Un problema chiamato produttività e le sue conseguenze (ignorate)

scritto da il 22 Dicembre 2023

Come sempre accade in questi casi, i dati  pubblicati da ISTAT sull’occupazione in Italia nel mese di ottobre 2023, hanno dato vita ai classici “botta e riposta” della politica tricolore, che è solita “torturare” i dati a seconda della convenienza. Sia ben chiaro: giusto essere contenti dei dati incoraggianti, ma quando si tratta di lavoro occorre stare attenti ad un tranello. Raggiungere la piena occupazione è un obiettivo più che lecito ed auspicabile, ma se la crescita degli occupati non si riflette anche nella crescita del PIL, significa che abbiamo un problema di produttività. E, come noto, lo abbiamo da decenni.

Un recente approfondimento da parte della Banca d’Italia, a cura di Rosalia Greco, analizza il fenomeno in ottica comparata.

In primo luogo, l’autrice affronta il problema del ritardo italiano rispetto ai grandi paesi europei con cui siamo soliti confrontarci. Come si vede dalla tabella, il ritardo italiano è marcato sia in termini di valore aggiunto sia in termini di produttività del lavoro. Con la sola eccezione della produttività del lavoro nel periodo 2019-2022, l’Italia ha fatto sempre largamente peggio rispetto all’area euro.

Il divario con i Paesi del G7 è stato ben rappresentato anche dall’INAPP nel suo rapporto annuale, in cui si legge che “A partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari a 25,5%“.

Tornando allo studio della Banca d’Italia ed entrando poi più nel dettaglio dell’analisi settoriale, si distinguono migliori performance dell’industria rispetto ai servizi o al settore delle costruzioni. Ma si nota ancora un ritardo generale del nostro Paese, che fa intravedere qualche buon risultato nel periodo 2014-2019.

In particolare, i migliori risultati si notano in alcuni settori manifatturieri particolarmente votati all’export, come quelli dei veicoli a motori, dei macchinari e della componentistica, nonché della chimica e della farmaceutica. Il problema è che i settori nei quali l’Italia ottiene risultati migliori rappresentano solo il 18% del valore aggiunto e l’11% delle ore lavorate, mentre i settori in cui va peggio rappresentano il 23% del valore aggiunto e ben il 28% delle ore lavorate. E questi ultimi includono il settore chiave dell’Information and communication.

L’autrice cerca poi di individuare le possibili cause della bassa e lenta crescita della produttività italiana. Non trova correlazioni significative con la struttura produttiva. Si nota invece un significativo impatto dettato dagli investimenti, particolarmente accentuato per la crisi economico-finanziaria del 2007-2008. Dalla tabella che segue si evince una marcata differenza rispetto a Germania, Francia e Spagna, soprattutto se si osserva l’intero periodo considerato (2000-2019).

Arrivando ai nostri giorni, l’ISTAT  ha rilevato che nel 2022 la produttività del lavoro si è ridotta dello 0,7%. Di contro, è cresciuta la produttività del capitale (+4,1%). A differenza delle buone performance ricordate sopra nel periodo 2014-2019, preoccupa il calo della produttività dell’industria in senso stretto (-2,4%).

La situazione pertanto non appare rosea. Come sappiamo, può incidere significativamente sulla crescita del prodotto interno lordo e su quella dei salari. Non a caso questi ultimi sono al palo da decenni, anche se su tale argomento è bene leggere il rapporto INAPP succitato.

Ma forse il problema principale, guardando al futuro, è che si tratta di un tema fuori o ai margini dell’agenda politica.

Twitter @francis__bruno