L’ascensore sociale è fermo. Non si riesce a salire neanche al primo piano

scritto da il 29 Luglio 2016

In tutto il mondo cresce la quota delle persone non laureate escluse dal mondo del lavoro. Gli ultimi dati dell’OCSE ce lo confermano. Negli Stati Uniti solo un soggetto su sei con bassa scolarità riesce a trovare lavoro. Ne deriva un astio, un risentimento popolare che si riverbera ogni qual volta il cittadino è chiamato a votare. I movimenti anti-establishment ottengono risultati eclatanti. Chi governa perde per definizione.

L’ascensore sociale si è bloccato, soprattutto per chi non ha forti competenze distintive. La trickle down theory portata avanti da Ronald Reagan si è rivelata un fake gigantesco. Secondo Arthur Laffer i benefici economici elargiti a vantaggio dei ceti abbienti (in termini di alleggerimento dell’imposizione fiscale) favoriscono necessariamente l’intera società, comprese la middle class e le fasce di popolazione marginali e disagiate. Quando un Ceo guadagna centinaia di volte più di un impiegato, la rabbia monta, le élite sono attaccate in modo virulento.

Le disuguaglianze crescono anche per fattori ereditari. Nell’ultima Relazione della Banca d’Italia sul 2015 si possono leggere osservazioni di sicuro interesse (per chi ha la pazienza di arrivare a pag. 173 e seguenti).

1. “La disuguaglianza non ha subito variazioni apprezzabili dopo l’avvio della crisi finanziaria globale nel 2008 e dopo la successiva recessione indotta dalla crisi del debito sovrano, nonostante una più ampia contrazione del reddito. Nel complesso, la disuguaglianza si è stabilizzata su valori prossimi a quelli registrati alla fine degli anni Settanta e relativamente elevati nel confronto internazionale; dagli anni Ottanta è però cresciuta meno che in molti altri paesi avanzati”.

2. “Tra la fine degli anni Ottanta e il 2014, l’espansione della quota di popolazione a basso reddito si è accompagnata con un sostanziale cambiamento della sua composizione, più che dimezzandosi tra le famiglie di pensionati (dal 40 al 15 per cento), salendo tra quelle dei lavoratori dipendenti (dal 14 al 20 per cento) e, sebbene meno intensamente, dei lavoratori autonomi (dal 12 al 15 per cento)”. Il sistema retributivo è una manna per i pensionati. Per i giovani molto meno. Le proposte del presidente dell’INPS Tito Boeri – Non per cassa, ma per equità – vanno sostenute pancia a terra.

3. “Il disagio economico è più elevato per i membri delle famiglie più giovani. Considerando tutti gli appartenenti alle famiglie con capofamiglia di età non superiore ai 30 anni, oltre una persona su tre è in condizione di basso reddito (solo una su dieci alla fine degli anni Ottanta)”.

4. Sono sempre i giovani a pagare lo scotto maggiore in questi anni di vacche magre. “L’indebolimento, dagli anni Novanta, dell’economia italiana ha gravato in particolare sui più giovani: sono aumentate le opportunità di ingresso nel mercato del lavoro, ma le carriere lavorative sono diventate più intermittenti e i livelli retributivi iniziali inferiori a quelli dei coetanei di generazioni precedenti, nonostante il più alto livello di istruzione”. I giovani – outsider – sono più preparati di coloro che hanno il lavoro – insider – ma stanno fuori dal recinto e appena si avvicinano, vengono proposti loro contratti capestro. Precari a vita. Senza progetto. Senza futuro. Giusto che colgano al volo le offerte di lavoro all’estero.

5. “Le generazioni più giovani hanno risposto a questo indebolimento della capacità di generare reddito rinviando l’uscita dalla famiglia di origine. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Duemila la quota di giovani tra i 25 e i 34 anni che viveva ancora nella famiglia di origine è raddoppiata, da poco più di un quarto a circa la metà. Questi giovani hanno beneficiato delle migliori condizioni economiche dei loro genitori: il loro reddito equivalente è stato in media superiore a quello dei coetanei che avevano formato una nuova famiglia”. Chi ha i genitori agiati se la cava. Per gli altri c’è Mastercard (e il debito futuro aumenta).

Cosa rimane ai giovani? Una bella eredità! Però bisogna aspettare, perchè in Italia si vive a lungo: “Le generazioni più giovani possono inoltre attendersi una maggiore ricchezza ereditata per via della riduzione del numero medio di figli. Nel 2014 circa un terzo delle famiglie ha dichiarato di aver ricevuto un lascito; la ricchezza di queste famiglie, per le quali i lasciti rappresentano in media il 60 per cento del patrimonio netto, è più del doppio di quella dei nuclei che hanno dichiarato di non aver ricevuto eredità o donazioni”.

Non è bello vivere in un Paese dove le speranze maggiori risiedono nella futura eredità (Pietro Maso circola liberamente). Gli economisti della Banca d’Italia concludono mestamente così: “Il maggior valore della ricchezza ereditata e il crescente ruolo della famiglia di origine nello spiegare le differenze di reddito tra i più giovani comportano una più forte persistenza delle disuguaglianze di benessere tra generazioni successive”.

Twitter @beniapiccone