Immigrazione, crescita, demografia: qual è la via italiana?

scritto da il 23 Gennaio 2024

Post di Federica Paolucci, esperta in comunicazione e pubbliche relazioni e consulente in Disal Consulting –

Siete mai stati a Istanbul? Se avete visitato l’antica capitale dell’Impero Ottomano è molto probabile che abbiate provato delle deliziose meze, chiacchierato con qualcuno di calcio e fatto shopping compulsivo al Grande Bazar; ma soprattutto, è molto probabile che vi siate sentiti sopraffatti dalla bellezza di Ayasofya.

La famosa “Basilica di Santa Sofia” è un luogo dove convivono armoniosamente affreschi di angeli e rappresentazioni di Cristo, insieme a medaglioni con il nome di Allah e dei primi quattro Califfi. Il simbolo di un Impero, quello Ottomano, dove vivevano – e non sopravvivevano – turchi, greci, albanesi, bulgari, armeni, curdi e arabi.

Tuttavia, non serve volare nell’antica Costantinopoli e fare due ore di fila per Santa Sofia (anche se vi consiglio vivamente di farlo) o leggere “Il divano di Istanbul” di Alessandro Barbero (anche se vi consiglio vivamente di farlo) per meravigliarsi di tanta lungimiranza e, aggiungerei, pensiero strategico. Basta fare una visita ai Musei Capitolini e, al cospetto della monumentale statua equestre di bronzo di Marco Aurelio, riflettere sulla sua saggezza.

“L’unico grande e vero imperatore”, come lo definisce Ridley Scott ne “Il Gladiatore”, per contrastare l’epidemia di vaiolo del 170 d.C., che aveva dimezzato la popolazione e sottratto forza lavoro – contadini per coltivare la terra e soldati per combattere – decide di accogliere i profughi delle invasioni barbariche.

Aveva sviluppato una politica di gestione dei primi flussi di migranti barbari. Offriva ai profughi terre, grano e concrete opportunità di carriera in cambio della loro adesione all’esercito romano e della conversione religiosa. Da quel momento in poi, metà dei generali romani sarà di origine barbarica – figlia di immigrati.[1]

Vi ricorda qualcosa?

Proprio come nell’Impero romano del 170 d.C., oggi il nostro Paese si trova ad affrontare un’altra epidemia, e non mi riferisco al Covid-19.

Parliamo di declino demografico, la combinazione tra denatalità e invecchiamento della popolazione.

Questa pandemia moderna non ha ripercussioni sulla salute delle singole persone ma colpisce il tessuto sociale ed economico del nostro Paese, e non solo.

Una delle sue più gravi conseguenze è la mancanza di manodopera. Le aziende non trovano lavoratori in tutti i settori, da quelli tradizionali fino a quelli digitali.[2] Albergatori e ristoratori faticano ad assumere personale.[3]

In questa situazione di crisi, il Nord industriale ha lanciato un appello al Governo, chiedendo di aumentare il numero del decreto flussi che stabilisce la quota di persone che ogni anno possono entrare nel Paese.

In un susseguirsi di “corsi e ricorsi storici”, potenzialmente orchestrati dalla provvidenza di Vico, agli imprenditori veneti si è accesa la stessa lampadina che aveva spinto Solimano il Magnifico e Marco Aurelio ad aprire le porte dei loro rispettivi Imperi.

Secondo gli industriali, l’economia del nostro Paese rischia di rallentare ulteriormente senza l’aiuto degli immigrati.

Sebbene il Governo Meloni abbia deciso di accogliere il loro appello varando un decreto[4] volto a garantire una media di 150.000 ingressi l’anno nel prossimo triennio, le quote stabilite non rispondono in modo sufficiente alle esigenze dell’industria, che richiede pianificazione e personale più qualificato.

Immigrati

(Foto di Mirco Toniolo / AGF)

Come indicato nel Documento di economia e finanza (Def) presentato quest’anno dal Governo stesso, anche nel caso in cui il tasso di natalità attuale pari a 1,24 figli per donna dovesse aumentare nel lungo termine a 1,55, diventa comunque indispensabile incrementare il numero di immigrati nel nostro Paese. Per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico nei prossimi decenni, dovremmo raggiungere una media di 213.000 immigrati l’anno.[5]

Per capire come affrontare questa epidemia, dobbiamo tornare e parlare di imperi o, per dirla in chiave moderna, di grandi potenze che hanno compreso fino in fondo il valore degli immigrati per la crescita economica e sociale del loro Paese.

Nello specifico, parliamo degli Stati Uniti e della Germania.

Cosa sarebbero oggi gli USA senza gli immigrati?

Durante la guerra in Iraq e Afghanistan, i generali intervistati ai microfoni del telegiornale erano di origine giapponese, filippina, messicana. Figli, nipoti, pronipoti di immigrati.

Storicamente gli Stati Uniti sono sempre stati un melting pot di culture e popoli provenienti da tutto il mondo che hanno contribuito alla diversità culturale e al dinamismo economico del Paese.

Cosa sarebbero oggi gli USA senza gli immigrati?

Tanto per cominciare, non esisterebbero più della metà delle startup americane dal valore superiore al miliardo di dollari.[6] In questo momento, ad esempio, non potrei usare Google Drive per scrivere questo articolo o prendere un Uber a fine serata per tornare a casa.

Tuttavia, Sergey Brin, co-inventore di Google, e Travis Kalanick, cofondatore di Uber, non sono gli unici protagonisti di questa storia. Tutti gli immigrati hanno svolto un ruolo fondamentale nel garantire la resilienza del sistema economico statunitense durante la crisi di Covid-19. Come evidenzia il Premio Nobel Paul Krugman, «è un’esagerazione, ma con un po’ di verità, dire che gli immigrati stanno salvando l’economia degli Stati Uniti». Con la pandemia, più di 400.000 persone sono uscite dal mercato del lavoro a causa di diversi fattori; tuttavia, la nuova ondata di immigrati, salita a più di un milione nel 2022, ha contribuito alla crescita dell’occupazione senza causare un ulteriore incremento dell’inflazione. [7]

Non serve andare oltreoceano per comprendere quanto sia cruciale implementare politiche migratorie efficaci in grado di attrarre capitale umano specializzato (e non) e facilitare lo sviluppo economico di un Paese.

Basta prendere un volo di due ore per Berlino.

La Germania: Il miracolo economico… dei migranti

La Germania è il gigante economico del vecchio continente. Con i suoi quattromila miliardi di PIL rappresenta da sola la maggior parte dell’economia europea (24,3%).[8]

Uno dei fattori che ha contribuito alla crescita del Paese dal 1950 ad oggi è la sua capacità di attrarre e integrare immigrati all’interno del sistema produttivo.

Negli anni 60, il cancelliere Adenauer e il suo ministro delle Finanze, Erhard, conclusero diversi accordi con Paesi esteri come la Turchia e il Marocco. Grazie ai Gastarbeiter (“lavoratori immigrati”) che furono capaci di attirare nel Paese, riuscirono ad alimentare esponenzialmente la crescita del mercato automobilistico – uno dei pilastri dell’economia tedesca.[9]

Oggi basta sedersi in un caffè di Kreuzberg per capire che la situazione non è cambiata. Turchi, italiani, polacchi, spagnoli affollano le strade del quartiere dopo una lunga giornata lavorativa.

Dal 2011 milioni di immigrati hanno scelto di spostarsi in Germania; non si tratta solo di lavoratori low-skilled ma anche di persone altamente qualificate provenienti da altri Paesi dell’UE che hanno contribuito alla crescita del Paese e continuano a farlo.

Come riportato dal German Institute for Economic Research (DIW Berlin), l’immigrazione da altri Paesi europei ha registrato un aumento medio annuo dello 0,2% nella crescita del PIL in Germania nel periodo compreso tra il 2011 e il 2016.[10]

Certo, così come gli Stati Uniti e la Germania, l’impero di Solimano e quello romano erano in grado di attrarre talenti da tutto il mondo, come Giuseppe Nassì – il banchiere del Sultano – ebreo di origini portoghesi. Per trasformare i fenomeni migratori in una risorsa per il nostro Paese, accogliere non basta. Serve un piano strategico a lungo termine in grado di attrarre high skilled labour.

Un po’ come quello proposto, lo scorso settembre, dal prefetto Maria Rosaria Laganà e da Confindustria alle aziende bresciane, che ha l’obiettivo di dare un lavoro ai rifugiati e di colmare la mancanza di manodopera.[11] Un progetto appoggiato da diverse realtà italiane, tra cui Coldiretti, che chiede nuovamente al governo di introdurre sgravi fiscali per le aziende agricole che assumono rifugiati.[12]

Dal governo, per ora, nessuna risposta.

NOTE

[1] “Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano”, Alessandro Barbero, 2023

[2]l Confartigianato: introvabile il 48% della manodopera (Avvenire)

[3]I lavoratori stranieri nel turismo (Federalberghi)

[4] Flussi 2023-2025, pubblicato il decreto da 450mila ingressi

[5] Si può evitare un aumento dell’immigrazione con una maggiore natalità? (Osservatorio CPI)

[6] 55% Of America’s Billion-Dollar Startups Have An Immigrant Founder (Forbes)

[7] How Immigrants Are Saving the Economy (New York Times)

[8] Classifica delle Economie dei Paesi Membri 2022, IMF

[9] The German Economic Miracle Depended on Immigrants (Fee.org)

[10] Immigration from other EU countries has increased Germany’s economic growth since 2011 (DIW Berlin)

[11] Lavoro e integrazione: le aziende bresciane cercano immigrati (TGR Lombardia)

[12] Lavoro ai rifugiati: Ance e Coldiretti aderiscono al progetto Brescia