Casi e decessi: tra Oms, Salute e Facebook i conti non tornano. Perché?

scritto da il 22 Marzo 2020

“Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure (…)”: lo dice il Legislatore Costituzionale (art. 21), che tuttavia non contempla lo stato confusionale e, più in generale, il disagio generato dalle stramberie che alcuni (troppo liberi) informatori propongono, alla patologica ricerca di clickbait.

La situazione è un po’ irritante, dato che l’oggetto, in tempi di sovraesposizione alla notizia epidemiologica, è rappresentato dal numero dei positivi e, purtroppo, dei morti causati dal Sars-CoV-2, il coronavirus. Se poi siamo costretti a scoprire che alcuni vettori d’informazione – libera, com’è giusto, ma forse troppo – riescono pure a fare resuscitare i morti, allora pensiamo che il rischio sia il seguente: sulle prime, l’anarchia cognitiva. In quanto al seguito, è molto difficile a dirsi.

Ingobbiti, come siamo, sui nostri dispositivi, riceviamo una notifica di Facebook mediante la quale siamo invitati ad aggiornarci sul COVID-19. È corretto dire, fin da ora, che Facebook cita come fonte il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC), cioè un’agenzia governativa dei cui dati si avvale. Con un click, siamo dentro e leggiamo: “casi confermati in Italia 41.035”, “decessi confermati 3.407”. I conti non tornano, come si suol dire. È il 22 marzo e sono le 9:30 circa. La notifica è appena arrivata. Non intendiamo fare a tutti i costi i detrattori né accusare gli autori di superficialità. Abbiamo solo bisogno di chiarezza. Abbiamo letto dappertutto che il numero dei morti è superiore a quello indicato da Facebook-ECDC. Tra le altre cose, il problema c’è ed è serio: Facebook, in sostanza, con un presunto aggiornamento del 22 marzo, cita lo ECDC, ma lo fa o in modo sbagliato o in allarmante ritardo. Quand’anche fossimo disposti ad ammettere che l’imminenza della Pasqua sia motivo di redenzione e salvezza, dovremmo chiederci quale sia il criterio di scelta. Non ci resta che andare sul sito dello ECDC. La sorpresa è fulminea: 53.578 casi confermati in Italia e 4.827 decessi. Facebook ‘consegna’ in ritardo la notizia? Forse, per questo è perdonabile? A ogni modo, corriamo a consultare subito il sito del Ministero della Salute, l’ormai celebre salute.gov.it, il cui ultimo aggiornamento, com’è noto, risale alle ore 18 del 21 marzo. Ebbene? Il numero dei positivi accertati finora è di 42.681, mentre il numero dei deceduti è di 4.825. Il documento grafico riportato ne sia prova.

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In pratica, Facebook ha risparmiato la vita a 1.418 persone e ne ha redente 1.646; il che ci conforta e ci riempie di compassione e speranza, tuttavia continuiamo a volerne sapere di più. Viceversa, cioè se Facebook avesse ragione, il Ministero della Salute dovrebbe chiudere i battenti. Abbiamo anche pensato che lo sfasamento temporale avesse inciso sulle stime del Social Network, nell’ipotesi – naturalmente – che chi ci vuole aggiornare non fosse, a propria volta, aggiornato; di conseguenza, siamo andati a verificare i numeri del giorno precedente. Anche in quest’ultimo però le difformità sono eccessive. Non entriamo nel merito per non appesantire il testo.

Una volta registrata l’anomalia, sempre nel tentativo di trovare una soluzione all’inaccettabile enigma, ci rivolgiamo all’ OMS. Riteniamo infatti che l’autorevolezza del canale sia sufficiente a fugare i nostri dubbi. Sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla voce Health Topics, troviamo un elenco alfabetico, scorrendo il quale non si fa fatica a individuare un’altra voce, “Coronavirus (CoV)”. Cliccando su quest’ultima, accediamo a una pagina d’informazioni basilari, ma, a metà della pagina, si scorge “All information on the COVID-19 Outbreak”. Il percorso è un po’ tortuoso e accidentato, non proprio alla portata di tutti, ma, da ultimo, si approda a qualcosa. Infatti, di qui, si ottengono i numeri e una mappa interattiva. Purtroppo, però, anche nel caso in specie, i conti non tornano. Secondo l’ OMS, i casi confermati in Italia sono 47.021, mentre i decessi 4.032.

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Dunque, facciamo due calcoli in modo grossolano: 4.340 casi confermati in più rispetto a quelli documentati dal nostro Ministero della Salute e 5.986 in più rispetto a quelli documentati da Facebook. È chiaro che il social network non è una fonte governativa (la cita, ma con imperdonabile ritardo), ma è altrettanto chiaro che non è il giornalino della scuola. Ancora più inquietante appare la valutazione dei decessi. Perché inquietante? Perché il diritto all’informazione, soprattutto quando essa riguarda la vita umana, non può essere rimbalzato così comicamente. Se i decessi sono quelli stimati dall’ OMS, cioè 4.032, allora sono 793 in meno rispetto a quelli del Ministero. Questa cifra, 793, potrebbe essere immediatamente giustificata dagli orari di pubblicazione del bollettino. Nostro malgrado, sappiamo tutti che solo ieri, nel nostro paese, sono morte 793 persone di COVID-19. Se tuttavia il bollettino dell’OMS è stato pubblicato prima di quello italiano – la qual cosa, come abbiamo detto, giustificherebbe la differenza dei 793 decessi –, allora com’è possibile che i casi positivi, in questo anticipo, fossero 4.340 in più? All’ OMS hanno capacità profetiche? È benaugurante. Ma sarebbe appena il caso di usarle diversamente.

Sicuramente, una delle cause del disallineamento e della disomogeneità informativa proviene, nella maggior parte dei casi, dai ritardi di chi gestisce le piattaforme e dalla difficoltà di reperimento del dato stesso. Tuttavia, in un momento in cui l’unico legame tra le funzioni dello Stato e il cittadino è costituito solo dalle summenzionate piattaforme, è il caso di ripristinare quanto prima sia l’armonia tra le fonti sia una certa sorveglianza sugli informatori.

In conclusione, occorre fare delle precisazioni: abbiamo scelto di non fare alcuna indagine sul metodo adottato dalle fonti menzionate per redigere certi contributi. Lo abbiamo fatto al solo scopo di metterci nei panni del cittadino comune, del padre di famiglia che ha diritto e, per certi aspetti, anche il dovere di informarsi, dal momento che non può e non deve essere solo il destinatario di un divieto. Ed è naturale che il lettore comune, ovverosia colui che per lavoro non fa l’analista, accede semplicemente a delle pagine di consultazione e a dei numeri, che, in seguito a simili rilevamenti, provocano stordimento, perplessità e – perché no? – anche paure che potrebbero essere anche ingiustificate. Si è soliti accusare il fruitore di faciloneria, complottismo et similia. Si è anche detto più volte quanto sia grave diffondere su WhatsApp allarmi o false speranze, ma non si è ancora detto abbastanza quanto siano pericolose certe lacune del sistema informativo.

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