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La figuraccia di Amazon sui dazi e quanto aumenteranno i prezzi


Amazon, il colosso imbattibile dell’e-commerce, ha trovato qualcuno più grosso di lui. E si è piegato, con una retromarcia repentina, alla dura legge del più forte. Subito dopo un’indiscrezione di stampa su un piano del gigante fondato da Jeff Bezos (oggi executive chairman), per mostrare ai clienti l’incidenza dei dazi voluti da Trump sul prezzo finale dei prodotti, è arrivato un imprevedibile scontro frontale con la Casa Bianca (ricordate Bezos schierato con gli altri numeri uno delle Big Tech per rendere omaggio al nuovo presidente?).
Cosa è successo? Secondo Punchbowl News, Amazon stava per introdurre un’indicazione circa “quanto i dazi di Trump stanno aggiungendo al prezzo di ogni prodotto”. La reazione dell’amministrazione non si è fatta attendere: la portavoce presidenziale Karoline Leavitt ha bollato l’iniziativa come “un atto ostile e politico da parte di Amazon”. In un acceso briefing con la stampa, Leavitt ha accusato il colosso di Seattle di non aver fatto altrettanto quando l’inflazione saliva sotto Biden e, addirittura, di essere “colluso con un braccio propagandistico cinese” – un riferimento a un vecchio articolo Reuters su rapporti tra Amazon e Pechino, brandito dalla portavoce come prova durante la conferenza stampa.
La telefonata di Trump e il dietrofront di Amazon
Leavitt ha riferito di aver parlato direttamente con il presidente riguardo al presunto piano di Amazon. Poche ore dopo è emerso che Donald Trump in persona ha chiamato Jeff Bezos per esprimere il proprio disappunto. Nel giro di poche ore Amazon ha fatto marcia indietro, negando di aver mai avuto l’intenzione di inserire sui suoi siti tali indicazioni di costo. Un portavoce, Tim Doyle, ha chiarito che l’idea era emersa solo in un segmento specifico della piattaforma: Amazon Haul, una vetrina di prodotti ultra-economici (sotto i 20 dollari) lanciata nel 2024 per competere con rivali cinesi come Temu e Shein.

Parola di Donald Trump: “Jeff è stato molto gentile. Ha risolto il problema rapidamente. Un bravo ragazzo”. (Immagine generata da Grok AI)
“Il team di Amazon Haul aveva considerato di indicare i costi di importazione su alcuni articoli” – ha spiegato Amazon – ma la proposta “non è mai stata approvata e non vedrà la luce”. La società ha inoltre precisato che non c’era alcuna intenzione di estendere una simile misura al sito principale di Amazon. Lo stesso Trump, parlando ai giornalisti poche ore dopo, ha confermato di aver contattato Bezos e si è detto soddisfatto: “Jeff è stato molto gentile. Ha risolto il problema rapidamente. Ha fatto la cosa giusta. Un bravo ragazzo”, ha dichiarato l’ex presidente, elogiando pubblicamente il passo indietro del fondatore di Amazon. Persino il segretario al Commercio, Howard Lutnick, ha applaudito su X la marcia indietro di Amazon definendola “una buona decisione”.
Politica vs. business: posta in gioco e motivazioni del dietrofront
La brusca retromarcia di Amazon va letta alla luce delle delicate poste in gioco politiche ed economiche per l’azienda. Da un lato, evidenziare ai clienti l’effetto dei dazi equivaleva ad additare una politica chiave del presidente – una mossa senza precedenti da parte di un grande retailer – rischiando rappresaglie regolatorie o fiscali. Non a caso, già nel primo mandato Trump aveva preso di mira Amazon per questioni fiscali e antitrust, e Bezos ha cercato di ricucire i rapporti, proprio partecipando all’inaugurazione presidenziale del 2025. Dall’altro lato, Amazon e i suoi venditori subiscono realmente l’impatto di quei dazi: mostrarlo in trasparenza avrebbe potuto giustificare agli occhi dei consumatori i rincari in arrivo, spostandone la colpa sul governo.
Ma la scelta di Bezos è stata di evitare lo scontro aperto con la Casa Bianca, probabilmente per scongiurare danni maggiori. Come sintetizza un commentatore, poche aziende hanno tanto da perdere dalla nuova guerra commerciale quanto Amazon, che si approvvigiona massicciamente dalla Cina e rischia forti aumenti di costi e prezzi. In questo contesto, la prudenza ha prevalso: Amazon ha preferito cancellare il piano e gestire il problema dei dazi dietro le quinte, piuttosto che sfidare pubblicamente la narrativa del Presidente sui dazi. Del resto, Trump ha sempre sostenuto (contro l’evidenza di molti studi) che a pagare i dazi fosse la Cina e non i consumatori americani – un messaggio che l’etichetta proposta da Amazon avrebbe contraddetto in maniera plateale.
La guerra commerciale 2018-2020: meccanismi e effetti sui prezzi
La vicenda richiama da vicino i meccanismi già visti durante la guerra commerciale Usa-Cina del 2018-2020, nel primo mandato Trump. Allora l’amministrazione impose dazi su centinaia di miliardi di dollari di import cinese (fino al 25% su molte categorie), e come oggi le aziende americane si trovarono a scegliere se assorbire il costo o trasferirlo sui clienti. Numerosi studi successivi hanno confermato che gran parte di quei costi vennero effettivamente scaricati sui consumatori statunitensi sotto forma di prezzi più alti. Ad esempio, i prezzi di lavatrici e asciugatrici ebbero aumenti a doppia cifra dopo i dazi specifici su quegli elettrodomestici. I grandi retailer, pur criticando apertamente i dazi, evitarono però di segnalare nei negozi la “quota Trump” dei prezzi, limitandosi a comunicare che i rincari erano una conseguenza inevitabile delle tariffe doganali.
Questa volta Amazon ha tentato, per un attimo, di infrangere un tabù, ma la reazione della Casa Bianca l’ha costretta a rientrare nei ranghi. Il meccanismo economico, in ogni caso, resta lo stesso: un dazio doganale equivale a una tassa sulle importazioni che tende ad aumentare il prezzo finale dei beni importati. Proprio come nel 2019, anche ora il governo incoraggia i consumatori a “comprare americano” e le aziende a riorientare le filiere lontano dalla Cina – obiettivi che nel breve termine comportano però costi più elevati e minore scelta.
Impatto sui margini di Amazon e gli aumenti fra il 20 e il 30%
Comunque la si voglia vedere, per Amazon le tariffe imposte dal governo Trump rappresentano un doppio colpo: colpiscono sia i prodotti venduti direttamente (Amazon Retail) sia il vasto marketplace di terze parti su cui l’azienda guadagna commissioni. Gli analisti stimano che oltre la metà dei prodotti su Amazon sia ora soggetta a dazi più alti. Molti venditori, specie le piccole imprese, non hanno margini a sufficienza per assorbire balzelli nell’ordine di decine di punti percentuali, e sono costretti ad aumentare i prezzi.
Lo stesso ceo dell’Everything Store, Andy Jassy, ha riconosciuto che i partner commerciali “dovranno trasferire ai clienti i costi extra dei dazi” dato che “nessuno ha un 50% di margine extra con cui giocare”. I dati iniziano a dargli ragione: nelle due settimane successive all’entrata in vigore dei nuovi dazi (annunciati il 2 aprile 2025), i prezzi di quasi 900 prodotti popolari su Amazon hanno raggiunto i massimi storici, con incrementi medi del 29%. In media, gli aumenti previsti oscillano tra il +10% e il +30% a seconda delle categorie merceologiche, risultando più contenuti per settori meno esposti all’import asiatico e più elevati per elettronica, elettrodomestici, abbigliamento e altre filiere dipendenti dalla Cina.
Un quarto circa dei venditori che stanno ritoccando i listini ha sede in Cina, segno che molti produttori cinesi stanno a loro volta scaricando la nuova “mega-tariffa” nei prezzi di vendita. In altri casi i merchant stanno cercando di riposizionare la produzione in paesi alternativi (Vietnam, Messico, ecc.), ma queste riconversioni richiedono mesi o anni.
Effetti al di là dei confini statunitensi
Gli effetti potrebbero non fermarsi ai confini statunitensi. Se il costo delle forniture cinesi aumenta drasticamente, anche i mercati internazionali rischiano rincari: produttori e fornitori potrebbero alzare i prezzi in Europa o altrove per compensare i minori margini sul mercato USA, oppure concentrare l’offerta su mercati alternativi riducendo la disponibilità di prodotti a basso costo. Inoltre, un calo delle vendite negli Stati Uniti (per effetto di prezzi più alti) indebolirebbe le economie di scala di Amazon, con possibili ricadute sui suoi servizi globali. Come avverte IndMoney, oltre a pesare sul portafoglio degli americani i dazi rischiano di frenare l’export verso gli USA e innescare un “effetto domino” negativo per la crescita internazionale di Amazon.
In ultima analisi, la vicenda conferma che i dazi aumentano i costi lungo la catena del valore e finiscono per colpire i margini aziendali e i prezzi al consumo. Negli Stati Uniti e potenzialmente nel mondo intero. Amazon, con la sua posizione centrale nell’e-commerce globale, è il canarino nella miniera: le sue mosse (o tentate mosse) per affrontare la nuova fiammata protezionistica segnalano le pressioni inflazionistiche e le sfide competitive che potrebbero presto propagarsi ben oltre la vetrina di Amazon.com.
Fonti: Financial Times, The Daily Beast, GeekWire, Barron’s, Business Insider, IndMoney