. Essere felici è una virtù da coltivare. Sin dalle primissime relazioni significative con le nostre figure di riferimento stabiliamo connessioni con il mondo ed interiorizziamo un modello tipico di relazioni intime. Le neuroscienze, oggi raccontano che questo abbia inizio addirittura nella vita prenatale.

Ma questo cosa c’entra con la felicità? E perché è un lavoro? Noi baseremo le nostre relazioni intime sulle prime relazioni e va da sé che se queste sono per così dire…problematiche…anche i nostri futuri stili relazionali potrebbero esserlo. La nostra mente relazionale è costantemente impegnata nel tentare di risolvere questi pattern e se non abbiamo la fortuna di incontrare altre relazioni in grado di “bonificare” le precedenti…possiamo cercare la felicità nel lavoro (permeato di relazioni sociali e di persone che ci ricordano altre persone e che ci fanno sentire in un certo modo) con scarsi risultati. E se la felicità non andasse ricercata nel lavoro ma messa a disposizione come competenza – life-skills?

La psicoanalisi e la psicoterapia sono dirette alla ricerca personale di una propria autenticità, rispetto per la propria identità, autostima, autonomia e alla costruzione di una certa coerenza interna. Lavorare su noi stessi può aiutarci a capire come funzioniamo e in quali situazioni funzioniamo meglio di altre…siamo più efficaci/felici per…natura! Pertanto condivido alcuni suggerimenti pratici: se scegliete un terapeuta, prendetene un* che vi stia simpatic*, sarà importante quando dovrete affrontare argomenti scomodi. Scegliete un* professionista incontrandone almeno 2 e massimo 3, vi aiuterà a capire con chi andate a nozze! Fuggite da coloro che vogliono prendervi in carico a tutti i costi. Cercate coloro che sono disponibile a lasciarvi spazio e tempo per intraprendere il percorso…

In questo modo, forse risparmierete imparando a investire su ciò di cui avete realmente bisogno e/o desiderate sia in senso materiale sia in senso relazionale. Buona fortuna e buon lavoro!”

Proseguiamo con Fra Stefano M. Bordignon dei Servi di Maria, frate e sacerdote che su YouTube racconta e commenta i Vangeli a oltre 70.000 followers, raccomandando di Vivere in Pace ed avere cura di sé.

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Fra Stefano, Frate con 72.000 iscritti e oltre 5 milioni di visualizzazioni su YouTube

Fra Stefano Maria Ci ha scritto: “Trovo affascinante che, nel mondo anglosassone, il termine “vocation” non si riferisca alla vocazione religiosa ma a quella lavorativa. La definizione di “vocation” è infatti: un tipo di lavoro o stile di vita che una persona sente particolarmente adatta a sé. Noi possiamo trovare la vera felicità solo quando sentiamo che stiamo perseguendo una meta significativa, se abbiamo qualcosa per cui valga la pena gioire, ma anche soffrire, qualcosa per cui valga la pena faticare e dare il meglio di noi stessi. È ormai evidente a tutti che non è sufficiente fare qualcosa di piacevole e remunerativo per essere felici, bisogna anche sentire che stiamo camminando nel modo giusto e nella direzione giusta.

E di questo lungo cammino, che è la vita stessa, non possiamo dare per scontato il punto di partenza, che è anche il punto più importante: conosci te stesso. Tutto comincia nello scoprire i desideri che abitano nel profondo del nostro cuore, e nell’essere onesti con noi stessi per non trasformare il lavoro in una via di fuga o di frustrazione, ma una possibilità di realizzazione. Io sono fiducioso nel futuro!

Credo a riguardo che le nuove generazioni torneranno a valorizzare la propria spiritualità, e in questo saranno incoraggiate anche dal mondo lavorativo, perché solo un cammino spirituale ci può portare a conoscere noi stessi, a scoprire qual è la nostra vocazione, e a dare il meglio di noi stessi in ciò che facciamo.

La prima cosa che consiglierei a chi sente di voler intraprendere un cammino spirituale è la meditazione. Trova un po’ di tempo, ogni giorno, per meditare. Non servono ore, bastano anche pochi minuti in cui cercare l’immobilità del corpo e dei pensieri, e cominciare a prendere coscienza del nostro corpo e del nostro spirito. Si, proprio così, molte persone non ascoltano il proprio corpo e non ascoltano il proprio spirito, sono proiettate completamente sulle cose da fare e perdono di vista non solo la ragione per cui le fanno, ma perfino la ragione per cui stanno al mondo. Le prime risposte le possiamo trovare dentro di noi, se impariamo ad ascoltarci. Questo è solo il punto di partenza, ma ogni grande cammino comincia con un passo.

Il percorso spirituale che da un paio di anni sto proponendo su YouTube riunisce ormai una grande comunità di persone desiderose di prendersi cura della propria vita interiore. Ogni giorno dedichiamo cinque minuti alla preghiera, all’ascolto del Vangelo, e a una riflessione che porta gli insegnamenti di Gesù all’interno della nostra vita quotidiana. Le persone che fanno parte di questa comunità esprimono un grande apprezzamento per questa proposta, e io credo che sia vero perché, indipendentemente da ciò che facciamo nella vita, se non ci prendiamo cura della nostra spiritualità, non potremo mai essere felici. “

Infine Alessia Tanzi, laureata all’Università L. Bocconi nel 1993, ha svolto la professione di consulente in strategia e organizzazione aziendale in Francia e Italia per Mars & Co, ATKearney, Gruppo Value Partners. Dal 2006 applica la meditazione al business dal 2006, allenando i manager a sviluppare intelligenza intuitiva, carisma e impatto personale, energia fisica, emotiva e mentale, mindfulness per migliorare i risultati di business liberandosi da ansia e preoccupazioni.

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Alessia Tanzi, fondatrice di Yoga Coaching 

 “Non credo che si possa scindere la felicità al lavoro e la felicità fuori dal lavoro. Nella mia esperienza osservo che ognuno conduce una vita ad un “tasso” più o meno alto di felicità e questo lo accompagna nei diversi ambienti e situazioni che frequenta.

La felicità è un talento, ma anche tanto lavoro perché si conquista di giorno in giorno, è frutto di innumerevoli, personali scelte quotidiane. Non è qualcosa che “accade”, proprio perché non dipende da quello che ci accade ma è uno stato che si genera dentro di noi. Quella che scambiamo per felicità e che sopraggiunge perché è successo qualcosa fuori di noi è piuttosto una soddisfazione temporanea, destinata ad essere effimera. Ma gli eventi esterni sono collegati al “tasso di felicità”, perché avvengono di conseguenza. La realtà ci mostra infatti, di giorno in giorno, un paradigma opposto a quello che ci è sempre stato insegnato. Semplificando all’osso, “mi accadono cose belle perché sono felice”, e non “sono felice perché mi accadono cose belle”. Una volta che questa consapevolezza viene compresa, integrata e agita, siamo già a metà dell’opera.

Non possiamo prescindere dalla felicità, è uno dei nostri bisogni primordiali e non possiamo impedirci di perseguirla. Secondo l’Ayurveda per esempio, sono tre i bisogni essenziali che l’Anima vuole soddisfare: il desiderio di essere felice, il desiderio di conoscere e il desiderio di vivere per sempre.

E il lavoro, in tutto ciò? È un pezzo essenziale di questo puzzle, per mille ragioni. Perché rappresenta una sezione importante del tempo di vita. Perché è uno degli spazi più preziosi in cui ci si può esprimere come esseri umani: talenti, ispirazioni, idee, identità qui possono acquisire una forma e trasformarsi in materia, progetti, relazioni, network. Perché l’ambiente di lavoro costituisce un vero e proprio microcosmo che offre l’opportunità di evolverci come esseri umani, in un certo senso “in atmosfera protetta”.

Credo che il lavoro sia una grande occasione di felicità, fatta non tanto di ordine della postazione o di pause (questi aspetti afferiscono piuttosto alla sostenibilità psico-fisica del lavoro, ma credo anche che ognuno possa avere esigenze diverse in proposito), ma piuttosto di piena espressione di sé, che può avvenire anche nei dettagli, ovvero nei tanti “come” che costellano le giornate lavorative (come mi rivolgo ai colleghi, come do attenzione agli altri e alle situazioni, come mi prendo cura dei materiali, come affronto le difficoltà e i progetti, come pianifico, come creo il nuovo o come conservo e rispetto ciò che è stato costruito, ecc.) fino ad arrivare a tipi di espressione più esplicitamente disruptive quando qualcuno arriva a cambiare le regole del gioco o sviluppare nuove idee e progetti anche se non era previsto o richiesto o addirittura – come spesso avviene in questi casi, il cambiamento era inizialmente contrastato e impopolare.”

I nostri “esperti” ci hanno dato indicazioni eterogenee per affrontare il dilemma, che anche Giovenale aveva affrontato nelle Satire coniando il celebre Mens Sana in Corpore Sano. Oggi dovremmo forse aggiungere in sano ufficium ovvero in un posto di lavoro sano, per essere davvero felici. Probabilmente è possibile, almeno proviamoci.

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